Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


La lettura delle pagine precedenti dimostra, indubbiamente, l’esistenza di un persistente interesse delle associazioni mafiose verso la massoneria fino a lasciare ritenere a taluno che le due diverse entità siano diventate “ una cosa sola” .

Ciò, ovviamente, non consente alcuna criminalizzazione delle obbedienze in quanto tali che, nella loro qualità di associazioni di diritto privato, rimangono, sino a prova contraria, compagini sociali lecite meritevoli di tutela giuridica.

Ma se l’analisi lascia il campo delle occasionali devianze, del resto penalmente sanzionate, per spostarsi su quello della “normalità” dell’estrinsecarsi della massoneria, intesa, dunque, come una delle tante espressioni del legittimo associazionismo, allora diventa necessario chiedersi se essa si sia dotata di un sistema di “anticorpi” volto a salvaguardare la propria stessa sopravvivenza, oltre

che il prestigio, e se abbia forgiato le proprie caratteristiche in modo da evitare che possano risolversi in elementi di agevolazione all’infiltrazione mafiosa.

Il sistema dei controlli massonici

L’inchiesta parlamentare ha accertato che dei circa 17 mila iscritti alle quattro obbedienze, la gran parte di loro appartiene al mondo delle professioni (come medici, avvocati, ingegneri e commercialisti), dell’imprenditoria, ma anche del pubblico impiego, con una certa presenza anche di forze dell’ordine e, fino a diversi anni addietro, anche di taluni magistrati e politici.

Si è rilevato, inoltre, che diversi di tali professionisti massoni hanno svolto la propria attività presso enti pubblici “sensibili”, talvolta sciolti proprio per infiltrazioni mafiose.

Scarsa è, invece, la partecipazione alla massoneria delle categorie di soggetti riconducibili ai mestieri più umili o al novero dei disoccupati (salvo, ovviamente, una certa quota di giovani).

La massoneria rappresenta, dunque, un consesso in cui si ritrova l’élite delle professioni ed è il luogo, anche fisico, in cui è possibile incontrare alti burocrati, imprenditori, politici, e confidare, anche grazie al vincolo di fratellanza massonico, di trattare con costoro inter pares.

Lo diceva già il collaboratore di giustizia Leonardo Messina: “Molti uomini d’onore quelli che riescono a diventare capi, appartengono alla massoneria (..) perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso da quello punitivo che ha Cosa nostra.”

Lo stesso concetto è stato ribadito alla Commissione, con riferimento ai primi anni del 2000, da un altro collaboratore di giustizia, Francesco Campanella, nella sue pregresse qualità di politico, massone e mafioso.

Anche nelle più recenti indagini giudiziarie, calabresi e siciliane, ricorre la medesima affermazione che appare ancor più vera alla luce del mutamento delle mafie, ormai propense, come è noto, al metodo collusivo/corruttivo seppur collegato alla propria capacità di intimidazione, cioè a quella “riserva di violenza” accumulata in decenni di omicidi, stragi e crimini efferati.

Anzi, proprio in questo peculiare momento in cui la mafia tende più ad “accordarsi che a sparare”, deve altresì considerarsi il dato oggettivo del continuo aumento del numero degli iscritti alla massoneria, in Sicilia e Calabria, come emerso dalle audizioni e dagli atti acquisiti e come stigmatizzato anche dagli stessi appartenenti alla massoneria.

A fronte di questa invincibile vis attractiva della massoneria nei confronti della mafia, vis che, per di più, provoca un numero crescente di adesioni, si è chiesto, durante l’indagine parlamentare, se la stessa massoneria, “preda” secolare delle depredazioni mafiose, avesse finalmente adottato sistemi di prevenzione volti alla tutela della propria identità.

La situazione rappresentata dai gran maestri, nelle loro audizioni a testimonianza, potrebbe apparire del tutto rassicurante.

E’ stato evidenziato, infatti, che il massone può essere tale solo se è, al contempo, un buon cittadino, sottoposto in primis alle leggi statali e ai connessi doveri civici. Proprio per questo, è la stessa massoneria, così come affermato all’unisono, a svolgere serrate verifiche per selezionare, prima, i nuovi adepti in maniera rigorosa e per controllare, poi, che costoro mantengano, nel corso del tempo, le originarie qualità morali, presupposto indispensabile per l’accesso e la permanenza nelle associazioni massoniche.

Per tale ragione è stato sottolineato, anche attraverso la produzione degli statuti di ciascuna obbedienza, che, per ammettere un nuovo fratello, viene puntualmente accertato che costui non sia stato colpito da procedimenti penali e da sentenze di condanna per fatti di una certo allarme sociale, mentre, qualora si scopra che uno degli iscritti, nelle more della sua appartenenza ad una loggia, si sia reso responsabile di un reato di particolare rilievo, egli viene immediatamente sottoposto al “processo massonico” che può concludersi, finanche, con il depennamento.

Si è però constatato che, in concreto, il preteso rispetto delle leggi da parte della massoneria, con tutte le conseguenze che da ciò essa ne farebbe derivare in termini di ammissione e di espulsione, in diversi casi si è rivelato più apparente che reale.

Va detto, innanzitutto, che la richiesta dei certificati penali e dei carichi pendenti da parte di talune obbedienze, nonostante le gravi vicende del passato che hanno segnato la massoneria italiana e che avrebbero imposto una sua maggiore prudenza, si è risolta in una mera prassi priva di significato, posto che, di solito, non è previsto l’aggiornamento della certificazione.

Poiché, il rapporto massonico, di norma, si dissolve con la morte, è dunque garantita la permanenza sine die dell’associato che, però, nel corso degli anni, può ben mutare il suo status giuridico penale.

Gli stessi massoni, peraltro, hanno raccontato alla Commissione dell’allontanamento dalle obbedienze di cospicui gruppi di fratelli sia a causa di “un ingresso massiccio e massivo di persone, senza alcun apparente ed efficiente controllo” e, spesso, destinatarie di misure cautelari e di sentenze di condanna, sia a fronte dell’oggettiva incongruenza numerica posto che, nell’arco di pochi anni, era, stranamente, triplicato, o anche quadruplicato, il numero delle adesioni.

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