Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.


In singolare consonanza con le risultanze finora acquisite sono anche le valutazioni dell’omicidio Lima contenute in un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa “Repubblica” che, come le rivelazioni di Ciolini, sembrano avere il dono della “preveggenza”.

L’agenzia giornalistica Repubblica, il 19 marzo 1992 (quindi sette giorni dopo l’omicidio Lima), pubblicò il seguente articolo che si trascrive testualmente per il suo estremo interesse: Agenzia giornalistica REPUBBLICA QUOTIDIANO POLITICO-ECONOMICO-FINANZIARIO RISERVATO AGLI ABBONATI ANNO XIII - N. 65 - 19 marzo 1992 UN’“IRA” PER LIMA? SICILIA COME SINGAPORE DEL MEDITERRANEO

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervistato dal quotidiano di Scalfari, ha fatto riferimento ad una possibile articolazione del terrorismo, nazionale ed internazionale, come esecutore-regista dell’eccidio di Salvo Lima. Resta, tuttavia, indeterminata la sua matrice e la strategia complessiva che ne regolerebbero la presenza nella società italiana ed i suoi principi di azione.

Una possibile teorizzazione e comparazione, benché astratta, degli elementi distintivi delle varie eversioni, che dilaniano il territorio del Vecchio Continente, indurrebbe a ricondurre il delitto dell’uomo politico siciliano all’interno di una logica separatista ed autonomista, anche se mai esplicitamente dichiarata, al contrario di quanto avviene per l’Ira dell’Irlanda del Nord.

L’atipicità, per così dire, del caso italiano si configura nel fatto che la Mafia siciliana, in particolare, avrebbe, fin d’ora, il “controllo militare” del territorio, unito ad imponenti canali di auto-finanziamento, che hanno sol tanto un pallido riscontro con alcune situazioni fortemente compromesse dell’America latina. Per divenire essa stessa Stato le risulta, quindi, sufficiente conquistare l’autonomia amministrativa e regolamentare, al fine di costituirsi come nuovo paradiso fiscale del Mediterraneo, portando alle estreme conseguenze le tecniche di “offshore” e di traffico commerciale (stavolta non più illegale), diretto a sfidare i dazi e le difese doganali dei Paesi confinanti.

Un simile approccio, malgrado l’apparente “temerarietà”, possiede una giustificazione storica (ricordando, semplicemente, alcune elaborazioni mafiose – Sindona in testa – che volevano fare dell’isola liberata un nuovo Stato della federazione statunitense), per non parlare degli aspetti pratici di una simile operazione. Infatti, l’attacco diretto ai centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari comporta, come effetto immediato, sia la frammentazione del consenso (aspetto, quest’ultimo, destina to ad offrire ben altri margini di manovra al condizionamento ed alla penetrazione mafiosa dell’elettorato attivo), sia un inasprimento del meccanismo di tradizione Nord-Sud.

Quest’ultimo aspetto fa riferimento al processo di “feeback”, secondo il quale all’aumento della pressione criminale nel Sud corrisponde una contro-reazione della società civile che tende a prendere le distanze dalla situazione meridionale, apparentemente incontrollabile.

Le due forze, uguali e contrarie, applicate agli estremi della struttura istituzionale italiana, provocano un quadro complesso di tensioni interne che, raggiunti i limiti caratteristici della plasticità dell’aggregato socio economico interessato, ne causa la rottura irreversibile. Nel caso concreto la “regionalizzazione” del voto, a danno dei grandi partiti popolari, compor ta, come prima, destabilizzante, conseguenza, la loro ghettizzazione geo grafica, annullandone la capacità di rappresentazione e di mediazione degli interessi generali.

Ora, poiché non è minimamente immaginabile che la strategia mafiosa, così sottile nei suoi approcci con l’alta finanza (grazie al mantenimento ed allo sviluppo dei canali di riciclaggio, che necessitano del contributo e dell’arruolamento di esperti di rango), sottovaluti le condizioni e le implicazioni di un simile strappo anti-unitario, occorre elaborare la cornice di compatibilità generale, rispetto agli schemi internazionali, in cui si muoverebbe il progetto.

