La guerra in Ucraina ci ha costretto a fare i conti con la scarsa lungimiranza dei numerosi governi alla guida del paese negli ultimi quindici anni, incapaci a liberarci dal peso economico e ambientale delle fonti energetiche fossili.

A dispetto di quanto dichiarato («Il nostro governo è nato come governo ecologico …»), il governo Draghi non ha cambiato nulla. Le prove? In primis, il tenore emergenziale delle misure contenute nei “decreti energia” emanati negli ultimi mesi: diversificazione delle fonti di approvvigionamento estero di gas, rilancio delle attività estrattive sul territorio nazionale, costruzione di rigassificatori, e così via. In seconda battuta, su tutti, i ritardi inanellati nell’attuazione di alcune misure del Pnrr riguardanti le rinnovabili e la lentezza delle autorizzazioni per costruire impianti da 10 MW in su.

Emergenza e gravità

L’ampio abuso del termine “emergenza” da parte di media e decisori dimostra che la gravità dell’attuale situazione energetica e climatica non è compresa. Il termine “emergenza” identifica infatti una circostanza non prevista né prevedibile; ciò che invece accade è stato ampiamente previsto e raccontato per decenni dalla comunità scientifica e dai più importanti organismi internazionali (Onu-Ipcc e Iea in testa).

Non di emergenza, quindi, dobbiamo scrivere bensì di una crisi energetica e climatica che sta sfociando, dalla Lombardia fino in Sicilia, nella proclamazione dello stato di calamità naturale e che rende prevedibile il razionamento delle forniture di gas a partire dalla prossima stagione fredda.

Se avessimo accresciuto per tempo il peso delle rinnovabili nel mix energetico, tutto questo non si sarebbe verificato ed oggi ci saremmo sottratti al ricatto di regimi autoritari e totalitari. Si è fatto invece il contrario, la breve stagione delle rinnovabili avviata nel 2008 venne infatti stroncata da provvedimenti come il famigerato decreto Romani del 2011 e quello “spalma incentivi” di Renzi del 2014.

Il gruppo scientifico “Energia per l’Italia”, coordinato dal chimico Vincenzo Balzani, assume invece un approccio del tutto diverso, teso a diminuire i consumi di energia, eliminare la dipendenza energetica dalla Russia e accelerare la decarbonizzazione del paese.

La proposta, che ha ricevuto nel fine settimana il sostegno ufficiale del premio Nobel Giorgio Parisi, si presta ad una sintesi numerica non dissimile da quelle di altre organizzazioni scientifiche ed imprenditoriali: +3,5 milioni di case senza più caldaia entro il 2030, tramite coibentazione degli involucri, impianto fotovoltaico e pompa di calore; 3 milioni di nuove auto elettriche a batteria in sostituzione di altrettante a petrolio entro fine decennio; altri 53 terawattora di energia elettrica rinnovabile entro il 2030, grazie al raddoppio della potenza fotovoltaica ed eolica oggi installata in Italia.

Così facendo vedremmo anche diminuire drasticamente le emissioni di gas serra - fino a 27,5 milioni di tonnellate di CO2 nel 2030 in meno rispetto ai livelli 2019 - dando così un contributo sostanziale e stabile agli obiettivi climatici internazionali.

Alla fattibilità della proposta di Energia per l’Italia va ovviamente affiancata la volontà politica di attuarla e di perseguirne gli obiettivi attraverso uno specifico Piano, facendo tesoro delle indicazioni contenute sia nella Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea sul programma nazionale di riforma 2022 dell’Italia, sia nel Piano REPower EU per quanto concerne l’espansione delle energie rinnovabili e la riduzione del consumo di combustibili fossili.

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