In vista della nuova assemblea degli azionisti, che si terrà in primavera, Eni ha fatto un restyling della propria strategia per ii 2050, in modo da allinearla almeno formalmente alla strategia europea e – forse – poter presentare le proprie richieste per attingere ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Quanto presentato dall’azienda è però, per noi, sostanzialmente solo marketing.

Gas al posto del petrolio

Se ci si sofferma sui nuovi obiettivi di Eni si può verificare come, in continuità con la precedente strategia, ci sia un progressivo aumento delle estrazioni di gas fossile che diventano, in prospettiva, via via predominanti a scapito delle estrazioni di petrolio. Ma come verrà usato tutto questo gas fossile, dato che buona parte del petrolio oggi finisce nei consumi per i trasporti? Quanto gas, a scapito delle rinnovabili com’è stato in questi anni, Eni pensa che l’Italia dovrà continuare a consumare? Che l’azienda abbia nei suoi piani il voler riempire i paesi africani di infrastrutture per il gas, nonostante ormai sono sempre più disponibili alternative che non hanno impatti sul clima del Pianeta?

Poche rinnovabili

Come mostra la presentazione della nuova strategia, i piani attuali sono più o meno definiti per solo 4 dei 15 GW da realizzare entro il 2030.  Il sospetto che questi annunci siano solo marketing nasce dalla considerazione che, per raggiungere questi obiettivi (comunque davvero poco ambiziosi), l’azienda dovrebbe essere in grado di mettere a terra 1,5 GW di rinnovabili all’anno. Non ci sembra che Eni sia neanche lontanamente vicina a questa capacità di sviluppo.

Il progetto di Ravenna

Per compensare parte delle proprie emissioni, Eni vorrebbe realizzare un progetto di Ccs (Carbon Capture and Storage) a Ravenna. Si tratterebbe di tre linee di cattura della CO2 prodotta dagli impianti termoelettrici a gas fossile presenti per l’appunto a Ravenna, Ferrara e Mantova, e una linea per l’idrogeno blu (reforming del metano e cattura della CO2). Si tratta di un progetto il cui costo di investimento è stimato in 2,85 miliardi di euro. Le tre linee legate alla produzione elettrica a gas – che pesano per circa il 65 per cento dell’investimento – rappresentano certo la parte più demenziale del progetto. Infatti, se oggi l’elettricità da gas è tra quelle più costose (50-60€/MWh e circa 340-380 kgCO2 a MWh) e se i nuovi impianti solari utility scale in Spagna registrano costi industriali in media sui 25 €/MWh (e zero CO2), che senso ha proporre un Ccs applicato a impianti a ciclo combinato che sono già meno convenienti del solare senza Ccs? Eni vorrebbe ottenere i finanziamenti europei, non sarebbe più logico spendere i soldi pubblici per spingere le soluzioni rinnovabili associate ad accumuli, come già fanno alcune utility statunitensi nonostante nel loro mercato il gas costi meno della metà che da noi?

Come se non bastasse, nella proposta di Eni si prevede un recupero dei costi operativi (di funzionamento) attraverso la tariffa regolata pagata dagli operatori sulla base delle capacità prenotate con contratti a lungo termine. Ci chiediamo: Eni sta forse puntando a trovare un regolatore disponibile a questa operazione per scaricare i costi in bolletta?

Idrogeno blu

Se la parte di produzione elettrica a gas associata al Ccs è demenziale, quella dell’idrogeno blu è solo apparentemente più razionale. Infatti, la corsa all’idrogeno verde (cioè da energia da fonti rinnovabili) è già partita e il nodo centrale della gara è quello di abbattere i costi degli elettrolizzatori necessari per la produzione. Secondo una stima recente di Agorà (No-regret Hydrogen, febbraio 2021) la corsa all’idrogeno verde potrebbe portare, nello scenario migliore, alla competitività economica già alla fine di questo decennio, grazie alla riduzione dei costi degli elettrolizzatori. Che senso avrebbe, dunque, investire ingenti risorse per produrre idrogeno blu - derivante da fonti fossili - per poi ritrovarsi un altro “stranded asset”, ovvero un investimento senza futuro superato nei costi (e nelle performance climatiche) dalla linea rinnovabili-elettrolizzatori? Peraltro, il progetto Ravenna difficilmente si potrebbe reggere solo sulla linea idrogeno: dunque, oltre alla parte più demenziale della proposta (cicli combinati a gas + Ccs) anche quella apparentemente più razionale si tradurrebbe in un'altra distruzione di valore.

Che poi questa distruzione di valore sia perpetrata – come magari vorrebbe l’azienda - attraverso l’uso di risorse pubbliche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (scaricando i costi sulla collettività, una carbon tax al contrario) o attraverso l’emissione di “green bond”, la sostanza non cambia: è una strategia perdente. E a dimostrarlo, nelle ultime ore, è arrivato anche l’annuncio di un Paese produttore di petrolio come l’Arabia Saudita, che ha appena deciso di investire 5 miliardi di dollari in rinnovabili e idrogeno verde.

Progetti sulle foreste

Infine, che la strategia affidi la “compensazione” di circa 40 milioni di tonnellate l’anno di CO2 a progetti di “protezione forestale” è solo la ciliegina su questa torta di marketing: puro greenwashing. Al di là della discutibile “compensazione” legata alla protezione forestale, il lato debole di questo tipo di progetti sono la scarsa trasparenza e il livello di corruzione che purtroppo vige in diversi dei paesi in cui questi progetti hanno luogo: forse su questi rischi l’azienda può dare garanzie precise di tenere a bada i rischi di corruzione e truffe sulla CO2 assorbita?

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