GLI ALGORITMI RISCHIANO DI DANNEGGIARE LA DEMOCRAZIA 

A chi non è capitato, girovagando per un sito internet, di ritrovarsi la pubblicità di quel sito su altre pagine web? Ciò è dovuto agli algoritmi, che registrano i nostri gusti e le nostre abitudini digitali per riproporci i loro messaggi durante la visione di pagine web di ambito affine. Ovviamente il loro scopo, soprattutto per quanto riguarda il commercio, è il lucro. Fin qui si direbbe nulla di strano.

Tuttavia, questo meccanismo pone importanti interrogativi quando entra in gioco la condivisione delle idee. Da un lato, la creazione di questo spazio virtuale ha facilitato l’incontro tra persone dislocate in posizioni geografiche lontane, facilitando la democratizzazione e la diffusione della cultura e della comunicazione, ma, per quanto riguarda la democrazia in ambito politico, gli algoritmi hanno intaccato il pluralismo ideologico: è sufficiente cercare su un motore di ricerca notizie di un certo partito politico, per poi ritrovarsi indicazioni relative a quel partito o a personaggi politici appartenenti ad esso appena si naviga su un altro motore di ricerca.

Non è questo un esempio di come gli algoritmi influenzino il pluralismo ideologico? Con questo meccanismo che agisce sul singolo, si vanno a rafforzare le opinioni che ciascuno sostiene a proposito di una determinata questione. Ed è proprio con questa continua e assillante selezione di tesi create su misura del destinatario che si possono fare nascere posizioni ideologiche radicali.

Un esempio importante di questa tesi lo si ritrova nel clima del dibattito politico contemporaneo, carente di proposte positive e ricco di odio. Il processo di convincimento tende a farci credere di essere i depositari di una verità assoluta e a farci vedere coloro che sostengono una diversa tesi, non come avversari in una democrazia, ma come nemici da annientare.

I social media sono frequentati soprattutto dalle fasce di età più giovani e senza ombra dii dubbio l’età minima di accesso tenderà ad abbassarsi ancora. Mark Zuckerberg ha in progetto la creazione di un social media per bambini e questa veicolazione di informazioni da parte degli algoritmi potrebbe influenzare molto la loro crescita, sia in positivo che in negativo: occorre una maggiore legiferazione in materia.

L’assenza di dibattito può dimostrarsi pericolosa e può avere ripercussioni sull’intera collettività. Si pensi alle tesi complottiste sui vaccini che hanno avuto maggior eco sui social media. Si è già detto tutto.

La democrazia è discussione ed il pluralismo ne rappresenta la sua essenza. Come ha affermato il giurista Gustavo Zagrebelsky: «Il numero di parole conosciute ed usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica».


LA CURVA DECRESCENTE DELLA NATALITÀ

Siamo nel 2021 e da anni la popolazione continua a calare senza sosta. La denatalità è purtroppo una caratteristica sempre più comune che affligge tutto il mondo industrializzato. Attualmente il tasso di sostituzione, ossia il numero di figli per donna che serve per mantenere stabile la popolazione è pari a 2,1 ma in Europa questo tasso è effettivamente pari a 1,54.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato che per troppo tempo si è compiuto l’errore di guardare alle donne che decidevano di avere figli come un fallimento, e all’individualismo come una vittoria. Oggi si è capito che questa è una falsa distinzione. Però, ancora oggi, molto spesso si attribuisce alle donne e alle loro scelte personali la colpa della denatalità. Questa convinzione è aggravata dal fatto che la fertilità sembra declinare all’aumento del reddito e quindi la denatalità è causata più o meno direttamente dall'emancipazione delle donne che spesso sono state costrette a scegliere tra famiglia e carriera. Raramente l’occupazione femminile è stata bilanciata da una maggiore collaborazione degli uomini in casa, ma perché scaricare tutte le colpe sulle donne? E se fossero anche gli uomini il problema?

Anche la legislazione non è favorevole a una maggiore collaborazione in casa degli uomini nei primi mesi di vita della prole, infatti, agli uomini sono concessi congedi di paternità solo di dieci giorni. Un altro fenomeno a cui si può imputare la diminuzione delle natalità è la precarizzazione del lavoro e questo genera incertezza nel futuro di molte coppie.

Le cause della denatalità, però, non sono solo queste: le infrastrutture (asili), gli sgravi e gli incentivi che possano rendere più semplice, economica e che possano invogliare la procreazione sono scarsi o addirittura mancanti.

Le conseguenze di questo andamento sono evidenti e significative soprattutto nel medio e lungo periodo: con pochi figli, il paese invecchia e il welfare diventa insostenibile, la quantità di individui attivi nel mondo del lavoro (e che perciò producono reddito) diminuisce. Mentre le tasse crescono per pagare l’assistenza, il Pil si contrae e tutti diventiamo progressivamente più poveri.

Una soluzione ci sarebbe, facile o difficile che essa sia. Le soluzioni potrebbero essere:

1. Incrementare la natalità (obiettivo non molto semplice) per evitare di avere gli stessi problemi che sta vivendo il Giappone.

2. Aumentare gli aiuti economici alle famiglie.

3. Allungare i congedi parentali per gli uomini.

4. Abbattere le barriere culturali.

5. Migliorare le infrastrutture.

6. Politiche immigratorie volte ad aumentare ed attrarre persone nelle società più anziane.



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