Il 24 febbraio 1972 si verificò un secondo ritrovamento casuale di armi ed esplosivi collocati in un NASCO, il numero 203, posato il 7 marzo 1964 in una grotta del Carso triestino, presso il km 138,800 della Statale n. 14
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del resoconto dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta della X Legislatura che per prima provò a ricostruire l’operazione Gladio. Nelle conclusioni della Commissione resta una frase che pesa più delle altre: «Persistono elementi di ambiguità e reticenza nel rapporto tra struttura e istituzioni democratiche». È il linguaggio della politica per dire che qualcuno mentì
Il 24 febbraio 1972 si verificò un secondo ritrovamento casuale di armi ed esplosivi collocati in un Nasco, il numero 203, posato il 7 marzo 1964 [data rilevata più volte dal tabulato recante l’elenco generale dei Nasco. Nell’archivio dell’organizzazione è stato rinvenuto anche l’elenco completo e particolareggiato del materiale occultato nel Nasco.
L’elenco risulta trasmesso dal Sismi al Cesis, al fine di corrispondere ad una specifica richiesta del giudice istruttore del Tribunale di Venezia], in una grotta del Carso triestino, presso il km 138,800 della Statale n. 14. Due appunti predisposti per il Capo del Sid – il 25 febbraio ed il 1° marzo del 1972 – forniscono di quell’episodio un quadro informativo che può così essere sintetizzato: il Servizio apprese del rinvenimento, da parte dei Carabinieri della Tenenza di Aurisina durante un rastrellamento, «da un quotidiano del mattino».
La Sezione Sad, «sulla base della sommaria descrizione del materiale rinvenuto e della località », stabilì trattarsi « con tutta probabilità» del Nasco n. 203, affermando nel con tempo che né i sette contenitori né i materiali in esso occultati recavano contrassegni o indicazioni che potessero farne risalire la provenienza al Servizio o ad enti militari italiani, in quanto si trattava di armi e materiali non in dotazione alle nostre Forze armate.
Il 26 febbraio un ufficiale dei carabinieri in servizio presso la Sezione Sad si recò sul luogo per procedere ad ulteriori, cauti accertamenti. Oltre alla conferma dell’appartenenza dei sette conte nitori al Nasco n. 203, risultò che:
a) mancavano una pistola Star, un binocolo ed una torcia elettrica (nell’appunto si precisa che tale «particolare» non era noto all’Arma);
b) i materiali erano stati recuperati al completo delle istruzioni per l’uso, compilate a suo tempo;
c) i contenitori non erano stati rinvenuti nella zona di posa del Nasco, bensì a quattrocento metri di distanza dalla stessa, Nascosti in un anfratto e coperti da frasche. L’ufficiale della Sad ebbe un incontro con il Comandante del Gruppo Carabinieri di Trieste, al quale si presentò come «ufficiale dell’Arma, interessato non tanto ai materiali quanto alle speciali tecniche di conservazione».
Sulla base di quel colloquio, l’ufficiale informò il Servizio che il Comandante del Gruppo era del parere si trattasse di materiale Nato, trafugato da una base dell’Alleanza e destinato al traffico clandestino di armi. Nell’appunto si legge che questo convinci mento «non è stato ovviamente smentito»: sembrava infatti « una buona storia di copertura » e trovava eco sulla stampa locale. Quanto alle modalità di ritrovamento, l’ufficiale della Sad ipotizzò che lo si potesse attribuire a «uno o più ignoti ricercatori di residuati bellici, sempre numerosissimi nelle zone del Carso».
Questi avrebbero trasportato il carico dal Nascondiglio originario ad una zona più accessibile, per recuperarlo definitivamente in un secondo tempo. I materiali mancanti sarebbero stati dunque asportati in occasione del primo spostamento, rimasto poi l’unico, a seguito del ritrovamento delle armi da parte dei Carabinieri.
L’appunto proponeva di soprassedere al recupero dei materiali, che non sarebbe stato possibile senza sollevare, da parte di altri enti, «interessamento per le origini e la gestione » dei materiali medesimi. I materiali vennero poi inviati alla Divisione Artiglieria di Mestre, che provvide a distruggere gli esplosivi; i documenti contenenti le istruzioni furono trasmessi ai Comandi dell’Arma. L’appunto confermava altresì la valutazione, già espressa in quello del 25 febbraio, secondo la quale il rinvenimento del materiale non doveva «destare alcuna preoccupazione», in ragione del fatto che materiali e situazioni erano del tutto «anonimi».
A questo proposito è da dire che si ebbero successivamente ulteriori sviluppi, sui quali verte un appunto per il Capo del Servizio, datato 9 marzo 1972. Il documento informa, infatti, che il ritrovamento di una seconda aliquota di materiali, verificatosi all’inizio di marzo, aveva tolto credibilità alle due ipotesi formulate inizialmente sia dai comandi dell’Arma che dalla Questura di Trieste, vale a dire quella del «transito di materiali provenienti da elementi “ustascia” residenti in Germania, destinati ad entrare in territorio jugoslavo per alimentare disordini in Croazia», e l’altra, del furto presso una base Nato, diventata peraltro già «meno sostenibile a seguito dei risultati delle indagini condotte dai Carabinieri presso la base di Aviano».
La perdita di credibilità di tali ipotesi era determinata dal fatto che tra i materiali ritrovati all’inizio di marzo non vi erano solamente «le solite pistole Star» bensì anche «istruzioni in italiano redatte in ciclostile (con sovraimpresse le diciture “Segreto”, “Istruzioni per il capo”, ecc.) ed altri documenti, tutti in “stile militare”».
[A questo proposito, sono da citare due appunti recanti le date del 23 e 27 marzo 1972. Il primo fu predisposto per il Capo dell’Ufficio «R» del Sid, l’altro è redatto su carta non intestata; entrambi hanno ad oggetto modifiche nella preparazione dei pacchi Nasco, in quanto, come si legge in quello datato 27 marzo, «alcuni recenti e noti eventi hanno reso necessaria e non più procrastinabile la revisione di tutti i pacchi già approntati e tuttora giacenti presso il VI Gruppo (Cag) per apportare le modifiche in appresso indicate».
Tali modifiche consistevano, in sintesi, nella eliminazione dai materiali di simboli, diciture, etichette (quali quelle dell’Istituto Farmaceutico militare, poste sui medicinali), numeri di matricola; uguale «sterilizzazione» era prevista per i documenti (istruzioni per l’uso, cifrari, carte, ecc.), per i quali veniva prevista l’eliminazione sia della classificazione di segretezza, sia di eventuali stampigliature.
Variavano anche le modalità di custodia dei documenti stessi, che non sarebbero più stati conservati nei pacchi, bensì accantonati presso la Sad, il Centro Ariete ed eventuali altri centri, in attesa di essere distribuiti «al momento opportuno» ai Capi delle reti «a cura dei Capi Centro e della Sad»]. Ciò aveva indotto i Comandi dell’Arma a ritenere di aver scoperto l’esistenza di un’organizzazione militare o para-militare.
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