Il problema di questo avvio di legislatura non è la destra, che legittimamente fa la destra. Il problema è la sinistra che persiste nel suo stato confusionale.

Di fronte alle prime mosse del nuovo governo (forte con i deboli e debole con i forti, come sempre), la prima cosa che occorrerebbe fare sarebbe unirsi e coordinare le opposizioni, in Parlamento e nel Paese.

Invece sembrano ancora prevalere le scorie di una campagna elettorale delirante, che ciascuno ha condotto in solitudine, nell’esclusivo interesse del proprio tornaconto elettorale.

Non rileva ricordare o rimarcare le responsabilità soggettive, nuove e vecchie, perché è l’intero campo a dare una pessima prova di sé.

Ed è difficile unire l’opposizione, e anche soltanto farla, se non si ha le idee chiare su ciò che si vuole essere.

La sinistra evaporata

Ciò che si è stati sin qui è invece noto a tutti. La sinistra è evaporata e ha perso non per diffusa ingratitudine ma perché oggettivamente, negli ultimi anni e, persino, negli ultimi decenni, è stata percepita e si è presentata come la parte politica che più ha difeso la conservazione dello status quo e meno ha difeso gli interessi delle classi popolari.

Come la parte che più ha difeso il vincolo esterno di Bruxelles e meno ha tutelato il lavoro, il potere d’acquisto di salari e pensioni. Per questo una parte significativa dell’elettorato popolare ha votato a destra o si è astenuta.

Lo abbiamo detto molte volte. Questo è stato il centro-sinistra italiano degli ultimi anni. Ha garantito la governabilità, la tecnica del governo, la conservazione di un equilibrio sociale e dunque di una distribuzione della ricchezza che si è progressivamente spostata dal lavoro alla rendita e ai profitti. È rimasto imprigionato in un orizzonte identitario liberal-democratico. La sua costituzione materiale, la sua cultura politica e i suoi legami con la società spiegano le vicende di questi anni, il progressivo ridursi della sua base popolare di consenso.

Si tratta, banalmente, di iniziare a voltare pagina.

È del tutto evidente che si tratta di processi lunghi, ben più lunghi di un congresso. Un congresso può essere un maquillage, una semplice operazione di cosmesi. Oppure l’inizio di un percorso di rifondazione.

Una collocazione identitaria

Noi vogliamo fare la nostra parte e dare il nostro piccolo contributo perché sia l’inizio della svolta.

Offriamo il contributo di chi propone di mettere in campo una vera autonomia culturale, di pensiero e di idee. Un’autonomia che deve essere l’autonomia politica del lavoro, l’ipotesi di una soggettività politica del lavoro, di impianto socialista, che si faccia carico di ripensare lo sviluppo e il suo modello nell’epoca delle grandi transizioni, in primo luogo quella ecologica.

Senza una nuova collocazione identitaria e strategica non c’è futuro. Occorre ricostruire, in forme adeguate al tempo presente, una sinistra di popolo e di trasformazione.

Una sinistra che abbia una visione del mondo imperniata sul valore politico dello spazio europeo e sulla possibilità di un multipolarismo che assicuri stabilità ai rapporti internazionali e pace tra i popoli. Ne abbiamo discusso a fondo nel convegno di Rimini di pochi giorni fa, organizzato insieme a Luciana Castellina.

Questa radicalità ha tuttavia una precondizione: un salto di qualità e un cambio di passo anche dal punto di vista dei gruppi dirigenti che si candidano a incarnarla.

Non saremmo credibili se la nostra rifondazione politica venisse suggerita o interpretata dai protagonisti delle fasi precedenti. Non si tratta di un fatto meramente anagrafico. A indicare vie nuove non possono in linea generale essere gli ufficiali delle battaglie perdute. Lo ha spiegato bene Brando Benifei nella iniziativa perfettamente riuscita di pochi giorni fa, alla quale abbiamo preso parte con entusiasmo.

Si badi: non si invoca alcuna rottamazione, che presuppone sempre la rottura  odiosa di un patto generazionale. Al contrario, si propone un rinnovamento come precondizione per tornare a essere credibili e per riallacciare nella società e anche nel nostro popolo un nuovo principio di solidarietà tra le generazioni.

Ed è l’opposto del nuovismo sterile, senza contenuto, che abbiamo subìto in anni passati. Al contrario, sono l’innovazione e il ricambio, offerti insieme alla forza di riconnettersi a una tradizione antica, nella quale la sinistra sapeva fare la sinistra, difendendo la dignità della persona e del lavoro, la pace e la giustizia sociale, e ogni diritto, sociale e civile.

Con questo spirito ci apprestiamo a raccogliere l’invito che ci viene formulato dall’avvio del percorso costituente promosso dal Partito democratico. Non per accodarci a giochi già decisi, ma per provare a proporre un cambio di rotta, radicale e coraggioso. Del profilo, della carta d’identità, dei gruppi dirigenti, delle prospettive, di noi stessi e del Paese.

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