Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del libro “Sbirri e padreterni” (Laterza Editore, 2016) di Enrico Bellavia, Vicedirettore de “L’Espresso”, un saggio che racconta le intese scellerate tra pezzi di istituzioni e il crimine organizzato.


Partiamo allora dall’inizio. Ottobre del 1988: Totuccio Contorno, “Coriolano della Floresta”, uno dei principali collaboratori di giustizia che ha parlato con Giovanni Falcone per l’istruzione del maxiprocesso, è in Sicilia. L’Italia non ha una norma per i collaboratori di giustizia e così come accaduto per Tommaso Buscetta, ufficialmente, la custodia è affidata agli americani.

Ma Contorno non ha voglia di rimanere lontano dall’Italia: così ha fatto rientro in patria e, mentre i Corleonesi continuano il repulisti dei suoi parenti, torna anche nell’Isola in gran segreto.

Gli è stato revocato il divieto di soggiorno a Palermo e si muove cambiando vari nascondigli, mentre chiede invano che sia l’Italia a concedergli quello che gli Usa gli hanno garantito: uno stipendio e una nuova identità. Ha il vincolo di farsi sentire a giorni e a orari prestabiliti con l’Alto commissariato alla lotta alla mafia.

La presenza di Contorno in Sicilia è nota a poche persone e alla Criminalpol in particolare che si occupa di vigilarlo. Nel dicembre del 1988 dagli Usa rilascia un’intervista a Enzo Iacopino e Lorenzo Rossetti per «L’Europeo». Iacopino lo intervista anche per il Tg1.

Ormai sentitosi scaricato dagli americani, Contorno accusa a tutto campo: «In tanti anni di attività ho appreso storie che potrebbero far saltare l’Italia. I rapporti tra mafia e politica nessuno li ha mai voluti sviscerare, ogni volta che ho sfiorato questo argomento il di scorso è stato portato su temi meno imbarazzanti. Manca la volontà di scoprire certi altarini, eppure i mafiosi prosperano grazie ai politici e viceversa». Sembra l’annuncio di nuove clamorose rivelazioni che “Coriolano” promette a distanza, pronto a formalizzarle.

Il 16 marzo 1989 a Ciaculli viene ucciso il barone Antonio D’Onufrio. È un possidente che ha terreni nella zona sotto controllo dei Greco. La sua fine rimane un mistero come lo sono i misteri palermitani: mezze frasi, allusioni, trame evocate e mai chiarite. Di sicuro, D’Onufrio era in rapporti con la Criminalpol e qualcuno si precipitò a farlo sapere in giro e a Cosa Nostra, in modo da legittimarne l’eliminazione.

Tanto le voci erano interessate che fu anche fatta circolare la falsa informazione che Tommaso Buscetta fosse venuto in Sicilia e che lui e Gianni De Gennaro fossero andati a casa di D’Onufrio.

In realtà Buscetta non c’era e con De Gennaro a casa di D’Onufrio c’era andato Luciano Guglielmini, poi commissario all’Interpol. Un depistaggio in piena regola su un fondo di verità. D’Onufrio era stanco dei soprusi che subiva a Ciaculli e si era confidato con un suo amico, l’agente Calogero Zucchetto, anch’egli di Ciaculli, stretto collaboratore di Cassarà e ucciso, il 14 novembre del 1982, proprio perché indagava sui boss della sua borgata.

Fu Zucchetto a fargli da tramite per il contatto con Gianni De Gennaro. Anche dopo l’omicidio di Zucchetto, D’Onufrio e De Gennaro continuarono a sentirsi. Chi aveva fatto trapelare l’informazione? Chi ha fatto sapere a Cosa Nostra che il barone aveva rapporti con l’allora funzionario della Criminalpol?

Il 26 maggio dell’89, la squadra mobile di Arnaldo La Barbera arresta Totuccio Contorno a San Nicola l’Arena nei pressi della casa di suo cugino Gaetano Grado, futuro collaboratore di giustizia, in quel periodo braccato dai Corleonesi. A Contorno viene contestato il possesso di armi che saranno ritrovate in una roulotte vicino al luogo dell’arresto.

La cabina telefonica dalla quale si fa vivo con l’Alto commissariato è sotto intercettazione e il suo arresto innesca una campagna di delegittimazione che coincide temporalmente con il fallito attentato dell’Addaura. Viene fatta circolare la voce che Contorno è tornato in Sicilia con licenza di uccidere, per stanare i nemici che gli stanno sterminando i parenti, e che a legittimare quell’operazione sporca siano Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro.

La tesi è ripresa nella lettera anonima opera del fantomatico Corvo che innescherà la stagione dei veleni che tiene banco per tutto l’89. Falcone diventa il bersaglio delle critiche e delle riserve di buona parte del mondo politico, viene pubblicamente additato come un carrierista disinvolto. Tra mafia e antimafia, c’è qualcuno che gioca in proprio una partita. Così la guerra del 1989 è anche una lotta tra apparati dello Stato. Non solo una guerra di nervi o di accuse e veleni.

Ma una guerra vera che lasciò sul campo altri agnelli sacrificali: da D’Onufrio a Piazza ad Agostino. Più di una talpa seguiva passo passo le mosse degli investigatori, preparava le risposte e riferiva a Cosa Nostra. Altri condivano tutto con fughe di notizie pilotate e depistaggi. Erano le ciliegine sulla torta confezionata ad arte per in durre Falcone a una resa incondizionata.

In definitiva, piombo e calunnie sembrano opera della stessa mano, di sicuro obbediscono allo stesso fine e tutto sarà più evidente allo stesso Falcone il 21 giugno del 1989, quando viene scoperto il tritolo dell’Addaura cui segue la morte di Piazza e Agostino. Come vedremo tra poco, quel ri entro in Sicilia di Contorno e il suo arresto sembrano obbedi re alla necessità di fiaccare l’azione antimafia per accreditare un clima avvelenato.

© Riproduzione riservata