Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


Quanto alle logge sciolte in Sicilia, l’analisi a campione è stata condotta sulle logge “Praxis” di Palermo e “ Giosué Carducci” di Trapani, entrambe del Goi, e su talune logge della Gli.

Nei piè di lista della “ Praxis” sono stati rinvenuti i nominativi di 17 appartenenti alla loggia, di cui 8 dipendenti pubblici (tra cui due medici Asp, un docente universitario e un dipendente delle forze armate), 7 tra liberi professionisti e impiegati nel settore privato e due pensionati.

Per due massoni della “Praxis” sono stati rilevati collegamenti con altrettanti soggetti controindicati, uno avente pregiudizi per associazione mafiosa, l’altro, per estorsione e trasferimento fraudolento di valori ex art. 12-quinquies D.L. 306/1992.

Particolarmente significative appaiono le vicende di un altro appartenente alla Praxis, peraltro presente nell’elenco dei massoni acquisito dalla Procura di Palmi nel 1993-94 ove risultava essere stato iscritto in precedenza nella loggia “Ermete Trismegisto” della Gran Loggia d’Italia - Centro Sociologico Italiano. Dagli elenchi estratti dalla Commissione, in effetti risulta un soggetto che ha aderito al Goi nel 1991, proveniente dalla Gli dove risultava in sonno a far data 1° luglio 1989. Questi rimane nella Praxis fino al 1997, allorché viene depennato.

Si tratta di un medico, ora presente come “non attivo” negli elenchi del Goi, tratto in arresto nel 1994 per concorso esterno in associazione mafiosa, scarcerato l’anno successivo e, infine, condannato con sentenza irrevocabile nel 1998 per associazione mafiosa, il quale aveva anche avuto il ruolo di fiancheggiatore dei killer di cosa nostra che uccisero barbaramente il sacerdote Giuseppe Puglisi, ed «il quale, come persona insospettabile, gli assassini avevano posto a controllo degli spostamenti del prete una volta deliberata la decisione di ucciderlo...».

Orbene, il massone in questione, il 23 giugno 1994, il giorno dopo essere stato raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare per i fatti sopra descritti, venne immediatamente sospeso dalla loggia con provvedimento adottato dell’allora gran maestro Gaito con la motivazione che l’emissione nei suoi confronti di una misura cautelare per concorso in associazione mafiosa e favoreggiamento denotava un “comportamento che arreca notevole nocumento all’immagine ed alla credibilità del Goi” in ossequio a quanto previsto dalle regole interne dell’obbedienza.

Non vi è però traccia, dopo tale grave fatto, di ispezioni disposte sulla Praxis volte a comprendere se si trattasse di un caso clamoroso, ma isolato, di contiguità a cosa nostra o se invece l’intera loggia fosse asservita a logiche mafiose.

Tuttavia, quasi misteriosamente, pochi mesi dopo l’arresto del medico dei Graviano, il 2 dicembre 1994 veniva emesso un decreto di scioglimento dell’intera loggia, secondo uno schema che si è visto essere ricorrente, per ragioni di carattere organizzativo: mancanza del numero minimo di fratelli e di un’azione di proselitismo. E ciò sebbene anche altri due massoni della loggia, oltre al medico, risultano aver avuto rapporti di contiguità con la mafia.

La seconda loggia sciolta in Sicilia oggetto di analisi è la “Giosuè Carducci” di Trapani. Vi risultava iscritto un soggetto arrestato nel 1996 per associazione mafiosa, poi riabilitato dal Tribunale di sorveglianza di Palermo nel 2001.

Dopo la riabilitazione, oltre a vari pregiudizi di natura penale non rilevanti ai fini della presente inchiesta, è stato colpito nel 2016 da una misura di prevenzione patrimoniale antimafia emessa dal Tribunale di Trapani. Un altro iscritto, invece, annovera un precedente, risalente al 1996, per il reato di scambio politico-mafioso.

Anche tale loggia veniva poi demolita l’8 febbraio 1997, con decreto dell’allora gran maestro Gaito, per “morosità degli iscritti”.

Anche in questo caso, come per la “Praxis” di Palermo, si riscontra la singolare coincidenza che lo scioglimento, formalmente avvenuto per motivi organizzativi, pare seguire temporalmente di poco l’arresto per mafia di uno dei suoi iscritti e il coinvolgimento di un altro in un reato tipico della contiguità mafiosa.

Sull’atteggiamento generalizzato di non esternazione di eventuali criticità di mafia esistenti all’interno delle logge sciolte, non sembrerebbe sottrarsi anche la Gran Loggia d’Italia. Ad esempio, nove logge risultano abbattute, a partire dagli anni Novanta in poi, con generici decreti di sospensione o di scioglimento tutti privi di qualsivoglia motivazione.

Le logge avevano tutte sede in luoghi ad alta densità mafiosa e risultano essere state frequentate da 14 iscritti che sono stati espulsi o messi in sonno, e solo in seguito colpiti da gravi pregiudizi penali, ivi inclusi quelli per associazione mafiosa.

A tale riguardo, non può escludersi che anche per tali logge l’obbedienza di riferimento avesse percepito all’interno delle stesse l’esistenza di particolari criticità, che hanno consigliato l’adozione di così gravi provvedimenti.

Anche in questi casi, l’eventuale infiltrazione mafiosa nelle logge, indirettamente testimoniata dai pregiudizi che hanno poi colpito i soggetti successivamente alla loro espulsione, non è mai stata esplicitata nei documenti formali di abbattimento.

A fattor comune di tutti i casi sopra accennati - dove ricorre con frequenza l’espediente di utilizzare la “morosità degli iscritti” , altri motivi bagatellari o, come riferito da Bisi, le questioni di mero rito massonico, quale ragione formale di abbattimento di una loggia “problematica” – giova qui riportare quanto detto in audizione dall’ex gran maestro del Goi Giuliano Di Bernardo in cui ricordava l’unico abbattimento di loggia sotto la sua granmaestranza, ovvero la loggia “Colosseum” di Roma, “costituita subito dopo la liberazione dell’Italia e dove affluivano gli agenti della Cia.

Era una loggia ad hoc e quando sono diventato gran maestro ho detto che non avrei potuto tollerare all’interno del Grande Oriente una loggia nata per queste ragioni ( ... ).

Ho trovato il problema formale che non avevano pagato le capitazioni e ho chiuso la loggia”.

Come detto, i gran maestri non hanno mai fatto chiaro riferimento a logge che siano state dichiaratamente sciolte per infiltrazione mafiosa. Se, di fronte ad avvertiti rischi di presenze mafiose vi è stata un’opera di “pulizia” tra i propri ranghi, ciò sarà accaduto nel silenzio, come si confà ad un’associazione connotata, come si dirà, da uno spiccato regime di segretezza.

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