La legge 76 del 2016, nota come legge Cirinnà,  ha regolamentato per la prima volta in Italia unioni civili tra persone dello stesso sesso, garantendo finalmente una serie di diritti fondamentali per le coppie LGBT+. Purtroppo tra questi non c’è la possibilità di adottare la prole del coniuge, la cosiddetta stepchild adoption. In materia di adozioni, infatti, «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».

«Le norme vigenti»

Le norme vigenti fanno riferimento alla legge n.184/1983 SS.mm.ii.. Tuttavia quella formula della legge Cirinnà, pur non assumendosi responsabilità diretta, lascia la porta aperta al legislatore di intervenire in merito modificando direttamente questa legge di trentotto anni fa. Il legislatore non si è mai espresso lasciando aperta una ferita di diritti e riconoscimenti civili alle coppie LGBT+.

A intervenire negli anni però è stata la giurisprudenza, che attraverso le sentenze può - come spesso succede - anticipare l’evoluzione normativa creando casi giurisprudenziali cui fare riferimento. L’interpretazione analogica è fornita dall’articolo 44 della legge 184 del 1983, cioè dall’adozione in casi particolari, che permette l'adozione del figlio del coniuge a patto che vi sia il consenso del genitore biologico e a condizione che l'adozione corrisponda all'interesse del figlio. Il procedimento di adozione non è automatico. Dal 2007 l'adozione in casi particolari era ammessa solo per le coppie sposate e dunque eterosessuali: in seguito ne hanno usufruito anche quelle conviventi eterosessuali (sentenze dei tribunali per i minorenni di Milano e Firenze).

Riconoscimenti di fatto

Il primo riconoscimento di fatto di un’adozione da parte di una coppia omosessuale è avvenuto nel 2014, dove il tribunale dei minori di Roma ha dichiarato che nessuna legge formula il divieto per un genitore omosessuale di richiedere l'adozione della prole del partner. «Considerando che l'obiettivo primario è il bene superiore del minore, è stato permesso ad una donna di adottare la figlia naturale della compagna». Il procuratore generale presentò ricorso, ma fu respinto dalla Corte di cassazione con la sentenza 12962, pubblicata il 22 giugno 2016.

Nel 2020 il dibattito sulla stepchild adoption si è riaperto con forza in ragione di altri due casi. Il primo ha a che fare con due gemelle nate con la procreazione assistita da due donne la cui storia però è finita. In questo caso, essendoci sul certificato di nascita solo il nome della madre biologica, l’altra madre si è vista esclusa dalla vita delle proprie bambine. La donna si è rivolta al tribunale di Padova, che ha portato il caso in Corte suprema poiché l’impossibilità da parte del genitore intenzionale di dare il proprio cognome alle bambine si rivela come un vuoto di tutela per le minori.

Il secondo caso è quello di due papà uniti in matrimonio all’estero che hanno adottato un figlio a New York e ivi riconosciuto come figlio di entrambi. In Italia - contrariamente a quanto ripetutamente richiesto dall’Unione europea anche nella recente dichiarazione della Freedom zone - gli è stata però negata la trascrizione. La Corte di cassazione, pur restando fermo il divieto penalmente sanzionato di maternità surrogata, ha riconosciuto che l'attuale quadro giuridico «non assicura piena tutela agli interessi del bambino nato con questa tecnica». Tuttavia non potendo operare diversamente in osservazione della legge, ha chiesto al legislatore di intervenire.

Sul tema la Grande chambre di Strasburgo si era pronunciata con la advisory opinion del 10 aprile 2019, richiamando i 47 stati del Consiglio d'Europa al riconoscimento legale, nell’interesse del minore, il legame con il genitore intenzionale indicato come padre/madre sui certificati di nascita in altri paesi dove la legislazione lo prevede.

Il silenzio del legislatore

Ancora una volta il legislatore tace. È fine gennaio 2021 e la Corte Costituzionale lancia una forte raccomandazione al Parlamento italiano poiché intervenga con urgenza in materia di adozioni. Il monito esplicitava che la Corte non escludeva di provvedere in futuro in forma diretta nel caso il legislatore non ave/sse proceduto poiché ritiene che le attuali disposizioni di legge sono «in contrasto» con diversi articoli della Costituzione, tra cui il principio di uguaglianza a quelli in tema di famiglia, nonché della Convenzione europea dei diritti umani.

Al perdurare del silenzio del legislatore, la corte costituzionale stavolta ha impugnato la sentenza in punto di diritto e - accertato il provvedimento emesso dalla Surrogate’s court of New York in cui si dava atto del consenso preventivo da parte di entrambi i genitori biologici - ha rigettato il ricorso presentato dall’avvocatura di stato. Questa sentenza apre una nuova strada di civiltà, dove la giurisprudenza precede l’intervento del legislatore nell’interesse superiore della tutela dei minori e nel nome dei diritti umani. Un legislatore in Italia che sembra non voler prendere una posizione in merito a una legge ormai data che mostra i suoi limiti non solo nei confronti delle coppie dello stesso sesso, ma anche nei confronti delle famiglie omogenitoriali, ovvero della possibilità di adottare per singoli individui.

Fare scelte

Una revisione della legge in materia di adozioni in ottica di ampliamento e riconoscimento dei diritti e delle tutele, andrebbe nella direzione spesso auspicata di un’Italia che torna a vedere crescere i numeri dei suoi cittadini bambini e bambine, che ripopoli le nuove generazioni. Un ringiovanimento della popolazione che probabilmente è inquadrato solo attraverso coppie eterosessuali e rinforzato attraverso le numerose difficoltà di fatto che si riscontrano nel nostro paese ad abortire, secondo legge. La differenza sembra essere di indirizzo politico, un indirizzo che si sostanzia non solo attraverso le scelte che prendiamo, ma anche quelle che scegliamo di non prendere: o si guarda alle nuove generazioni con uno sguardo positivo, autodeterminato e paritario; oppure attraverso la lente dell’esclusione e della conseguente ineguaglianza.

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