Nei primi giorni di gennaio si è riproposta, per l’ennesima volta, la necessità/opportunità di una normativa sulle lobby. Meglio sull’attività di rappresentanza degli interessi. Purtroppo anche in questo caso, il framework in cui è stato inserito il dibattito ripropone lo stereotipo ormai consolidato: lobbying = corruzione o comunque pratiche poste in essere da soggetti che violano sistematicamente la legalità.

Nell’occasione due sono stati gli elementi “attivatori”:

- L’inchiesta sugli appalti Anas (ma il perimetro sembrerebbe più ampio) condotta dalla magistratura nei confronti della famiglia Verdini e della società Inver il cui operato, secondo la procura di Roma, si fonderebbe su specifici atti corruttivi e/o rientranti nel reato di traffico d’influenze;

- Le dichiarazioni del presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la conferenza stampa di inizio anno: «affaristi, lobbisti e compagnia cantante con noi non stanno passando un bel momento».

I due elementi sono ovviamente collegati tra loro.

L’eco mediatica dalle indagini rischiava di coinvolgere l’operato del proprio governo e quindi il presidente del Consiglio ha pensato bene di chiarire, a modo suo, ogni dubbio o perplessità. Da quei giorni in poi un susseguirsi di dichiarazioni, prese di posizione, proclami, impegni che, tranne rari casi, rientravano più nel campo della “politics” (intesa come dialettica e posizionamento tra le forze politiche) che della “policy” (soluzione di problemi).

Un quadro non edificante per chi come il sottoscritto ha iniziato a lavorare in questo settore nel 1991 e ha fondato la FB & Associati nel 1996… In questi lunghi anni ho visto naufragare qualsiasi tentativo di instradare senza pregiudizi il dibattito pubblico attorno a un tema rilevante come quello della rappresentanza degli interessi.

L’impressione è quella di partecipare a un eterno gioco dell’oca, con un percorso non lineare disseminato da una moltitudine di caselle “ritorna a quella di partenza”. Ma non ci vogliamo rassegnare. Ribadendo alcuni concetti fondamentali.

Della vicenda Inver / Verdini ci interessa poco. Perché non appartiene alla nostra sfera di competenza. Spetterà alla magistratura accertare se i comportamenti posti in essere dagli indagati sono penalmente rilevanti. Quello che è chiaro (così come il famoso caso del “Qatar Gate” di cui ormai si parla pochissimo) che con il lobbying non c’entra nulla. La rappresentanza degli interessi (economici e sociali) è un’attività complessa che viene condotta in modo trasparente, proponendo soluzioni di policy verificate e verificabili, fondate su dati e argomentazioni a sostegno, creando un clima d’opinione favorevole alle proprie istanze. Ricercando il consenso del decisore pubblico senza forzature o scorciatoie di sorta. Qualcosa di molto diverso dall’affarismo citato dal nostro presidente del Consiglio.

Al tempo stesso siamo consapevoli che occorra continuare a fare di più e meglio per il riconoscimento dell’attività (e conseguentemente della professione). La partecipazione, infatti, dei gruppi d’interesse alla formazione delle politiche pubbliche, che avviene appunto attraverso il lobbying, rappresenta un imprescindibile contribuito alla qualità della decisione pubblica e alla vita democratica. Questo processo non passa attraverso la demonizzazione delle lobby: al contrario, attraverso la definizione di un insieme di comportamenti, prassi, e forse anche norme che permetta di identificare e promuovere i gruppi di interesse.

Solo attraverso la loro moltiplicazione e organizzazione, e solo attraverso un sistema politico ed istituzionale che, dopo l’esplicito riconoscimento, ne permetta lo sviluppo e la competizione, si può sperare di avere un Paese moderno. Questo cambiamento di mentalità e prassi può determinare una situazione sociale, politica ed economica migliore rispetto a quella precedente.

È una sfida non solo contingente ma anche culturale, quindi di più ampio respiro. A cui non vogliamo sottrarci. Continuando a partecipare, nel nostro piccolo, al dibattito pubblico sulla necessità di una regolamentazione della rappresentanza degli interessi non penalizzante, poco burocratica, trasparente e che ponga tutti gli interessi sullo stesso piano. In quest’ottica deve essere anche letto l’appello firmato da alcuni professionisti del settore (sottoscritto anche da noi) e rivolto proprio al governo. Da un lato, presidiando attivamente gli spazi che le istituzioni vorranno accordarci nella discussione di proposte normative sul tema; dall’altro contribuendo a creare una nuova generazione di decisori e di professionisti del settore che abbiano una maggiore consapevolezza della funzione e delle corrette modalità con cui si deve svolgere l’attività di rappresentanza.

La nostra partecipazione all’ideazione e alla realizzazione del primo Master dell’Università La Sapienza (la prima Università d’Europa) su “Gruppi d’interesse e lobbying” deve essere inquadrata proprio in quest’ottica. Un tentativo di modificare alcuni bias cognitivi che da sempre affliggono la nostra professione. L’auspicio è che questa inedita collaborazione contribuisca a spazzare, almeno in parte, i pregiudizi sulla professione (che non fanno certamente bene al settore e al processo democratico, di cui i rappresentati di interesse sono interlocutori necessari), e che possa avere quindi un impatto positivo sulla nostra comunità professionale.

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