Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza d'appello, presidente del tribunale Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte


Con sentenza del 29 giugno 2010 la Corte d'Appello di Palermo, assorbita l'imputazione ascritta al capo A) della rubrica ( art. 416 c. p.) in quella di cui al capo B) (art. 416 bis c.p.), nell'unico reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, in parziale riforma della sentenza di primo grado, limitatamente alle condotte commesse in epoca successiva al 1992, ha assolto Marcello Dell 'Utri per insussistenza del fatto.

In relazione all'unico reato permanente di concorso esterno in associazione di tipo mafioso per le condotte commesse sino al 1992, escludendo l'aumento di pena per la continuazione, ha ridotto la pena inflitta all'imputato ad anni sette di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata. Nel giudizio di appello - a seguito di una parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale - sono stati acquisiti atti, verbali di dichiarazioni dibattimentali rese in altri processi ( Mario Masecchia), è stato disposto un nuovo esame di Aldo Papalia e di Maria Pia La Malfa, è stata ammessa la produzione dell'agenda dell'imputato relativa all'anno 1974, è stato disposto, ai sensi dell'art 603, II comma c.p.p, l'esame del collaboratore Maurizio Di Gati, che è stato sottoposto a confronto con Antonino Giuffrè. Si è acquisito poi il verbale di dichiarazioni spontanee rese da Dell'Utri nell'ambito del processo celebratosi a suo carico per il reato di calunnia aggravata; è stato ammesso l'esame di Gaspare Spatuzza, di Filippo e Giuseppe Graviano e di Cosimo Lo Nigro.

Sono stati acquisiti il dispositivo e la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio della sentenza della Corte d'appello di Milano nel processo celebratosi a carico di Dell 'Utri e di Vincenzo Virga per il delitto di tentata estorsione aggravata ai danni di Vincenzo Garraffa.

Preliminarmente deve rilevarsi che la difesa aveva sottoposto alla Corte d'Appello l'esame di alcune questioni preliminari di natura processuale riguardanti profili di inutilizzabilità di alcuni atti per violazione degli artt. 191 e 526 c.p.p. La Corte, dopo avere ritenuto fondate alcune di dette questioni (l'inutilizzabilità dell'esame dibattimentale reso Vittorio Mangano il 13 luglio 1998 e della deposizione di Giuseppe Messina nel corso dell'incidente probatorio che si era svolto nell'ambito di altro procedimento), ha riaffermato la legittima acquisizione:

delle dichiarazioni rese da Dell'Utri in data 26 giugno e 1 luglio 1996 nonché di quelle rese dallo stesso imputato al Giudice Istruttore di Milano limitatamente alle affermazioni che non riguardavano la responsabilità di altri, ma che erano inerenti allo stesso Dell 'Utri;

delle dichiarazioni rese da Silvio Berlusconi in data 20 giugno 1987 davanti al Giudice Istruttore di Milano limitatamente agli elementi favorevoli alla difesa di Dell 'Utri;

delle dichiarazioni testimoniali rese nel corso delle udienze del 6 e del 13 novembre 2000 da Vincenzo Garraffa, persona offesa dal delitto di tentata estorsione aggravata e nei cui confronti era stata presentata denuncia per il delitto di calunnia (processo che si era concluso con un'archiviazione) e per il delitto di diffamazione a mezzo stampa, che invece era pendente alla data delle suddette dichiarazioni;

delle dichiarazioni rese da Antonino Giuffrè nel corso delle udienze dibattimentali del 7 e del 20 gennaio 2003. In relazione poi all'eccezione difensiva di inutilizzabilità dei tabulati telefonici elaborati dal consulente del P.M. dott. Gioacchino Genchi e della relativa deposizione dibattimentale per le parti che avevano riguardato Dell 'Utri, parlamentare della Repubblica sulla base dell'irrilevanza del consenso prestato dal quest'ultimo nel corso delle dichiarazioni spontanee del 15 dicembre 2003 essendo l'immunità di cui all'art. 68 Cost. una garanzia irrinunciabile, la Corte d'Appello, ha sottolineato che i risultati dei tabulati ( che erano stati richiamati dal giudice di primo grado solo in due casi giudicato dalla Corte d'appello privi di ogni valenza accusatoria) e le dichiarazioni rese dal consulente non erano stati utilizzati in alcun modo per la decisione di secondo grado: la questione dunque era priva di rilievo.

La sentenza della Corte ha preso le mosse dall'analisi dei rapporti di Dell'Utri con Vittorio Mangano e Gaetano Cinà, rapporti iniziati nei primi anni '70 e proseguiti fino ai primi anni '90. La difesa, nell'atto di appello aveva sottolineato che l'origine dei rapporti tra l'imputato, Vittorio Mangano e Gaetano Cinà era da collegarsi alla loro comune passione calcistica nel contesto della squadra calcistica del Bacigalupo.

Dell 'Utri, nel corso delle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre 2004, aveva riferito che l'origine della conoscenza con il Mangano era da collegarsi alla necessità di tutelare i giocatori della Bacigalupo allorchè disputavano le partite di calcio m zone particolarmente degradate e con una tifoseria aggressiva. Mangano - secondo quanto aveva riferito l'imputato - aveva una forza dissuasiva nei confronti delle aggressioni dei tifosi avversari sui giocatori della Bacigalupo che si presentavano" tutti puliti, tutti graziosi " e che a volte vincevano le partite. Dell 'Utri aveva precisato che, mentre al Mangano lo legava un rapporto di conoscenza, Cinà era per lui un vero amico. Nella genesi del rapporti di Mangano con Dell'Utri, secondo la Corte, doveva poi spiegarsi il motivo dell'assunzione del primo ad Arcore nei primi degli anni '70 proprio grazie all'interessamento dell'imputato e con la collaborazione dell'amico Cinà.