Una prima osservazione concerne la divisione del lavoro, a livello mondiale, e le sue implicazioni macroeconomiche. Qualora, infatti, il potere mafioso riuscisse a conquistare un’autonomia regolamentare, dopo aver acquisito il controllo militare del territorio ed essersi assicurato ingenti fon ti di autofinanziamento, la “deregulation” che ne seguirebbe, in tema di diritto del lavoro e di insediamenti produttivi, servirebbe a richiamare un forte afflusso, dall’estero, di capitale di investimento e speculativo, a breve, medio e lungo termine, (nel caso specifico, la Sicilia si configurerebbe come una “Singapore del Mediterraneo”).

La seconda, fondamentale, considerazione riguarda l’essenza stessa del principio di accumulazione capitalistico che, dapprima, procede attraverso una fase più o meno “selvaggia”(quella, in particolare, che sta dietro al fenomeno siciliano), per poi assestarsi, con propri ruoli e spazi, nel quadro generale dell’equilibrio dei mercati mondiali (di beni, merci, servizi e finanza).

Come in una rete complessa di distribuzione e di trasporto d’energia risulta fisicamente indispensabile la costruzione di “valvole di sfogo”, così nel circuito mondiale della finanza e dei commerci diviene indispensabile la progettazione e realizzazione delle piattaforme “offshore”, nonché la ridenominazione illecito-lecito dei capitali di dubbia costituzione, al momento in cui questi ultimi rappresentino una quota-parte rilevante del flusso globale.

Paradossalmente, il federalismo del Nord avrebbe tutto l’interesse a la sciar sviluppare un’analoga forma organizzativa al Sud, lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili del la compressione del reddito derivabile dalla diversificazione degli impieghi del capitale disponibile.

Molti, ancora oggi, sono propensi a denunciare la responsabilità di Grandi Vecchi, capaci di tirare le fila di manovra così complesse, dimenticandosi che, in realtà, ci si trova confrontati con processi di globalizzazione che, nessuno, per quanto esteso fosse il suo potere, potrebbe mai condizionare da unico centro. La multipolarità esistente, con le sue specializzazioni “fisiologiche”, non è in grado di sopportare (pena l’impoverimento complessivo del sistema) né semplificazioni riduttive, né tanto meno una eterodirezione, dato che non esiste alcun centro di potere in grado di governare le immense, imprevedibili, variabili in gioco, il cui equilibrio dinamico è funzione del tempo e del grado di conoscenze acquisite fino a quel momento. (M.B.)

Come si nota, l’esposizione contenuta nell’articolo coincide perfettamente con la ricostruzione della strategia politica del piano eversivo quale emerge dalla lettura coordinata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia finora esposte e delle risultanze processuali acquisite.

In sintesi, l’articolista individua la reale e segreta motivazione dell’omicidio dell’on. Lima nell’incipit di un piano diretto: ad attaccare i centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari; a determinare il collasso del vecchio sistema e a regionalizzare il voto all’interno di un progetto federalista che consegnerebbe il Nord e il Sud dell’Italia a forze interessate a spartirsi il paese; a fare della Sicilia la “Singapore del Mediterraneo”, paradiso fiscale e crocevia di tutti i traffici ed impieghi produttivi illeciti e leciti.

Se si confronta questo articolo con le dichiarazioni del collaboratore Leonardo Messina si ha la sensazione che Messina e l’articolista parlino dello stesso progetto. E può forse ritenersi una coincidenza il fatto che in tempi assolutamente non sospetti, e cioè nell’immediatezza dell’omicidio Lima, qualcuno ipotizzasse una matrice politico-eversiva del delitto finalizzata a determinare le condizioni più idonee per la secessione della Sicilia?

I casi sono due : O l’autore di quell’articolo ha avuto uno straordinario intuito, oppure, più realisticamente, coloro che si muovevano intorno all’agenzia Repubblica avevano avuto, attraverso canali occulti, notizia di quanto stava accadendo, e non potendolo denunciare a chiare lettere, perché prigionieri del loro passato e di un gioco di ricatti incrociati, lanciarono dei messaggi cifrati.

Se l’ipotesi che si viene delineando fosse esatta, si tratterebbe del tipico scenario di uno scontro sotterraneo tra settori della vecchia classe dirigente e coloro che aspiravano, avendone i mezzi e la capacità, a prendere il loro posto al vertice dello Stato. In questo contesto Cosa Nostra si sarebbe limitata ad un cambio di alleanze e l’omicidio dell’onorevole Lima, con il quale venne messo fuori causa il senatore Andreotti, sarebbe stato in realtà l’incipit della prima fase del piano.

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