Ringrazio il presidente Lorenzo Bini Smaghi per l’attenzione dedicata al mio intervento del 20 Ottobre scorso sulle ragioni del No al Mes sanitario. Ricevere lezioni non soltanto di economia, ma anche di politica da una fonte cosi autorevole è privilegio raro. Mi permetto, da studente indisciplinato e irriconoscente, di contraddire le sue verità. Seguo l’ordine dei suoi rilievi significativi.

1) Non ho scritto da nessuna parte che si deve “finanziarie le spese sanitarie per far fronte all’emergenza con titoli a scadenze brevi”. Ho citato i rendimenti negativi sui Bot di durata inferiore a 5 anni per sottolineare la disponibilità di liquidità sui mercati, confermata giovedì scorso dall’enorme domanda (11 volte l’offerta) di titoli italiani a 30 anni.

2) Il presidente Bini Smaghi scrive, forse per distrazione, ma tant’è: «La quantità di titoli acquistati dalla Bce viene decisa indipendentemente dalla scelta dell’Italia di aderire o meno al Mes o dell’ammontare di debito emesso».

E’ davvero sorprendete, soprattutto quando l’affermazione viene da un ex componente del board dell’istituto di Francoforte. La Bce interviene per tenere sotto controllo gli spread.

Se a metà marzo scorso la presidente Christine Lagarde non avesse immediatamente ritrattato la sua infelice dichiarazione sul disinteresse della banca centrale verso i tassi di interesse pagati dai singoli stati sarebbe venuto giù tutto.

L’ammontare di debito pubblico da emettere e emesso è stato il driver del Pepp e dei conseguenti enormi acquisti. Oppure, quest’anno, a Francoforte hanno deciso di inondare di liquidità il mercato dei Govies dell’eurozona per fulminante conversione all’MMT?

Per il nostro bilancio pubblico, 36 miliardi di Mes sanitario avrebbero ridotto di 36 miliardi gli acquisti della Bce perché, come noto, abbiamo fissato un limite di indebitamento in relazione al livello del nostro debito.

Quindi, è esattamente il contrario di quanto sostenuto da Bini Smaghi: i risparmi di interesse ottenuti attraverso il Mes sarebbero sostituivi degli utili rinvenimenti dalla Banca d’Italia sul corrispondente ammontare di Bot a 10 anni. La replica potrebbe finire qui. Ma, da instancabile nerd, andiamo avanti.

3) Il mio gentile interlocutore scrive anche che non vi è evidenza empirica sugli effetti di un credito privilegiato sul restante ammontare di crediti. Vero.

Quindi, come fa ad escludere apoditticamente conseguenze negative? Perché dobbiamo assumerci tale rischio senza alcuna ragione?

4) Nel suo intervento, Bini Smaghi nega anche la possibilità di un effetto stigma, sia perché anche qui mancherebbe evidenza empirica, sia perché «il via libera al Mes, Sure e Recovery Fund è stato ben accolto dai mercati finanziari».

Lasciamo stare il fatto che la letteratura economica abbonda di misurazioni di effetto stigma, ma è fuori luogo il richiamo alle conseguenze positive sui Govies europei del varo dei 3 strumenti citati. Perché? Perché l’effetto stigma scatta quando sei il solo a fare ricorso al pronto soccorso.

Sul Sure, come ho già scritto, sono 17 gli Stati richiedenti. Il Recovery Fund riguarda tutti. Il Mes nessuno. Come mai? Eppure ha, anche per ciascuno degli altri 16 Stati beneficiari del Sure, la stessa convenienza attribuita al Mes sanitario.

5) A proposito di vincolo esterno, il punto non è la sorveglianza rafforzata, ma quanto previsto dallo Statuto del Mes e da vari articoli dei Regolamenti attuativi del Two Pack ad esso collegati, non derogati dalla lettera dei Commissari Dombrovskis e Gentiloni né dagli atti del Board del Mes.

Lo Statuto del Mes, all’Art 14 (6), indica: «Dopo che  un membro del Mes abbia già ottenuto fondi una  prima volta (per mezzo di un prestito o di un acquisto sul mercato primario), il consiglio di amministrazione decide di comune accordo su proposta del direttore generale e sulla base di una  valutazione condotta dalla Commissione europea, di concerto con la  Bce, se la linea di credito è  ancora adeguata o se sia necessaria un'altra forma di assistenza finanziaria».

