Durante lo scorso anno, il più caldo della storia recente, le proteste degli attivisti per il clima sono diventate più radicali. La disobbedienza civile è una componente fondamentale dell’attivismo, soprattutto quando la politica ignora la voce di chi chiede un cambiamento. Eppure, porre freno alla crisi climatica richiederà una rivoluzione: dal nostro stile di vita alla struttura dell’Unione europea. Pianificare la transizione con coraggio e consapevolezza è l’unica possibilità che abbiamo.

Questo fine settimana gli attivisti di Ultima generazione hanno imbrattato la scultura simbolo di piazza Affari, mentre gruppi della rete A22 compiono azioni simili in tutta Europa. Intanto Lützerath, una cittadina della Germania occidentale, è diventata simbolo dello scontro per il clima: migliaia di attivisti, tra cui Greta Thunberg, stanno protestando contro l’ampliamento della miniera di carbone dell’azienda Rwe, concesso da un governo nel quale la seconda forza sono i Verdi.

Non chiamatele ragazzate

La polizia aveva sgomberato il sito, ma alcuni attivisti si sono nascosti nei tunnel della miniera.

Non si tratta di ragazzate: gli attivisti vengono spesso arrestati e a Lützerath la posta in gioco si è alzata. Gli oppositori dei movimenti sostengono che tali azioni riducano il supporto per la causa, ma la ricerca mostra che spesso è vero il contrario. In primis, per via dell’attenzione mediatica: che piaccia o no, gettare zuppa di fagioli su un Van Gogh (protetto da vetro) fa notizia. Inoltre esiste il cosiddetto radical flank effect, un fenomeno per cui le azioni radicali aumentano il sostegno del pubblico verso chi agisce in maniera più moderata o attraverso le istituzioni.

Il dilemma dell’attivista

La scelta tra azioni moderate che vengono ignorate e azioni radicali che polarizzano è nota come "dilemma dell’attivista”. Prima della protesta che ha coinvolto i girasoli, Just Stop Oil ha bloccato alcune infrastrutture chiave per la logistica dei prodotti petroliferi nel Regno Unito. L’azione è risultata tanto efficace da costringere un distributore di benzina su tre a chiudere nel sud dell’Inghilterra, eppure i media non ne hanno quasi parlato. Insomma, l’attenzione che sta ricevendo Lützerath sarebbe figlia proprio della vernice rossa e della zuppa.

Ma, al di là del metodo, le rivendicazioni degli attivisti, sono ragionevoli?

Sono ormai anni che l’Ue riduce le proprie emissioni, e ai risultati pratici vanno affiancati gli obiettivi di riduzione per il futuro, che diventano sempre più ambiziosi: il target al 2030, per esempio, è passato dal 40 per cento al 55 in pochi anni. Purtroppo però, come riporta Energytracker, l’obiettivo del 55 per cento è compatibile con uno scenario di aumento delle temperature globali contenuto a 2 gradi solo se ci si aspetta un contributo uguale da tutte le nazioni. Prendendo invece in considerazione principi di equità nell’assegnazione degli obiettivi, le ambizioni europee porterebbero a un aumento di 3 gradi: un’apocalisse.

Nel 2022 il Parlamento europeo ha approvato l’inclusione di tecnologie legate al gas nella tassonomia verde; inoltre, come sottolineato da un report preparato per la Commissione, su 170 miliardi di sussidi energetici, 50 vanno a fonti fossili. Infine, come noto, l’invasione russa dell’Ucraina ha spinto diversi paesi a tornare al carbone.

La lista del da farsi

C'è dunque ancora molta strada da fare, ma un primo passo sarebbe quello di alzare l’asticella dei target di riduzione delle emissioni: dal 55 all’85 per centoentro il 2030, e completa decarbonizzazione entro il 2040, invece che 2050. Si dovrebbero poi adottare misure come l’emission trading system e la carbon tax per fornire incentivi finanziari a chi decarbonizza. É vitale lo sviluppo massiccio delle rinnovabili perché diventino l’ossatura del sistema energetico; una rivoluzione del settore dei trasporti, con mezzi pubblici e mobilità dolce in città ed elettrificazione nelle aree meno popolate, senza dimenticare il trasporto aereo e navale; un cambio radicale nel settore residenziale, responsabile del 36 per cento delle emissioni; una riforma del settore agricolo in modo che garantisca sicurezza alimentare, assorba CO2, e sia in equilibrio con l’ecosistema. Serviranno poi ingenti sforzi di adattamento e mitigazione, perché il cambiamento climatico è già in atto. Ma tali misure, fortemente politiche, saranno possibili soltanto se le istituzioni europee verranno riformate e rafforzate. 
L’Ue deve cioè assumere un ruolo di guida a livello mondiale tramite le proprie diplomazie, la ricerca, lo sviluppo industriale e, prima di tutto, presentandosi come esempio virtuoso che mette in campo davvero tutti gli sforzi possibili per raggiungere gli obiettivi condivisi.

Francesca Romana D'Antuono è presidente di Volt Europa, Francesco Baldi è ricercatore Enea

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