“Poi succede che un giorno alzi la testa e dici: basta, non è possibile pensare di andare avanti così.” Queste parole arrivano da una nuova lettrice di Domani. Nella newsletter Non possiamo fare tutto abbiamo sollevato un tema: a pagare il conto della “crisi Covid” sono le donne, più degli uomini.

Guadagniamo meno, contribuiamo di più ai carichi familiari e nel frattempo lavoriamo - spesso precarie, malpagate. Non in tutti i Paesi la diseguaglianza è altrettanto pesante, ma ovunque la disparità c’è; si vede (dai dati), si sente (ce lo state raccontando anche voi) e va affrontata.

Le vostre esperienze, idee, proposte stanno arrivando alla mail lettori@editorialedomani.it e vi invitiamo a mandarne altre: questo canale rimarrà aperto, vogliamo tenere viva l’attenzione e stimolare il dibattito sul tema.

Ecco alcune delle storie arrivate.

Non sono Wonder Woman

Mi chiamo Elena Torta e sono una mamma di tre figli che lavora. Non sono Wonder Woman anche se ho tre figli e un lavoro. E non cerco neanche un parcheggio per i miei bambini per poter andare a lavorare, anche se mi viene rimproverato spesso. Il sentimento di dover star dietro a troppe cose mi accompagna da quando è nato il nostro primogenito 11 anni fa - ma con l’emergenza Covid, il lockdown e la chiusura delle scuole a marzo, il fare più cose allo stesso tempo è diventata una modalità costante, assillante, impossibile da sostenere.

La didattica a distanza e il lavoro da casa sono state presentate come soluzioni all’emergenza, ma un connubio inconciliabile se non a spese della salute mentale e fisica dei genitori, soprattutto delle madri. A meno che non si pensi che all’improvviso abbiamo tutte acquisito superpoteri e siamo diventate capaci di rispondere alle email di lavoro mentre aiutiamo una figlia a fare un calcolo, un altro a scrivere un tema sulla struttura sociale della Roma imperiale e un’altra ancora a ritagliare le forme geometriche. Tutte cose che poi dovranno essere scannerizzate e mandate per email a sei insegnanti diversi. Il tutto mentre partecipiamo a chiamata su zoom e mentre la lasagna è in forno. Ogni giorno, per settimane, mesi.

Poi succede che un giorno dici “Basta, non è possibile pensare di andare avanti così.” Ma non è facile sollevare obiezioni durante un’emergenza sanitaria, chiedere aiuto, far notare che si sta obliterando il diritto inalienabile all’istruzione dei nostri figli. O vieni accusata di non tenere conto dei rischi, oppure arriva il ritornello “mica la scuola è un parcheggio dove scaricare i figli dei genitori che lavorano!”

Come mai in Italia si accusano soltanto le madri di cercare un parcheggio per i figli? Nessuno accusa i padri, che da sempre sono fuori casa per lavoro. Perché appena si solleva il problema di non riuscire a conciliare la vita familiare con il lavoro in queste condizioni, veniamo accusate di non essere brave madri?

E allora ci si ritrova in un vicolo cieco: o siamo Wonder Woman che riesce non solo a fare tutto, ma ancora più di tutto visto che siamo diventate anche maestre di scuola da un giorno a un altro, oppure siamo madri scellerate.

Vogliamo gli stessi ruoli e le stesse retribuzioni

Sono Giovanna Martelli del movimento Dalla stessa parte. Grazie a Domani per aver aperto questo confronto sul divario salariale tra donne e uomini in Italia.

Ancora oggi ci è negata la possibilità di esprimere la nostra potenzialità nel lavoro, con gli stessi ruoli e con le stesse retribuzioni degli uomini. Questa è la forma di violenza che prefigura tutte le altre, sancisce la divisione sessuale del lavoro e conferma che le donne non sono soggetti autonomi.

Siamo lavoratrici integrate nel modello maschile, costrette ad adattarci ai tempi e ai modi dell’organizzazione maschile del lavoro. E' venuto il tempo di agitarci e organizzarci negli spazi di libero confronto che si vengono a creare.

Lascio per la riflessione collettiva tre punti per discutere insieme.

