Questa settimana – durante i sedici giorni di dibattiti e proposte di OpenForumDD, l’iniziativa promossa dal Forum Diseguaglianze e Diversità – Actionaid è tornata e riunire esperti, istituzioni e società civile per provare a rispondere in maniera definitiva al bisogno di certezze che chi è colpito da catastrofi naturali esprime nel nostro Paese, come altrove.

La notizia è che si deve ormai presumere che anche a Palazzo Chigi sia chiaro quanto logico e urgente sia approvare un quadro normativo nel quale sia possibile immaginare uno sviluppo sostanziale sostenibile, a valle di un disastro naturale. Oltre la gestione dell’emergenza da perseguire assieme e non a dispetto delle cittadine e dei cittadini, anche e soprattutto per rilanciare in fretta, strategicamente e con forza una comunità ferita, sono necessarie conoscenze messe a sistema e pratiche partecipate. Questo è quanto emerge dal confronto pluriennale guidato da Actionaid, ma sostanziato proprio dai protagonisti stessi di tante vicende diverse.

Un paese fragile

L’Italia è un paese fragile, ripetutamente colpito da terremoti, alluvioni, frane. È fragile per la natura del suo territorio ma è reso ancora più vulnerabile perché il costruito e le forme del nostro abitare continuano a non fare i conti con la realtà che ci circonda.

Abbiamo negli occhi le conseguenze dei terremoti che hanno colpito l’Abruzzo nel 2009, l’Emilia-Romagna nel 2012, il Centro Italia nel 2016/2017 o degli eventi alluvionali nelle città di Genova, Venezia e molte altre. Eppure il dolore non si trasforma in politiche pubbliche capaci di farci trovare più preparati ad affrontare nuovi eventi e ogni ricostruzione si affronta come se fosse sempre la prima volta.

È una fragilità che colpisce quasi tutto il Paese. Secondo il Cresme (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio) che riprende i dati della Protezione Civile, l’Italia ha una pericolosità sismica medio-alta. Il 36 per cento dei comuni italiani (marzo 2015) sono in zona sismica 1 e 2, ovvero nelle zone più pericolose dove ci sono alte probabilità che capiti un forte terremoto (zona 1) o è quantomeno possibile che accada (zona 2).

Zone sismiche

In queste zone vivono più di 22 milioni di persone, 8,9 milioni di famiglie e sono presenti più di 6 milioni di edifici, la maggior parte ad uso residenziale. Di questi, sempre in zona sismica 1 e 2, oltre il 56 per cento è stato realizzato prima del 1970: un patrimonio edilizio datato, fabbricato senza l’utilizzo di tecniche costruttive antisismiche.

La nostra penisola è dunque ad elevato rischio sismico in termini di potenziali vittime, danni al costruito ed enormi implicazioni economiche. Dal 1968 ad oggi abbiamo contato oltre 5000 morti a causa di eventi sismici e circa un milione di sfollati. Abbiamo speso 170 miliardi di euro in poco più di 40 anni per ricostruire.

Secondo i Centri Studi parlamentari i terremoti degli ultimi 11 anni ci sono costati e ci costeranno più di 40 miliardi di euro, la metà delle risorse finanziate in deficit per far fronte alla fase iniziale della crisi causata dall’emergenza Covid-19.

Ripartire da zero

Ad ogni terremoto, la macchina organizzativa dello Stato ricomincia da capo con nuove norme, leggi, regolamenti e forme di governance istituzionale, creando incertezza normativa e allungando notevolmente i tempi di attuazione delle opere.

OpenDataRicostruzione, un sistema di monitoraggio della ricostruzione post sisma del 2009 realizzato dal Gran Sasso Science Institute, evidenzia che lo Stato ha ad oggi erogato circa 7,1 miliardi per la ricostruzione pubblica e privata nei comuni abruzzesi su un totale richiesto di oltre 12 miliardi.

