Mi chiamo Giulia Viola Pacilli e se leggere il mio nome vi fa corrugare la fronte nello sforzo di ricordare dove potreste averlo già sentito dovete ringraziare Luca Morisi.

Quest’uomo ha esercitato un enorme potere sulla mia vita: per ben due volte ha pubblicato il mio viso perfettamente riconoscibile su uno dei profili social più seguiti in Italia. Sul profilo social di chi, al tempo, era ministro dell’Interno e quindi, in teoria, garante della sicurezza dei propri cittadini.

Grazie a Luca Morisi ho trascorso mesi a ricevere a qualsiasi ora messaggi del calibro: «Solo un negro assatanato può scoparti», «Spero che ti decapitano lurido cesso di merda» (so che il congiuntivo è sbagliato, ma tocca riportare fedelmente), «Questa ragazza è la classica troia, puttana, zoccola che deve morire di cancro!», «Ti metto un palo in figa!», «So dove abiti, prega per te».

Centinaia di messaggi così, tutti i giorni, tutto il giorno. Mi venivano gli attacchi di panico se un tizio in metro mi guardava storto per più di due secondi. Chiamavo i miei amici in lacrime perché avevo paura di tornare a casa da sola.

Avevo ventidue anni all’epoca, ora ne ho venticinque. Quegli stessi amici mi hanno chiamata per chiedermi cosa ne penso di tutta questa faccenda su Morisi. E io vorrei essere più matura, vorrei dire loro di aspettare, di non fare il suo stesso gioco, di non mettere in giro ipotetiche fake news, di stare attenti quando si parla della vita privata di un individuo. Vorrei essere così matura. Ma se penso alla faccia di Morisi oggi, costretto a leggere ovunque di sé informazioni sensibili, frasi false, vicende personali, mi viene in mente un’unica parola: karma.

Io ho fatto il classico e mi è stato insegnato che chi pecca di hybris, chi da essere umano pensa di avere il potere di giocare con la vita delle persone, il più delle volte fa una brutta fine. Non viene risparmiato Agamennone, figuriamoci Morisi.

Per cui no, ai miei amici non dirò che mi dispiace per lui. Dirò che chi di social ferisce, di social perisce.

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