Le indagini istruttorie, non solo hanno confermato che l'organizzazione mafiosa denunziata è realmente esistente, ma hanno lasciato intravedere tutta una serie di connivenze e di complicità, per cui può ben dirsi che le indagini stesse, seppur approfondite, hanno appena dischiuso uno spiraglio sui complessi rapporti che legano l'organizzazione del crimine col potere economico e politico
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per un mese pubblichiamo ampi stralci della prima grande inchiesta di Giovanni Falcone, l’ordinanza di rinvio a giudizio “Rosario Spatola e altri” del 1980
Nel rapporto di denunzia del 6 maggio 1980 si era sostenuto che le 55 persone denunziate per il delitto di associazione per delinquere, facessero parte di una consorteria mafiosa, dedita, oltre che alle tradizionali illecite attività della mafia, anche al traffico degli stupefacenti (eroina) fra la Sicilia e gli Stati Uniti ed all'investimento del danaro proveniente da tali attività nel settori, soprattutto, dell'edilizia e dei lavori pubblici.
Le indagini istruttorie, non solo hanno confermato che l'organizzazione mafiosa denunziata è realmente esistente, ma hanno lasciato intravedere tutta una serie di connivenze e di complicità, per cui può ben dirsi che le indagini stesse, seppur approfondite, hanno appena dischiuso uno spiraglio sui complessi rapporti che legano l'organizzazione del crimine col potere economico e politico.
Era necessario svolgere ogni opportuna indagine per accertare le eventuali responsabilità dei singoli imputati; esaurita questa fase, si è reso necessario un provvedimento di stralcio per il compimento di ulteriori indagini che avrebbero ritardato l'ormai improcrastinabile chiusura della fase istruttoria di questo procedimento.
Nell'esame del materiale probatorio appare preferibile iniziare con la valutazione delle risultanze concernenti il traffico di stupefacenti, poiché le stesse pongono chiaramente in luce le articolazioni ed i collegamenti fra i vari membri dell'organizzazione mafiosa.
Ai fini della prova si utilizzeranno anche i rapporti della Dea (Drug Enforcement Administration), ed atti di autorità giudiziarie degli Usa, acquisiti al procedimento, che, se non rivestono la natura documentale che è propria di quelli delle autorità italiane, ne hanno tuttavia la stessa efficacia informativa (...).
In effetti, alcuni problemi sono prospettabili in ordine all'utilizzabilità di atti e documenti di autorità (di polizia e giudiziarie) straniere nel procedimento penale italiano, ma tutti sono risolvibili in senso positivo. Anzitutto, giova osservare che, a norma dell'art. 41, IV^ comma, cod. proc. pen., per i reati commessi, in tutto o in parte, all'Estero, "il Giudice può valersi degli atti dell'Autorità straniera per il procedimento penale", per cui tali atti possono essere acquisiti nel processo e di essi può essere data lettura in dibattimento a norma degli artt. 452 e segg. cod. proc.pen.
Fra l'altro, è espressamente prevista la lettura, sia delle dichiarazioni rese all'Autorità Giudiziaria da parte di persone assenti dallo Stato (art. 462 n. 3 cod. proc. pen.), sia dei rapporti di polizia (art.465 cod. proc. pen.), e non vi è alcun motivo per ritenere che gli atti delle autorità straniere siano soltanto quelli dell'autorità giudiziaria e non anche i rapporti di polizia.
Altro problema potrebbe derivare dal fatto che, a norma dell'art. 31 delle Preleggi, le prove raccolte
all'Estero, per essere ammissibili in giudizio in Italia, non debbono essere in contrasto con le leggi nazionali di ordine pubblico. Si potrebbe sostenere, dunque, che, in virtù dell'Ordinamento Giudiziario Statunitense, i rapporti di polizia non hanno valore di prova in giudizio; ed inoltre, che non potrebbero essere utilizzate come fonte di prova le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria americana da parte di soggetti che, per l'ordinamento italiano, dovrebbero assumere la veste di imputati. E ciò perché, in entrambi i casi, vi sarebbe contrasto con l'ordinamento processuale penalistico italiano.
Entrambe le questioni non hanno pregio. Si osserva, infatti:
A) se è vero che i rapporti di polizia, nell'ordinamento Anglo-sassone, hanno valore, non già di prova, bensì di mezzo per l'acquisizione in giudizio della prova, non è men vero che, per il nostro ordinamento, i rapporti di polizia possono essere posti a fondamento del libero convincimento del Giudice (come si deduce dall'art. 466 cod. proc. pen.), per cui non è in alcun modo in contrasto con l'ordine pubblico l'attribuzione ai rapporti stessi del valore di piena prova, indipendentemente dall'efficacia che possono avere per l'ordinamento giuridico straniero;
B) quanto alle dichiarazioni rese come testi all'autorità giudiziaria straniera da persone che, secondo l'ordinamento italiano, dovrebbero essere considerate imputate, è agevole il rilievo che, in virtù del principio del libero convincimento del Giudice, può essere utilizzato, come fonte anche atipica di prova, qualsiasi elemento che non sia espressamente vietato dalla legge.
Ora, le dichiarazioni rese come testimonio, per via di legittima concessione dell'impunità, da persona che, per il nostro ordinamento, sarebbe da considerare imputato, sono utilizzabili nel nostro ordinamento perché in virtù, appunto, del principio del libero convincimento del Giudice - le dichiarazioni spontaneamente rese da soggetti che rivelino di avere partecipato ad un reato, possono essere utilizzate anche contro coloro che le hanno rese; e ciò indipendentemente dal fatto se i soggetti siano o meno imputabili o punibili per qualsiasi ragione, e dalla forma (nel caso di specie, testimonianza all'autorità giudiziaria straniera) con cui tali dichiarazioni siano state rese. (Cfr., in senso conforme, su entrambi i problemi, Cass. Sez. I, 19 febbraio 1979, Buscetta, in foro italiano, 1980 I, 166).
© Riproduzione riservata



