Se è vero che il processo di normalizzazione del partito fondato da Beppe Grillo e Gian Roberto Casaleggio è giunto ormai a conclusione con l’arrivo di Giuseppe Conte, è altrettanto vero che l’esperienza “rivoluzionaria” dei Cinque Stelle ha segnato e segnerà, con ogni probabilità, uno spartiacque tra un prima e un dopo, in cui la politica italiana (ma non solo, come vedremo) si troverà a fare i conti in futuro.

Il modello che il Movimento ha proposto definendolo “democrazia diretta” gestita dalla “rete” è apparso da subito fuori fuoco rispetto alle regole del gioco imposte dalla Costituzione italiana, un’approssimazione grossolana. Dall’indipendenza dei deputati al vincolo di mandato, sono stati numerosi i punti di attrito tra le regole che il Movimento si è dato e quelle invece sancite dalla nostra Carta.

Ma questi aspetti, che col tempo e la mediazione sono stati (parzialmente) superati, sono di gran lunga meno significativi rispetto al portato di un’organizzazione partitica che si basa sulla connessione diretta con i suoi elettori iscritti. Ogni organo intermedio, sulla carta, avrebbe dovuto essere eliminato. La piattaforma informatica e la rete avrebbero di fatto sostituito assemblee e congressi, comitati centrali, segreterie, percepiti come luoghi dove gli interessi di corrente sovrastano quelli dell’elettore.

Rivoluzione e illusione

Ciò che è stato realmente rivoluzionario, ma illusorio, di questo approccio è l’aver imposto l’utilizzo di uno strumento tecnologico per bypassare ogni intermediazione. Illusorio perché non può esistere una piattaforma tecnologica che possa essere perfettamente indipendente, non ricattabile, neutrale e sicura. Questo tentativo, che può essere considerato quantomeno ingenuo se non pericoloso, possiede gravi punti deboli. L’approccio “tecnologico” alla democrazia, con uno sguardo in prospettiva, al futuro e agli sviluppi prossimi dell’informatica e non solo, è una strada disseminata di rischi e trappole, soprattutto se l’approccio è ideologico come quello dei Cinque stelle.

Intanto è un problema di formazione tecnica. Senza una competenza specifica e una profonda conoscenza del mezzo il rischio è quello di essere sprovveduti di fronte alla rete. Lo strumento di intermediazione dipende per il suo funzionamento sia dai software che dall’hardware, dagli strumenti di protezione dei dati, dall’approvvigionamento di energia, dai limiti algoritmici della rete. Ciò che prima era richiesto al politico (competenze sociologiche, economiche, antropologiche, storiche, filosofiche eccetera) non è più sufficiente. Oggi, in una cornice così, è più efficace un Social Media Manager anche se non sa nulla di Max Weber. E la Casaleggio Associati era lì appositamente per gestire la parte tecnologica.

Ricattabilità energetica

Poi, non secondario, c’è la questione della ricattabilità energetica. Se immaginiamo l’assetto democratico del futuro come necessariamente interconnesso con la rete, disintermediato e interlacciato capillarmente, ci si rende conto subito che l’energia è il petrolio della politica in questa cornice. Tanto per inquadrare la dimensione del problema consideriamo che nel 2019 l’intera struttura internet mondiale assorbiva circa 3 TW (dato in crescita costante). Questa è l’energia media prodotta da un centinaio di centrali atomiche. È evidente che chiunque possieda la fonte d’energia e sia in grado di eseguire switch-off (o minacciarlo) si troverebbe in posizione dominante, l’indipendenza verrebbe meno.

In terza battuta c’è la questione della sicurezza dei dati, dei voti, delle decisioni, delle informazioni riservate eccetera. La verità è che non esistono dati sicuri, non esiste crittografia inviolabile. Certo, oggi le “chiavi” sono estremamente complesse e per decrittarle ci vuole tempo e potenza di calcolo. Ma non sono sicure al cento per cento. E i problemi, in questo caso, sono molteplici. Dalla manipolazione dei voti alla diffusione di informazioni drogate, alla cancellazione dei dati, al ricatto.

E poi c’è il convitato di pietra: l’intelligenza artificiale (IA) prossima ventura. Di “datacrazia” si è già discusso altrove, ma qui vorrei far emergere il rischio che se una IA venisse ben alimentata e orientata alla gestione della strategia politica con accesso ai social, questa prenderebbe presto il sopravvento dettando la linea al partito. E se saranno i dati a modellare il processo decisionale politico, dati drogati modelleranno processi politici deviati.

La Bestia e le Bimbe di Conte

Insomma, i rischi e le incognite che movimenti come quello dei Cinque stelle hanno aperto percorrendo per primi questa strada sono molteplici e tutti potenzialmente catastrofici. Ciò che si osserva dalle interazioni tra partiti e social network (vedi il caso Salvini - Bestia, ma non è certo l’unico) è che la liaison tra tecnologia, Big Data e politica si sta stringendo sempre più. Le Bimbe di Conte, probabilmente, pesano in termini di voti oggi almeno tanto quanto una manifestazione con duecentomila partecipanti. E questa è la realtà con cui tutti dovranno fare i conti nel prossimo futuro.

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