La malattia e la morte ci mettono di fronte a una realtà dolorosa da accettare: il controllo che abbiamo sulla nostra esistenza è solo parziale. Di fronte all’irreversibilità della perdita di una persona amata, ci incastriamo nella penosa trappola di pensare e ripensare ai possibili scenari alternativi, ci avvitiamo con angoscia nell’immaginare come le cose sarebbero potute andare in modo diverso se solo avessimo fatto questo o quell’altro, ci tormentiamo al pensiero di come quella persona potrebbe oggi stare ancora con noi se solo avessimo fatto scelte diverse. Cerchiamo così di ripristinare, in modo disfunzionale, un controllo totale che è per definizione illusorio. Questo può accadere anche quando quella persona cara ha iniziato a stare male dopo un vaccino.

Il controllo

Chi di noi non conosce una persona colpita direttamente o indirettamente del Covid-19? Sono più di quattro milioni le vittime nel mondo associate al Covid-19 e recenti ricerche, basate sull’eccesso di mortalità, indicano che questa cifra potrebbe essere una sottostima fino a un fattore tre del reale numero di morti. A oggi, come dimostrano numerosi studi scientifici, lo strumento più efficace che abbiamo a nostra disposizione per contrastare la diffusione e letalità di questa pandemia sono i vaccini. In effetti, la maggior parte dei contagi e delle ospedalizzazioni riguarda, attualmente, persone non vaccinate. I vaccini rappresentano, insomma, la strada principale da percorrere per tutelare la salute individuale e la salute pubblica.

Quest’affermazione, quasi lapalissiana, è in realtà tutt’altro che condivisa: stiamo assistendo nel corso di questi ultimi mesi a una pericolosa polarizzazione attorno a questo tema. Ad esempio, negli Stati Uniti, dove il dibattito sui vaccini è ancora più acceso che da noi in Italia, c’è una netta diversificazione politica nel tasso di vaccinazione. Da un lato gli stati democratici, che superano l’ottanta per cento, e dall’altro gli stati a guida repubblicana con il cinquanta per cento di persone adulte vaccinate. Anche in Italia, i partiti di destra stanno esprimendo un atteggiamento colpevolmente opaco rispetto all’introduzione di misure come il green pass che promuovono la diffusione massiccia dei vaccini, facendo appello alla presunta superiorità di un principio di libertà individuale e implicando, indirettamente, che quest’ultimo debba prevalere sulla salute collettiva.

La polarizzazione è espressione di un pensiero arcaico e manicheo che non lascia spazio a dubbi e sfumature, ma solo a categorie certe e antitetiche sostenute da gruppi contrapposti. Da una parte, per una piccola, ostinata e inquietante frazione dell’opinione pubblica, i vaccini rappresentano un estremo pericolo e una contaminazione malefica del corpo umano. Dall’altra parte, anche per comprensibile reazione legata all’enorme posta in gioco in termini sanitari, sociali ed economici, i vaccini diventano qualcosa di salvifico che non può essere mai nocivo.

Oggi come mai, ci siamo resi conto della centralità della ricerca scientifica per la salvaguardia delle nostre vite. Tuttavia, l’invito pressante ad affidarsi alle scoperte scientifiche per il bene della collettività è indebolito, paradossalmente, proprio dalla richiesta di credere alla scienza come attività infallibile. Nella cruciale partita dei vaccini, questo si osserva nel modo in cui si gestisce la delicata questione dei loro effetti avversi. Nella polarizzazione del discorso pubblico in cui gli effetti avversi sono esasperati a dismisura da un lato o minimizzati dall’altro, la vittima meno visibile lasciata sul campo di questo scontro è il metodo scientifico, che si nutre invece di dubbi, incertezze, tentativi ed errori per dare vita a una conoscenza provvisoria ma attendibile della realtà.

Oltre le polarizzazioni, un passo fondamentale da compiere nel continuare al meglio la vaccinazione di massa è l’individuazione accurata degli effetti avversi dei vaccini. Tale individuazione è necessaria perché l’estensione e la gravità di questi effetti possano essere studiate in dettaglio, al fine di trovare delle misure di mitigazione e rendere i vaccini sempre più sicuri.

Centrale in questo senso è il ruolo della farmacovigilanza, che sarebbe auspicabile rafforzare in un senso realmente partecipativo, in modo che i cittadini siano messi nella condizione di segnalare con facilità gli eventuali effetti avversi riscontrati insieme a una scheda anagrafica che raccoglie informazioni circa le patologie pregresse. Ciò renderebbe molto più facile popolare un database che, dopo le dovute verifiche, conterrebbe informazioni essenziali per lo studio di un problema così complesso. Esemplare, in questo senso, è l’esperienza della farmacovigilanza olandese. Persuadere le cittadine e i cittadini dell’utilità dei vaccini, sostenendo che vaccinandosi non si corre alcun tipo di rischio e che i vaccini sono assolutamente sicuri, parte da una inaccettabile e controproducente infantilizzazione delle persone.

Diverso è dire che pesando i rischi, gli effetti negativi e spesso mortali del Covid-19 sono molto più probabili degli effetti avversi dei vaccini. Avere fiducia nella capacità delle persone di comprendere anche le sfumature può generare fiducia nelle istituzioni e ridurre la cultura del sospetto che alimenta i fantasmi della cospirazione. Una delle sfide più critiche in questo contesto è rispondere ad alcune domande chiave sugli effetti avversi dei vaccini che ancora aspettano una risposta. Il vaccino ha solo slatentizzato una condizione patologica dormiente? Il malessere e il vaccino ci appaiono in relazione fra loro ma in realtà non lo sono affatto? Osserviamo correlazioni illusorie o dobbiamo cercare di più e capire meglio? Questi interrogativi possono essere risolti solo riportando il metodo scientifico al centro, e fare in modo che se la persona in questione se ne è andata per un effetto avverso del vaccino, quell’esperienza terribile non sia vana e, che anzi, altre persone possano vaccinarsi in sicurezza grazie alla conoscenza maturata dal suo caso.

In memoria di Domenico Pacilli.

Maria Giuseppina Pacilli psicologa sociale, Alessandro Paciaroni, biofisico, Università degli studi di Perugia

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