  1. Obbligo per le aziende private e pubbliche che occupano più di 15 dipendenti di introdurre l’uguaglianza del salario, a parità di mansione, tra donne e uomini. L’uguaglianza è riferita a tutte le parti del salario, sia fisse che accessorie.
  2. Introduzione di meccanismi premianti per le aziende che dichiarano la parità salariale. Un esempio: le pubbliche amministrazioni potrebbero introdurre, per le aziende che attestano l’uguaglianza salariale, punteggi premio per l’affidamento dei servizi.
  3. Introduzione di un fondo statale, da destinare alle imprese, per incentivare l’uguaglianza salariale.

La riflessione e il confronto che promuoveremo sulle pagine di Domani ci aiuterà a pensare una grande mobilitazione su un punto, quello della parità salariale, che tiene tutte, nessuna esclusa… dalla stessa parte.

L’innovazione non è “una cosa da maschi”

Mi chiamo Rosita Rijtano e sono una giornalista. Quante sono le giornaliste italiane che si occupano di tecnologia e innovazione? Basta scorrere le sezioni dedicate alla tecnologia dei quotidiani online: a firmare gli articoli sono quasi sempre uomini. Eppure di donne appassionate ne conosco tante. Mi chiedo se questa disparità, che inevitabilmente si traduce in un taglio prettamente maschile all’argomento, non contribuisca ad alimentare il divario digitale di genere.

Mi chiamo Elisabetta Basilico e sono una ricercatrice nel settore della Finanza; un settore dove la sottorappresentanza femminile è elevatissima, soprattutto nel risparmio gestito (secondo un report della J.L. Knight Foundation, solo l’1,1% degli asset globali sono gestiti da donne).

Siamo meno brave? Atkinson, Baird e Frye hanno già dimostrato che fondi di investimento gestiti da uomini e donne non hanno differenze statisticamente significative in termini di rischio, performance e costi. L’unica caratteristica diversa è il turnover di portafoglio (cioè quante volte i gestori ruotano il loro portafoglio), che è inferiore per la gestione femminile.

Nonostante questo, gli investitori preferiscono le gestioni maschili, come hanno mostrato Alexandra Niessen-Ruenzi e Stefan Ruenzi nel loro studio del 2018. Questo potrebbe portare a meno assunzioni femminili dall’industria del risparmio gestito perché le case di gestione avrebbero paura di non raccogliere sufficienti risparmi dagli investitori che prediligono gestori maschi.

Nelle emergenze veniamo sacrificate

Sono MariangelaMaritato e la crisi economica, nel 2008 prima, da emergenza Covid poi, l’ho vissuta da mamma single e precaria. Nel 2007 persi una collaborazione, mentre la tranquillità se ne andò con una separazione.

Con la crisi Covid mi sono ritrovata a gestire da sola, con il solo appoggio dei nonni paterni anziani, spesso spaventati, smart working e lavoro a scuola, casa, educazione di mia figlia, bilancio familiare e progetti indipendenti.

Viviamo una realtà patriarcale che sacrifica le donne due volte: prima sull’altare del lavoro aziendale - meno produttive se anche casalinghe - e poi su quello reddituale, considerato che la trasparenza e l’importanza del merito si scontrano con percorsi di precarietà.

Un Paese è senza crescita perché mette educazione, istruzione, minori e donne con le spalle al muro compromettendo le dinamiche di accesso. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Continuate a mandarci le vostre storie e le vostre opinioni a lettori@editorialedomani.it.

Qualche spunto: nella vostra esperienza è stato possibile conciliare lavoro e famiglia durante il lockdown?

Se sì, come? Se no, come bisognerebbe secondo voi riequilibrare le cose a favore delle donne?

Quali conseguenze ha avuto la pandemia sul vostro reddito, se ne ha avute?

Sono cambiate le dinamiche sul lavoro e i rapporti con chi ha ruoli dirigenziali? E le relazioni con i vostri partner maschili, a casa e fuori, come si sono trasformate?

Secondo voi le diseguaglianze, che si sono acuite e sono emerse ancor più durante l’emergenza, sono destinate a diventare sistemiche? Cosa fare per impedirlo?

Come invertire la rotta?

Vi aspettiamo, a Domani.

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