Siamo poco oltre metà strada, dopo 11 anni. La situazione nelle quattro regioni colpite da eventi sismici nel 2016/2017, come si evince dalla Due Diligence condotta da Invitalia nel febbraio 2020 su richiesta del quarto Commissario Straordinario, Giovanni Legnini, alla guida della ricostruzione di quelle aree, è ancor più drammatica.

Il rapporto ci racconta infatti che, a fronte di 79.621 richieste di contributo per la ricostruzione degli edifici privati, solo 12.814 (16 per cento del totale) sono state recepite e che l’attività istruttoria svolta dagli Uffici Speciali si è conclusa solo per 6.413 (8%).

Solo 1.740 edifici privati, poco più del 2 per cento, sono stati ricostruiti. Poco incoraggianti anche i dati sulla ricostruzione pubblica dove, a fronte di 2.613 interventi previsti, ne risultano avviati 657 e conclusi solo 28 (1,07 per cento).

Dissesto idrogeologico

Oltre al rischio sismico esistono anche altre fragilità cui il nostro territorio è esposto, alcune delle quali sono strettamente interconnesse.

I dati elaborati dall’ISPRA sul dissesto idrogeologico aggiornati al 2019, per esempio, restituiscono un'immagine di un Paese fortemente soggetto a frane ed alluvioni. Sono più di 9 su 10 (91 per cento) i comuni italiani a rischio di dissesto idrogeologico.

Percentuale che arriva al 100 per cento in ben nove regioni, mentre sono oltre 3 milioni le famiglie (e circa 7 milioni di persone) residenti in zone a rischio. Complessivamente, il 16,6 per cento del territorio nazionale è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni (50 mila km2). Quasi il 4 per cento degli edifici italiani (oltre 550 mila) si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più del 9 per cento (oltre 1 milione) in zone alluvionabili.

Secondo il rapporto ISPRA, sono oltre 7 milioni le persone che risiedono in territori fragili: oltre 1 milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più di 6 milioni risiedono in zone a media pericolosità idraulica. Il rapporto annuale di Ispra Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici fornisce un altro dato scoraggiante: nel 2019 il consumo di suolo è aumentato di oltre 57,5 km quadrati e la copertura artificiale avanza anche nelle zone più a rischio del 7 Paese.

Consolidata la copertura del 10 per cento nelle zone a pericolosità idraulica media (P2) e il 7 per cento nelle zone a pericolosità idraulica elevata (P3), mentre la copertura artificiale occupa il 4 per cento delle aree a rischio frana, il 7 per cento delle zone a pericolosità sismica alta e il 4% di quelle a pericolosità sismica molto alta.

Un anno caldo

Ispra cura anche il rapporto annuale sugli indicatori sul clima in Italia, da cui si evince che il 2019 è stato un anno nettamente più caldo della media, con un picco di anomalia termica nel mese di giugno.

Nel corso dell’anno non sono mancati eventi meteorologici estremi, fra i quali forti temporali con precipitazioni di intensità eccezionale sugli intervalli di 12 e 24 ore, prolungate fasi di maltempo con precipitazioni 2 e 3 volte superiori alle attese. Si sono registrate forti mareggiate, frane e smottamenti.

Negli ultimi 50 anni il nostro Paese ha subito sei violenti terremoti: al verificarsi di ogni nuovo sisma si è sempre ricominciato da capo. I cittadini hanno vissuto incertezza radicale in merito ai propri diritti, si sono manifestate ingiustizie che hanno creato risentimenti e lacerazioni sociali, è stato carente (con importanti eccezioni) il diritto di partecipazione alle decisioni, si è moltiplicata la produzione legislativa e regolamentare e si sono allungati i tempi della ricostruzione, ci si è trovati impreparati nel costruire strategie di sviluppo da integrare ai piani di ricostruzione.

