Come farà Draghi a formare un governo che non si identifichi “con alcuna formula politica” nel momento in cui sono necessarie scelte chiare e nette per utilizzare al meglio gli strumenti europei, ma anche per avviare riforme che ne superino di molto la portata e per contare sui numerosissimi tavoli che in Europa e a livello globale ne determineranno il futuro?

Io credo che per evitare i “Draghi Grigi” giustamente paventati da Piero Ignazi, bisognerebbe non solo uscire dalla logica delle bandiere di partito e dei loro slogan, ma costruire un governo con un arcobaleno di colori – e cioè di approcci e culture più che di schieramenti – in cui il verde ecologista, il rosa femminile e il blu Europa abbiano un ruolo ben visibile e trovino una armoniosa combinazione con il giallo più libertario e sensibile ai diritti che quello grillino ortodosso, il rosso di una politica sociale che punti su una rivoluzione del welfare e dell’istruzione in direzione digitale e di vera e propria ricostruzione di competenze e cultura e magari anche un po’ di bianco da “cattolici adulti”.

Verde, rosa e blu

Bisognerebbe inoltre trovare una composizione del governo nella quale i cosiddetti “tecnici”, non sono scelti fra coloro dediti a studi astratti o esperti di numeri, bensì tra le ormai numerose personalità che hanno dimostrato di sapere mettere la loro esperienza al servizio di soluzioni concrete per rispondere alla necessità di cambiamento e al disagio cosi diffusi e che sono in diretto contatto con il mondo associativo.

Sui colori, facile capirsi, meno agire concretamente, andando al di là degli slogan. Un governo “rosa” non è solo un governo perfettamente paritario nei numeri e nei ruoli, elemento questo che dovrebbe essere “normale” ma che non lo è per nulla anche solo considerando la composizione a totale predominanza maschile delle delegazioni che si sono recate da Draghi. Ci vorrebbe anche una sistematica valutazione di impatto di genere di ogni provvedimento e un ministero delle pari opportunità staccato da quello della famiglia e con un cospicuo portafoglio.

Evitare le ipocrisie

Un governo “verde” dovrebbe sapere superare la visione dei governi precedenti di una pennellata di verde qua e là a politiche energetiche e industriali ancora fortemente ambigue; una visione ancora incerta sulla portata in termini di lavoro, competitività, diminuzione delle diseguaglianze, che potrebbe portare una chiara scelta a favore di rinnovabili ed efficienza energetica, economia circolare, politiche urbane e “grandi opere”, come la manutenzione e “riparazione” del territorio, delle strade e dei trasporti pubblici locali e regionali.

Infine, anche il blu Europa non è cosi univoco; ci sono molti modi di essere “europeisti”, soprattutto se oggi pure Salvini rivendica di esserlo.

Draghi per primo sa che si tratta di etichette che si prestano ad almeno tante ambiguità quanto la ripetizione ossessiva di “sostenibile” messo davanti a tutto, dalla Tav alle autostrade inutili o alle trivelle nell’Adriatico. Intanto, essere “europeisti” non significa seguire pedissequamente Angela Merkel o Emmanuel Macron, ma nemmeno assecondare sempre la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, che parla poco con i suoi Commissari ed è esposta a errori gravi di valutazione (anche a causa dei suoi ovvi legami con la Germania), come si è visto nel caso della gaffe sui controlli all’esportazione dei vaccini.

Essere “europeisti” oggi significa definire per l’Italia una linea di azione non solo sulle numerose decisioni che dovranno essere prese nei prossimi mesi, a partire dall’attuazione del Green New Deal, ma anche essere portatori di una vasta agenda di riforma democratica che renda l’Unione europea capace di agire come oggi non sa fare, bloccata da veti nazionali e derive autoritarie.

 

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