Come ho già scritto, le condizonalità non sono all’accesso, ma dopo l’accesso: un cliente con un debito al 160per cento del Pil, in uno scenario ad inflazione quasi zero, è oggettivamente a rischio di solvibilità ed esposto a “un’altra forma di assistenza finanziaria”.

E’ evidente che evitare il Mes sanitario non ti mette al riparo dal rischio di soccorso del Mes ordinario, senza adeguato sostegno della Bce. Ma proprio qui sta il punto politico: siamo in una fase drammatica, un’economia di guerra per contrazione, mutazione strutturale del contesto e incertezza.

Dovremmo smettere di perdere tempo con discussioni inutili sul terreno finanziario e di finanza pubblica. Il Mes sanitario vale 36 miliardi, a fronte di interventi della Bce che, nel 2020, per l’Italia arrivano a 220 miliardi e altri circa 150 miliardi in un scenario ottimistico per l’anno prossimo.

Una classe dirigente seria e consapevole dovrebbe dedicarsi h24 a costruire le condizioni di legittimazione politica affinché Francoforte faccia quanto deve fare una banca centrale durante una fase di guerra e dopo la fine della guerra: acquistare quanto necessario per vincere la guerra e dopo, nella fase della ricostruzione, rolling over dell’ammontare acquistato.

In sintesi, se la Bce, a rafforzamento di quanto ha incominciato a fare, fa il mestiere che dovrebbe fare, come la Fed, la BoE, la BoJ, ricorrere al Mes sanitario è autolesionistico in quanto non ci serve, ma restringerebbe ulteriormente i nostri esigui spazi di autonomia politica.

Se la Bce non fa il mestiere che dovrebbe fare, il Mes sanitario è irrilevante perché dobbiamo ristrutturare il nostro debito pubblico con l’incursione del Mes ordinario. A tal proposito, oltre ad aver letto le valutazioni dell’Osservatorio sui conti pubblici, ho anche letto l’appello di un centinaio di economisti italiani (sottoscritto anche da Fitoussi e Galbraith), tra i quali accademici di rilievo internazionale. Lo segnalo al presidente Bini Smaghi.

6) in merito alle ragioni delle file per i tamponi e del numero delle terapie intensive non ho scritto che derivano “da problemi burocratici”, sebbene la riforma della burocrazia è il primo punto delle raccomandazioni di tutte le istituzioni economiche e finanziarie all’Italia.

Ho scritto che i problemi «non derivano da scarsi stanziamenti nei mesi scorsi, ma dai tempi di programmazione e realizzazione di strutture e servizi».

Cito, sul punto, quanto contenuto nell’Analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici, al presidente Bini Smaghi così caro, pubblicata 4 giorni dopo (24 Ottobre). «Le ragioni del ritardo risiedono nell’iter previsto per la programmazione e, in generale, in un’azione della pubblica amministrazione che non è stata in grado di realizzare gli obiettivi anche in presenza di risorse finanziarie adeguate». Gli consiglio di leggerla.

7) Per quanto riguarda le lezioni di politica, mi arrendo.

In conclusione, mi limito a segnalare un punto, nonostante dovrebbe esser chiaro sul versante epistemologico. L’economia nasce come e rimane, nonostante il dominio neo-liberista, disciplina morale.

E’, quindi, politica, al di là del “nucleo ragionevole” segnalato da Federico Caffè, ossia esprime orientamenti valoriali diversi e impatta in modo diverso sui diversi interessi economici e sociali.

Pertanto, il sottoscritto non intende raccontare verità oggettive. Considera, prioritariamente e esplicitamente, gli interessi degli esclusi, dei precari, dei lavoratori subordinati e autonomi e delle piccole imprese dipendenti dalla domanda interna. In riferimento a tali interessi, è impegnato a proporre e, per quanto nelle sue possibilità, dare un’attuazione attiva al vincolo esterno europeo e dell’eurozona.

Perché la “costituzione” dell’Ue e dell’eurozona, in particolare il mercato unico e la moneta senza Stato, sono principi ordinatori che, come scriveva Guido Carli, alimentano la svalutazione economica, sociale e politica del lavoro.

Per tali ragioni, ad interessi diversi, ovviamente altrettanto legittimi, è funzionale il vincolo esterno più stringente possibile.

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