Una delle conseguenze più gravi della pandemia è la perdita di posti di lavoro, anzitutto quelli di donne e giovani. I numeri dicono che il peggio deve ancora venire. La crisi ha investito il mondo dei servizi, delle piccole imprese e del lavoro autonomo delle donne determinando un calo occupazionale di 444mila unità nel 2020 (di cui il 70 per cento donne). Nel solo mese di dicembre 2020, la cifra è 101mila, di cui quasi tutte lavoratrici indipendenti. E cosa si fa sul piano legislativo? 
La legge di bilancio per il 2021 ha istituito il fondo a sostegno dell’impresa femminile (articolo 1, comma 97 e seguenti). Lo stanziamento, modesto, è di venti milioni di euro per gli anni 2021 e 2022. Il meccanismo, gestito dal ministero dell’Economia e delle Finanze, appare virtuoso perché prevede il coinvolgimento del ministero delle Pari opportunità e la costituzione di un “Comitato impresa donna” con compiti di indirizzo, analisi e raccomandazioni. Due ministeri, quindi, che lavorano insieme, coordinando visione e impegno.
C’è poi la proposta di piano nazionale per la ripresa e la resilienza (pnrr) che presenta una misura di supporto all’imprenditoria femminile con un impegno di 400 milioni di euro da investire nel prossimo quinquennio. Le parole ricorrenti sono: «fare sistema». Oltre a dirlo, va fatto, però.
È proprio sul fronte della concretezza che iniziano i problemi.

Il decreto fantasma

IL DECRETO FANTASMA

Il fondo a sostegno dell’impresa femminile non è operativo, lo diventa solo attraverso un decreto interministeriale che va adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di bilancio. A oggi non c’è traccia del decreto che disciplinerà le modalità per attuare gli interventi previsti: sostegno all’avvio e al rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale delle imprese femminili (in particolare nell’alta tecnologia); diffusione della cultura imprenditoriale tra le donne; formazione e orientamento verso materie e professioni in cui le donne sono sottorappresentate.
Si tratta di interventi che vanno dall’investimento finanziario a quello nelle competenze e abilità delle donne, in particolare le giovani e le donne che tornano a lavorare dopo periodi anche lunghi di inattività anche dovuti al carico della cura familiare.
Azioni che richiedono attuatori differenti: da un lato, enti o agenzie pubbliche in grado di gestire l’erogazione dei finanziamenti, dall’altro lato, la consulenza di impresa e manageriale. Occorre accelerare su questo fronte.
Passando al piano (pnrr), la revisione fatta e quella in corso non sono ancora soddisfacenti. Nella descrizione del capitolo dedicato a “Inclusione e coesione” si legge che intende contribuire agli «obiettivi trasversali di sostegno all’empowerment femminile e contrasto alle discriminazioni di genere». Tuttavia il progetto per l’imprenditorialità femminile, che dovrebbe in primo luogo migliorare l’empowerment delle donne, è stato inserito nella componente “politiche per il lavoro” per partecipare piuttosto all’obiettivo dell’occupazione. 
Ma non è tutto. Nel dettaglio delle misure di promozione dell’imprenditoria femminile, c’è la dichiarazione di intento di sostenere l’imprenditoria femminile come strumento di autonomia economica, che «può costituire un importante contributo per sostenere le donne vittime di violenza nel loro percorso verso l’autonomia economica»: le donne sono intese ancora una volta come soggetti da includere e da proteggere, incastrate in un ruolo di riserva a completamento del lavoro maschile.

ALCUNE PROPOSTE CONCRETE

Nel piano si enuncia pure l’intenzione di sistematizzare e ridisegnare gli attuali strumenti di sostegno all’avvio, realizzazione e rafforzamento di progetti aziendali innovativi per imprese a conduzione femminile o prevalente partecipazione femminile.
È necessario, per la fase che stiamo attraversando, chiarire le modalità di integrazione tra i due strumenti descritti a sostegno dell’imprenditori, esplicitandone le finalità. Importante indicarne alcune, considerate fondamentali. Per primo, il riconoscimento del valore del ruolo di leader delle donne e delle imprese da esse guidate, diverse dalle imprese “a prevalente” presenza femminile coinvolgimento dell’associazionismo femminile di settore nel Comitato impresa donna. Poi c’è il rafforzamento della dotazione finanziaria del fondo per l’imprenditoria della legge di bilancio, per aumentare l’incisività e la copertura territoriale e settoriale delle tre tipologie di intervento previste dalla norma. Serve pure una specifica attenzione all’imprenditoria femminile nei settori più colpiti dalla crisi: turismo, cultura, ristorazione, servizi di cura, e così via. Vale la pena anche considerare la creazione di un elenco di consulenti accreditati con esperienza pluriennale di accompagnamento delle donne nei percorsi di autonomia economica e creazione di impresa e di un sistema di voucher per servizi di consulenza. Bisogna attribuire risorse per i servizi di cura destinati alle lavoratrici autonome e alle imprenditrici. Serve la creazione di una piattaforma online dell’imprenditorialità femminile di riferimento per lavoratrici autonome, professioniste, imprenditrici e microimprenditrici.
Questo è il momento di trasformare le parole sulla carta in azioni concrete.

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