La pandemia sta creando una voragine nel percorso di apprendimento scolastico delle ragazze e dei ragazzi italiani, specialmente quelli che frequentano le scuole secondarie, che durante l’anno scolastico 2020/2021 sono state maggiormente costrette alla didattica a distanza (Dad). Non possiamo illuderci che la Dad sia un buon sostituto di quella in presenza e le difficoltà tecniche e logistiche emerse in questi mesi (dalla scarsa disponibilità di pc e tablet, alla qualità della connessione non omogenea sul territorio nazionale) ne limitano ancor di più il potenziale.

Ad aprile il ministero dell’Istruzione ha attivato anche bandi per fornire assistenza psicologica agli studenti, le autorità sono preoccupate da alcune condotte in questi mesi che documentano l’impatto negativo della Dad sull’apprendimento e sull’equilibrio psicologico delle studentesse e degli studenti che pure hanno continuato a frequentare online. Non si tratta certo di una sorpresa. L’analisi di test standardizzati nei Paesi Bassi, per esempio, ha evidenziato come durante il periodo di Dad (sebbene il paese disponga di una ottima infrastruttura digitale) gli studenti non hanno fatto alcun progresso nell’apprendimento delle materie testate (matematica e lingua). E ciò che più preoccupa è che il gap sia più ampio per gli studenti con background più svantaggiati: il buco di competenze degli studenti che hanno alle spalle genitori con livello di istruzione medio-basso è stato una volta e mezzo quello degli studenti con genitori altamente istruiti. Tutto questo ci spinge a chiederci: cosa possiamo fare oggi per limitare questi effetti in Italia?

Recuperare almeno l’apprendimento

L’esperienza di socializzazione che la scuola porta con sé e che pure è un tassello fondamentale della formazione degli adolescenti non potrà essere recuperata per gli studenti delle superiori. Possiamo, e dobbiamo, almeno fare qualcosa per recuperare parte delle mancate conoscenze apprese. E per farlo possiamo utilizzare le risorse europee, risorse che sono state stanziate proprio per interventi straordinari e rivolti principalmente ai giovani: la componente “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio” della “Missione 4: Istruzione e Ricerca del Recovery Fund” potrebbe essere quella adatta per finanziare un simile investimento. La proposta è quella di tenere aperte le scuole un mese in più alla fine di questo anno scolastico, fino ai primi di luglio. La campagna di vaccinazione e la gestione di un numero ristretto di studenti dovrebbero consentire di farlo in presenza.

Non è possibile recuperare tutto ciò che è andato perduto in più di un anno di difficoltà, ovviamente. Per questo ci sembra ragionevole focalizzarci su quelle materie dove i dati dei test Pisa sulle competenze apprese mostrano che le ragazze e i ragazzi italiani faticano maggiormente: matematica, inglese e italiano. Queste materie sono trasversali a tutti gli indirizzi e anni, e a esse si potrebbe aggiungere poi una materia specifica al percorso di studio, come la fisica per il liceo scientifico o l’economia per un tecnico commerciale. A tale scopo, i docenti dovrebbero preparare un programma di integrazione o ripasso su misura per ciascuna classe.

Per capire il livello delle competenze di ciascuna classe è fondamentale dotarsi di dati aggiornati. In questo senso le prove Invalsi 2021 saranno fondamentali, visto che permetteranno di comprendere l’impatto della pandemia sul livello di competenze degli studenti e delle studentesse. Dati che potrebbero essere utilizzati anche per affinare il programma da affrontare durante il mese di giugno. Ma la valutazione potrebbe anche avvenire autonomamente per ciascun istituto, per avere dei risultati immediati, grazie alle prove diagnostiche messe liberamente a disposizione da Invalsi per «consentire mappature e confronti strettamente locali, ad esclusivo uso delle scuole».

L’apertura straordinaria potrebbe coinvolgere prevalentemente le scuole secondarie di secondo grado, ma sarebbe auspicabile estenderla anche alle secondarie di primo grado e le primarie. È fondamentale sostenere il percorso di crescita del più ampio numero di studenti possibile, compatibilmente con le condizioni sanitarie e le difficoltà logistiche. In ogni caso, qualora non fosse possibile tornare in classe, un programma di supporto focalizzato durante il mese di giugno potrebbe essere erogato anche tramite Dad.

Quanto costa?

Quanto sarebbe necessario investire per questa operazione? Arrivare a una cifra definita è un’operazione complessa, che comunque il ministero dell’Istruzione starà già eseguendo visto l’interesse dimostrato per la proposta. Ciononostante, è utile eseguire un rapido esercizio numerico per comprendere la scala di grandezza dei costi. Secondo gli ultimi dati disponibili del ministero vi sono circa 129mila classi in Italia per le scuole secondarie. Se estendessimo il periodo scolastico dal lunedì al venerdì per 4 ore giornaliere, partendo il 7 giugno (un lunedì) e terminando il 9 luglio (un venerdì), necessiteremmo di 80 ore per ogni classe. A queste si aggiungerebbero le ore necessarie alla mappatura delle carenze e alla programmazione delle nuove lezioni, stimabili in altre 30 ore per classe.

Non esiste una precisa quantificazione della retribuzione oraria dei docenti italiani, ma una stima orientativa si può trarre dividendo lo stipendio annuale previsto dal Ccnl per le ore previste. Una stima di circa 40 euro lordi all’ora. Questo significherebbe costi per lo stato nell’ordine di grandezza dei 600/700 milioni per una simile operazione. Chiaramente questi sarebbero i costi relativi ai soli insegnanti a cui andrebbero aggiunti quelli per le utenze e per interventi infrastrutturali (comunque necessari) per consentire uno svolgimento delle lezioni durante il periodo caldo.  

Il ministero dell’Istruzione sembra già discutere favorevolmente di questa idea, ma è doveroso menzionare ulteriori ostacoli alla realizzazione di questo piano. Oltre alla questione infrastrutturale (sono poche le scuole sono dotate di condizionamento), sarà necessario ottenere il supporto dei sindacati. Mentre i dirigenti si sono mostrati favorevoli a questa operazione, i sindacati dei docenti sono perplessi. Per entrambe le questioni il ricorso alle risorse europee può essere un modo per superare criticità altrimenti paralizzanti. Crediamo tuttavia che sia necessario ribadire un principio fondamentale: la scuola esiste per gli studenti. E si organizza, nei modi possibili, per fare ciò che più serve al benessere degli studenti.

Destinare fino allo 0,4 per cento delle risorse del NextGenerationEu per prolungare la scuola è una cosa non solo giusta, ma necessaria. Le risorse europee servono proprio per riattivare una spirale di crescita, spirale che non può ripartire se non ci saranno giovani formati per trainare l’Italia e l’Europa del domani.

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