Una politica per la ricostruzione

L’Italia, nonostante l’altissimo rischio sismico (e quelli idrogeologici e di altra natura) che la contraddistingue, non ha una politica nazionale che regoli la ricostruzione: questo vuoto ha avuto un impatto negativo sulla vita dei cittadini e sul futuro dei territori colpiti, inducendo opportunismi politici di breve periodo sino, in alcuni casi, alla spettacolarizzazione della catastrofe.

ActionAid ed il Forum Disuguaglianze Diversità hanno messo a fuoco due dimensioni distinte dell’impatto di eventi distruttivi, le singole persone e i luoghi, analizzando la connessione tra gli impatti di ogni nuovo evento e le condizioni individuali e territoriali preesistenti alla catastrofe.

Le persone e le condizioni oggettive dei territori terremotati ci dicono che i nuovi “ostacoli al pieno sviluppo della persona umana” creati dal sisma sono tanto più alti quanto maggiori sono le disuguaglianze preesistenti tra gruppi e tra persone.

Ci dicono anche che se l’equilibrio socioeconomico precedente consentiva condizioni di benessere e di sviluppo, nella fase di ricostruzione si tenderà a ripristinare lo stesso equilibrio con tempestività (come accaduto in Emilia-Romagna).

Se invece l’equilibrio socioeconomico pre-esistente teneva il territorio in una trappola di sottosviluppo (scarso sfruttamento del potenziale, scarsa quantità e qualità dei servizi, declino demografico), l’evento distruttivo porterà il territorio o verso un peggioramento della situazione o aprirà un tempo e uno spazio di ridefinizione del futuro. Un evento catastrofico tende dunque anche nel nostro Paese ad amplificare le disuguaglianze di partenza. Di questo si deve tener conto quando si stabiliscono diritti e si definisce l’azione pubblica.

Cosa serve e cosa non si fa

Già prima che ActionAid iniziasse il processo partecipativo di #SicuriPerDavvero, l’esperienza aquilana aveva evidenziato come per affrontare ricostruzione e sviluppo in un modo che non amplifichi le disuguaglianze e sia rispettoso dei diritti delle persone servono tre cose:

  1. una normativa generale che fissi diritti e regole della ricostruzione e dello sviluppo post sisma, insomma, una legge nazionale sulla ricostruzione e lo sviluppo post-sisma;
  2. un centro amministrativo pubblico di competenza e responsabilità che attui quei diritti e quelle regole generali in modo flessibile a misura dei diversi contesti e attraverso un progressivo processo di apprendimento;
  3. spazi e metodi potenziati di partecipazione dei cittadini al processo di ricostruzione e di sviluppo.

Eppure in questi ultimi dieci anni, e nemmeno negli ultimi due in cui lo sforzo emersivo di #sicuriperdavvero si è fatto sistematico attraverso l’impegno di circa 400 persone che hanno avuto ruoli di rilievo in tante occasioni, nessun passo risolutivo sul piano della decisione politica è stato compiuto nell’ottica della sistematizzazione.

L’ultima chiamata

Ad evidenziare questo scandalo – nell’attesa magari di nuove macerie su cui versare lacrime di coccodrillo – le giornate del Forum Diseguaglianze hanno offerto lo spazio per una ultima chiamata alla maggioranza di governo, accorata quanto necessario se si pensa a 10.000 vittime e a circa 170 miliardi da noi tutti versati ad improvvisare dei “dopo” che si possono invece gestire molto più strategicamente.

Mi pare che ormai – pur nelle differenze di accento normali che emergono tra amministrazioni pubbliche con scopi differenti – il consenso sul da farsi sia manifesto e ben definito tra scienziati, cittadini ed in seno alle strutture pubbliche stesse. E dunque bussiamo la porta al Presidente del Consiglio pazienti e costruttivi, ma impazienti e preoccupati allo stesso modo, sapendo di aver costruito un percorso condiviso, non uno studio astratto: l’Italia è un paese fragile, ma la storia non si può ripetere ancora una volta.

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