Viene fatta circolare la voce che Contorno è tornato in Sicilia con licenza di uccidere, per stanare i nemici che gli stanno sterminando i parenti, e che a legittimare quell’operazione sporca siano Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro. La tesi è ripresa nella lettera anonima opera del fantomatico Corvo che innescherà la stagione dei veleni che tiene banco per tutto l’89
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del libro “Sbirri e padreterni” (Laterza Editore, 2016) di Enrico Bellavia, Vicedirettore de “L’Espresso”, un saggio che racconta le intese scellerate tra pezzi di istituzioni e il crimine organizzato.
Partiamo allora dall’inizio. Ottobre del 1988: Totuccio Contorno, “Coriolano della Floresta”, uno dei principali collaboratori di giustizia che ha parlato con Giovanni Falcone per l’istruzione del maxiprocesso, è in Sicilia. L’Italia non ha una norma per i collaboratori di giustizia e così come accaduto per Tommaso Buscetta, ufficialmente, la custodia è affidata agli americani.
Ma Contorno non ha voglia di rimanere lontano dall’Italia: così ha fatto rientro in patria e, mentre i Corleonesi continuano il repulisti dei suoi parenti, torna anche nell’Isola in gran segreto.
Gli è stato revocato il divieto di soggiorno a Palermo e si muove cambiando vari nascondigli, mentre chiede invano che sia l’Italia a concedergli quello che gli Usa gli hanno garantito: uno stipendio e una nuova identità. Ha il vincolo di farsi sentire a giorni e a orari prestabiliti con l’Alto commissariato alla lotta alla mafia.
La presenza di Contorno in Sicilia è nota a poche persone e alla Criminalpol in particolare che si occupa di vigilarlo. Nel dicembre del 1988 dagli Usa rilascia un’intervista a Enzo Iacopino e Lorenzo Rossetti per «L’Europeo». Iacopino lo intervista anche per il Tg1.
Ormai sentitosi scaricato dagli americani, Contorno accusa a tutto campo: «In tanti anni di attività ho appreso storie che potrebbero far saltare l’Italia. I rapporti tra mafia e politica nessuno li ha mai voluti sviscerare, ogni volta che ho sfiorato questo argomento il di scorso è stato portato su temi meno imbarazzanti. Manca la volontà di scoprire certi altarini, eppure i mafiosi prosperano grazie ai politici e viceversa». Sembra l’annuncio di nuove clamorose rivelazioni che “Coriolano” promette a distanza, pronto a formalizzarle.
Il 16 marzo 1989 a Ciaculli viene ucciso il barone Antonio D’Onufrio. È un possidente che ha terreni nella zona sotto controllo dei Greco. La sua fine rimane un mistero come lo sono i misteri palermitani: mezze frasi, allusioni, trame evocate e mai chiarite. Di sicuro, D’Onufrio era in rapporti con la Criminalpol e qualcuno si precipitò a farlo sapere in giro e a Cosa Nostra, in modo da legittimarne l’eliminazione.
Tanto le voci erano interessate che fu anche fatta circolare la falsa informazione che Tommaso Buscetta fosse venuto in Sicilia e che lui e Gianni De Gennaro fossero andati a casa di D’Onufrio.
In realtà Buscetta non c’era e con De Gennaro a casa di D’Onufrio c’era andato Luciano Guglielmini, poi commissario all’Interpol. Un depistaggio in piena regola su un fondo di verità. D’Onufrio era stanco dei soprusi che subiva a Ciaculli e si era confidato con un suo amico, l’agente Calogero Zucchetto, anch’egli di Ciaculli, stretto collaboratore di Cassarà e ucciso, il 14 novembre del 1982, proprio perché indagava sui boss della sua borgata.
Fu Zucchetto a fargli da tramite per il contatto con Gianni De Gennaro. Anche dopo l’omicidio di Zucchetto, D’Onufrio e De Gennaro continuarono a sentirsi. Chi aveva fatto trapelare l’informazione? Chi ha fatto sapere a Cosa Nostra che il barone aveva rapporti con l’allora funzionario della Criminalpol?
Il 26 maggio dell’89, la squadra mobile di Arnaldo La Barbera arresta Totuccio Contorno a San Nicola l’Arena nei pressi della casa di suo cugino Gaetano Grado, futuro collaboratore di giustizia, in quel periodo braccato dai Corleonesi. A Contorno viene contestato il possesso di armi che saranno ritrovate in una roulotte vicino al luogo dell’arresto.
La cabina telefonica dalla quale si fa vivo con l’Alto commissariato è sotto intercettazione e il suo arresto innesca una campagna di delegittimazione che coincide temporalmente con il fallito attentato dell’Addaura. Viene fatta circolare la voce che Contorno è tornato in Sicilia con licenza di uccidere, per stanare i nemici che gli stanno sterminando i parenti, e che a legittimare quell’operazione sporca siano Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro.
La tesi è ripresa nella lettera anonima opera del fantomatico Corvo che innescherà la stagione dei veleni che tiene banco per tutto l’89. Falcone diventa il bersaglio delle critiche e delle riserve di buona parte del mondo politico, viene pubblicamente additato come un carrierista disinvolto. Tra mafia e antimafia, c’è qualcuno che gioca in proprio una partita. Così la guerra del 1989 è anche una lotta tra apparati dello Stato. Non solo una guerra di nervi o di accuse e veleni.
Ma una guerra vera che lasciò sul campo altri agnelli sacrificali: da D’Onufrio a Piazza ad Agostino. Più di una talpa seguiva passo passo le mosse degli investigatori, preparava le risposte e riferiva a Cosa Nostra. Altri condivano tutto con fughe di notizie pilotate e depistaggi. Erano le ciliegine sulla torta confezionata ad arte per in durre Falcone a una resa incondizionata.
In definitiva, piombo e calunnie sembrano opera della stessa mano, di sicuro obbediscono allo stesso fine e tutto sarà più evidente allo stesso Falcone il 21 giugno del 1989, quando viene scoperto il tritolo dell’Addaura cui segue la morte di Piazza e Agostino. Come vedremo tra poco, quel ri entro in Sicilia di Contorno e il suo arresto sembrano obbedi re alla necessità di fiaccare l’azione antimafia per accreditare un clima avvelenato.
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