La salute di quasi otto miliardi di persone è nelle mani di un pugno di aziende farmaceutiche che possono decidere a chi, a quale prezzo e quando distribuire i vaccini contro il Covid-19. Mai vi è stata un simile concentrazione di potere.

La ragione è semplice: queste multinazionali, secondo quanto previsto dagli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale, hanno per vent’anni l’esclusiva proprietà dei brevetti e quindi agiscono in una condizione di monopolio. Questo nonostante la ricerca sia stata ampiamente finanziata anche con soldi pubblici da vari paesi e dall’Ue che, con un incomprensibile atto di “generosità”, hanno lasciato a Big Pharma l’esclusività del brevetto.

La campagna europea

Per uscire da questa drammatica situazione è stata lanciata a livello europeo la campagna “Diritto alla cura. Nessun profitto sulla pandemia” www.noprofitonpandemic.eu/it  che, attraverso la raccolta di 1 milione di firme online, chiede una moratoria sui brevetti riguardanti Covid-19, la trasformazione di questi in un “bene comune” a disposizione dell’umanità e l’immediato ricorso alla “licenza obbligatoria” da parte degli stati, superando in tal modo i brevetti.

Per evitare di trovarci anche in futuro sottoposti a un così tragico ricatto, è fondamentale ragionare sulla costruzione di una grande azienda farmaceutica pubblica a dimensione europea che metta al primo posto la tutela della salute collettiva e non i profitti. A sostegno di questo progetto, oltre a motivi economici ed etici, vi sono anche ragioni di sanità pubblica sulle quali mi vorrei soffermare, attraverso un esempio.

Tutti i media hanno riportato che i primi due vaccini, quello della Pfizer e di Moderna, hanno un’efficacia superiore al 90 per cento, ma ben pochi hanno precisato a cosa si riferisca tale percentuale; trattandosi di vaccini il cittadino è portato a credere che si tratti di un medicamento in grado di proteggere dall’infezione e che questo sia stato il risultato emerso dalle sperimentazioni.  

Contagiosità e malattia

Ma l’efficacia del 90 per cento o più, si riferisce alla capacità del vaccino di bloccare, nelle persone infettate dal virus, l’evoluzione verso la malattia conclamata. Questo è l’end point scelto dalle aziende. Infatti, terminato il trial, sono stati sottoposti a tampone principalmente coloro che manifestavano dei sintomi potenzialmente attribuibili ad un’infezione da Coronavirus. Poco ci dice sul numero di persone che durante la sperimentazione si sono infettate restando asintomatiche. Puntare sull’efficacia di ridurre i sintomi, ma non l’infezione, implica una riduzione non solo degli obiettivi, ma anche di tempi e costi per ottenere la registrazione del vaccino.  Probabile quindi che abbiano pesato principalmente strategie di marketing: qualora il vaccino non avesse dimostrato tale efficacia, ne avrebbero risentito enormemente, sia dal punto di vista mediatico e che finanziario. Meglio per il momento ridurre la posta (efficace sì, ma sicuramente nel prevenire i sintomi e forse non la malattia) e fare cassa.

Per avere una risposta sarà necessario attendere ancora; intanto il 3 febbraio è stata divulgata una notizia basata su dati preliminari secondo i quali il vaccino AstraZeneca svilupperebbe una certa protezione dall’infezione. Notizia appena giunta, positiva, ma ancora da verificare considerati i limitati numeri disponibili.

Uno dei massimi dirigenti di Moderna già il 20 novembre sul Corriere della Sera rispondendo ad una domanda di Giuseppe Sarcina, ammetteva: «Dobbiamo ancora capire se (ndr. il vaccino) potrà prevenire anche l’infezione e quindi evitare che ci siano persone vaccinate che contraggano comunque il virus, rimanendo asintomatici e potenzialmente contagiosi per gli altri».

Immunità

La questione è di primaria importanza anche per capire se la vaccinazione ci potrà condurre all’immunità di gregge. Quello che è certo è che per ora nessuno può distribuire patentini d’immunità e che anche i vaccinati dovranno continuare a rispettare le norme di precauzione.

Nessuno minimizza l’importanza di bloccare l’evoluzione della malattia limitando il numero dei decessi; ma è molto diverso disporre di un vaccino in grado di bloccare la trasmissione dell’infezione.

Se a condurre la ricerca fosse stato un’istituzione pubblica, meno attenta ai successi mediatici e finanziari, ma più interessata alla tutela della salute pubblica, non solo avrebbe da subito verificato l’efficacia del vaccino anche nella sua capacità di prevenire l’infezione, ma ne avrebbe verificato l’efficacia in tutte le fasce della popolazione, compresi i minorenni e gli ultra 55enni, per i quali ad oggi, per quanto riguarda il vaccino AstraZeneca, ci sono vari dubbi non essendoci sufficienti dati sperimentali.

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