La reazione della Polonia a quel che sta accadendo da alcune settimane al confine con la Bielorussia è semplicemente allucinante e intollerabile.

Se le istituzioni europee tacciono e lasciano fare si mostrano una cosa sola: complici. Il fatto che tutto sia nato dell’ennesimo gravissimo atto della Bielorussia di Lukashenko non muta la sostanza del problema.

In gioco c’è la vita, vera, reale, di bambine e bambini, di donne, di uomini. Quel che abbiamo voluto mostrare - Pietro Bartolo, Brando Benifei e il sottoscritto - attraverso la nostra missione parlamentare nelle terre segnate dal dramma dei migranti è allora proprio quello che vorrei definire come “senso dell’urgenza”.

Ogni giorno che passa, infatti, si accumulano drammi, dolore e spaesamento. I migranti, nel  vuoto delle scelte della comunità internazionale, sono costretti alla continua fuga se va bene, o alla sofferenza se va male.

Tutto questo accade, lo ribadisco, al di “qua” dei nostri confini europei e con una inaudita criminalizzazione di qualsiasi tentativo di prestare soccorso.

Sia chiaro: non è la prima volta che si verificano atti di incomprensibile e cinica chiusura nei confronti dei profughi (come ad esempio abbiamo recentemente raccontato scrivendo dalla Bosnia e dai Balcani o come spiega lo scandalo dei campi libici) tuttavia non conosce termini di paragone, almeno nel Vecchio Continente, l’azione repressiva compiuta ai danni di chi porta, nelle foreste paludose e inospitali, medicinali, acqua, coperte.

Leonid Shcheglov/BelTA via AP

La Polonia, ancora una volta, a causa delle scelte compiute dal suo governo, si caratterizza come un avamposto autoritario.

Ne fanno le spese gli attivisti delle organizzazioni umanitarie: persone intimidite, picchiate, minacciate, costrette a non rivelare le proprie identità. Tutto ciò per ribadire che la questione della crisi provocata dalla “Bielorussia” è  certamente costituita pure dalla “Polonia”. O meglio dalle scelte di chi governa il Paese. Quel che accade è ancora tollerabile?

E come si può reagire di fronte a comportamenti talmente scellerati? Queste domande non sono rinviabili, chiamano in gioco l’Europa, la sua identità, la coerenza con i suoi principi e valori ispiratori.

A mio modo di vedere ci sono almeno due ordini di aspetti che devono scaturire dallo scenario che si è determinato. Innanzitutto ovviamente vi è la necessità di cambiare tutto nel campo della politica migratoria e di chiedersi se non sia giunto il momento di rafforzare la cooperazione, dentro la Ue, tra quei Paesi che, pur tra mille errori e contraddizioni, non si sono ancora fatti incantare dalla retorica dei “muri”, come invece accade dalle parti di Ungheria, Polonia e non solo.

Poi c’è, ancora una volta, davanti a noi, il tema riguardante la qualità della democrazia e quello del rispetto dei diritti umani e civili.

Sinceramente non credo, infatti, che queste possano essere parole utilizzate genericamente. Riguardano il senso stesso dell’appartenenza alla casa comune europea. Il conflitto apertosi già alcune volte in questi mesi con i vertici polacchi sullo stato di diritto e sul rispetto della dignità della persona è un terreno obbligato.

Siamo di fronte a insistiti tentativi di criminalizzare le persone omosessuali, di combattere l’autodeterminazione della donna, di mettere il bavaglio all’opposizione,  ai giudici e all’informazione e, infine, per l’appunto, di reprimere qualsiasi forma di aiuto verso migranti che si trovano imprigionati da un conflitto che non hanno né cercato né tantomeno provocato.

Il vento autoritario che attraversa questo tempo non può essere contrastato con politiche incerte e non si può immaginare l’Europa come un bancomat da utilizzare alla bisogna senza che vi sia il rispetto di alcuni prerequisiti fondamentali.

Il Parlamento europeo ha già fatto sentire la propria voce, son convinto continuerà a farlo. La Commissione e i governi non possono né potranno restare fermi.

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