La Corte ha ritenuto infondata la censura della difesa alla sentenza del Tribunale, nella parte in cui aveva sostenuto che Mangano era stato assunto ad Arcore per occuparsi, quale stalliere, degli animali ed in particolare dei cavalli e non già, come aveva ritenuto il giudice di primo grado, per garantire, su iniziativa concordata tra Dell 'Utri, Cinà e gli esponenti mafiosi, la sicurezza di Silvio Berlusconi e della sua famiglia. In particolare, secondo i giudici di appello, non era credibile che Berlusconi avesse affidato le funzioni di fattore o di curatore della manutenzione degli animali ad un perfetto sconosciuto. Dell 'Utri aveva dichiarato, nel corso delle spontanee dichiarazioni, che Berlusconi non aveva trovato in Brianza una persona che capisse di cavalli, di cani e di terreni sicchè aveva chiesto a lui se conosceva qualcuno in Sicilia.

Era stato allora che l'imputato si era rivolto a Mangano, che lui sapeva interessarsi di cani e non di cavalli; con tale affermazione era caduto in contraddizione in quanto nel corso dell'interrogatorio al P .M. del 26 giugno 1996 lo stesso Dell 'Utri aveva invece dichiarato che Mangano si intendeva di cavalli. Vittorio Mangano aveva accettato la proposta e si era trasferito a Milano con la famiglia. Secondo la Corte era innegabile che Mangano si intendesse di cavalli; la circostanza era emersa dalle concordi dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia: Mutolo, Cucuzza, Contorno, Calderone nonché dal tenore della conversazione intercettata il 14 febbraio 1980 a Milano all'Hotel Duca di York intercorsa tra Mangano e Dell 'Utri.

A parere della Corte, tuttavia, detta esperienza non giustificava l'assunzione di Mangano: Dell'Utri si era interessato a fare assumere Mangano non perché Berlusconi era alla ricerca di un fattore o di un responsabile della villa di Arcore, ma soltanto per assumere un soggetto dotato di un rilevante e noto spessore criminale al fine di tutelare Berlusconi da minacce ed attentati. Detta circostanza - secondo la Corte ( che condivideva le argomentazioni del Tribunale sul punto) - aveva trovato conferma nelle dichiarazioni rese dal collaborante Francesco Di Carlo che aveva parlato dell'incontro avvenuto a Milano al quale aveva partecipato il boss mafioso Stefano Bontade ed aveva affermato quest'ultimo aveva deciso di mettere al fianco dell'imprenditore milanese, per proteggerlo, Vittorio Mangano.

La Corte, sottolineando che il Tribunale non aveva stabilito, in base alle dichiarazioni del Di Carlo, se l'arrivo di Mangano ad Arcore aveva preceduto o seguito la riunione con Bontade, ha ritenuto che l'arrivo di Mangano ad Arcore era stato deciso all'esito di detta riunione che si era tenuta tra il 16 ed il 29 maggio 1974. Doveva invero tenersi conto del fatto che l'l luglio 1974 Mangano aveva trasferito la propria residenza ad Arcore e che Dell 'Utri, in sede di dichiarazioni spontanee del 29 novembre 2004, aveva riferito che Mangano era andato a lavorare per Berlusconi nel luglio- agosto 1974 (l'indicazione dell'anno 1973 era stata reputata dalla Corte un errore in cui era incorso l'imputato, atteso che da altre inequivocabili emergenze probatorie era risultato che l'anno in cui Mangano era andato a lavorare ad Arcore era il 1974).

La Corte d'Appello ha ritenuto che era emerso che Mangano era stato adibito alla sicurezza di Berlusconi e dei suoi familiari; ed invero, anche se l'imprenditore aveva alle sue dipendenze un autista, era stato Vittorio Mangano ad accompagnare i figli a scuola e talvolta la moglie a Milano. Lo stesso Dell 'Utri, nel corso delle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre 2004 aveva confermato che Mangano era " un uomo di fiducia assoluta tant'è che Berlusconi faceva accompagnare i bambini a scuola solo da lui neanche dal suo autista".

Quando il Mangano era stato arrestato alla fine del 197 4 per poche settimane, decidendo poi di lasciare il suo lavoro ad Arcore, Berlusconi aveva deciso di allontanarsi con la famiglia dall'Italia e si era organizzato con un numero considerevole di guardie private ed un pullman blindato, come avevano riferito il suo collaboratore Fedele Confalonieri e lo stesso Dell 'Utri ( v. interrogatorio reso il 26 giugno 1996).

L'imputato, nel corso dell'interrogatorio al P .M. appena citato, aveva ammesso che Berlusconi aveva subito minacce fin dai primi degli anni '70 e che esse erano cessate senza che vi fosse stato alcun intervento. Secondo la Corte, detta affermazione non era credibile; le minacce erano state messe in atto per chiedere denaro a Berlusconi e quest'ultimo si era rivolto a Dell'Utri per cercare di risolvere il problema. Dell 'Utri ne aveva parlato con Cinà che - così come aveva riferito il Di Carlo - aveva organizzato l'intervento di Stefano Bontade e l'invio di Mangano ad Arcore, per proteggere l'imprenditore milanese. […].

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