I cambiamenti sociali si costruiscono su un insieme di pratiche che riguardano i singoli, partono dall’impegno di ciascuna e ciascuno, ma si inquadrano in un sentire comune. Come mai è così difficile oggi far partire questo processo in campo ambientalista? Come mai prevalgono ancora le divisioni e i temi ambientali non diventano temi di massa, e la stessa pandemia che ha messo in luce le fragilità, le debolezze, le conseguenze del disequilibro tra uomo e ambiente, i pericoli per la salute dell’inquinamento, non fa salire l’attenzione verso certi temi ma addirittura la fa scendere? Sono domande che dobbiamo porci, come cittadini impegnati nelle sfide per la crisi climatica e come generazione che guarda con ansia e preoccupazione al proprio futuro.

Serve un’azione di massa

C’è un aspetto che non va trascurato, se fino ad alcuni decenni fa il peso di cambiamenti individuali e dei piccoli passi poteva ancora incidere sulla situazione ambientale, oggi il conteggio della quantità di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto livelli che rendono necessarie scelte politiche di fondo e urgenti per scongiurare il collasso climatico.

Ma limitarsi a puntare il dito contro la politica è i governi e denunciare una scarsa sensibilità verso questi temi non è sufficiente e anzi rischia di mettere in campo un pericoloso processo di deresponsabilizzazione.

In quasi due anni di attivismo, ho imparato che ognuno di noi ha delle responsabilità, più o meno grandi a seconda del ruolo che si ricopre nella società. E soprattutto, ognuno di noi ha una voce che può usare o per lamentarsi verso una società ineguale o per tentare di cambiare la realtà in qualcosa di meglio. Una voce che può essere usata anche per sensibilizzare e parlare dei temi ambientali, facendoli conoscere ad altri.

Anche perché la consapevolezza e l’informazione sono cruciali, e il nostro Paese ha una carenza di luoghi della cultura e di luoghi dove creare comunità (a maggior ragione oggi: i teatri e i cinema sono i primi che hanno chiuso con l’emergenza sanitaria).

Credere nella cultura

Credo nell’informazione e nella cultura, e penso che più si informa su questi temi, più hai la possibilità di arrivare a una soluzione comune. Nell’epoca del social e dell’individualismo dilagante, riscoprire che si può essere un’insieme di puntini da unire verso un unico traguardo, quello della svolta ambientale, forse può essere la chiave per cambiare anche una società consumistica, del tutto e subito, facendo riformulare anche la nostra autostima, spesso ormai misurata a suon di likes e followers.

L’uso della borraccia da parte di ognuno non potrà risolvere il problema della crisi climatica, anche perché ci sono 100 aziende che sono responsabili del 71 per cento delle emissioni globali (fonte Carbon Disclosure Project). Però, sono certa che sedersi sul divano, scrivere post contro tutti e non fare nulla per cambiare non sia una soluzione efficace.

Occorre costruire una giusta via di mezzo tra questi due atteggiamenti. Anche perché il cambiamento parte sempre dal basso, e dalla consapevolezza, dall’informazione, dalla cultura, dal riconoscersi come cittadini consapevoli che possono incidere sul proprio destino.

Il tema ambientale diventato quindi strettamente connesso con quello politico e sociale, e ci pone davanti la necessità di un modello economico diverso, non fondato sul consumo e sul consumarsi, e un modello sociale diverso, che non consuma legami e relazioni. E chiama a gran voce una politica diversa, non più fatta di personalismi e di narcisismi, ma ricca di valori, di visioni, di costruzione, di comunità e di legami. Il tempo dell’impegno per una società più sostenibile sul piano ambientale, economico, sociale e umano è più che maturo.

© Riproduzione riservata