Enrico Letta ha dichiarato di voler fare del Pd «un partito di prossimità». È una buona idea, perché per rappresentare il popolo è bene essere prossimi. Pierluigi Castagnetti, su Facebook, ha condiviso e poi allargato il dibattito con una domanda importante: ascoltare, raccogliere, riportare, rilevare il sentiment, discutere... oltre ai circoli di partito, dove andare? In quali luoghi stare, dove esercitare la prossimità?

Noi politico

Prendiamo a prestito i non-luoghi di Marc Augé per ricordare la forte presenza nelle nostre città di posti nati non per creare relazioni, luoghi senza storia e senza identità: luoghi standardizzati per facilitare il gesto principale per cui sono nati, il consumo. Si pensi alle stazioni, gli aeroporti, le autostrade e i loro autogrill, i centri commerciali... E come si fa a fare politica all'epoca dei non-luoghi e dei social network? Secondo Augé il contrario dei non-luoghi sono i luoghi antropologici, dove – invece – si creano relazioni e dove può nascere un “noi”. Ma nelle imprese - dove i lavoratori sono instabili, a partita Iva o con tempi del tutto destrutturati – è possibile fare politica? E nelle parrocchie? E nelle scuole? Il ruolo delle associazioni e dei sindacati facilita, perché educa a fare mediazione, a creare comunità, a selezionare priorità: ma non è un compito così facile, oggi.

Politica professionale

Castagnetti ricorda il ruolo dei politici professionisti per dire una cosa importante: chi fa politica in modo professionale – in termini weberiani – ha l’opportunità di sperimentare delle vie, delle forme di vicinanza, di costruzione di legami politici, di creazione di un “noi politico”. Negli anni '50 i partiti avevano una organizzazione tale da consentir loro di parlare a più categorie tenendo conto del linguaggio, dei temi, delle biografie, per costruire un forte senso di appartenenza politico, una comune destinazione. La politica ha molto a che fare con l’organizzazione. E siccome la politica ha sempre la necessità di offrire un senso di marcia e di rappresentare, la questione di come rappresentare non è esattamente laterale: come rappresentare? Con un algoritmo? Spero di no, altrimenti basterebbe fare un partito con l'assistenza di Google oppure consegnare tutta una storia a quegli algidi tecnocrati cui fanno riferimento Nadia Urbinati e Carlo Invernizzi, dove l'interesse di tutti potrebbe essere calcolato e pianificato da esperti attraverso processi deliberativi imparziali, dove scomparirebbe il popolo a favore della popolazione, dell'universo statistico, dove si conseguono specifici target senza chiedersi quale possibile idea di giustizia sociale e di città intendiamo conseguire. Ci sono esperienze esistenti.

In un’epoca di passaggio il tema della prossimità è fondamentale nella vicenda della rappresentanza: ascoltare il più possibile, dialogare costantemente coi corpi intermedi, con le associazioni, poi avere il coraggio di scegliere dei temi grandi su cui aprire un dibattito pubblico e programmatico, usare i social network e andare a cercare le persone anche là nei luoghi dove ordinariamente vivono pare davvero la strada da scegliere: è una strada a più corsie, multitasking.

Anche Conte

Papa Francesco, a un certo punto dell'enciclica Fratelli tutti, riprende Paul Ricoeur distinguendo tra l'essere prossimo e l'essere socio. Il sentirsi socio – in questa visione - porta a consolidare i vantaggi personali, a creare strutture chiuse, autodifensive e autoreferenziali. Il sentirsi prossimo porta invece ad aprirsi, a vedere, a sentire, a testimoniare con l'esempio, a saper lasciare lo spazio agli altri, a tenere insieme. Se il prossimo Pd sarà più prossimo, se sarà vissuto da “prossimi”, credo che sarà un bene per tutti, anche per gli altri partiti. Un pensiero, su questi temi, dovrà farlo anche Giuseppe Conte, per dare forma partito ad un movimento nato su dei luoghi virtuali che si sono rivelati non sufficienti per fare politica o addirittura inadatti, perché fondati sull'idea (impolitica) della disintermediazione.

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