Il Capo di Stato maggiore dell'Arma, in data 5 luglio 1972, aveva risposto favorevolmente per organizzare le operazioni. Queste avevano effettivamente avuto inizio, per poi interrompersi, dal novembre 1973 all'agosto 1974, in seguito alla perdita dell'aereo «Argo 16». Nelle caserme dei Carabinieri non venne tuttavia depositato il materiale esplosivo proveniente dai Nasco (esplosivo «C4», bombe alla termite, bombe al fosforo, detonatori, ecc.); tale sistemazione non rispondeva ai requisiti di sicurezza...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del resoconto dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta della X Legislatura che per prima provò a ricostruire l’operazione Gladio. Nelle conclusioni della Commissione resta una frase che pesa più delle altre: «Persistono elementi di ambiguità e reticenza nel rapporto tra struttura e istituzioni democratiche». È il linguaggio della politica per dire che qualcuno mentì
Due appunti predisposti per il Capo del Sid nel 1974 (il 4 maggio ed il 16 ottobre) forniscono alcuni aggiornamenti circa la situazione dei materiali recuperati dai Nasco; questi, secondo la pianificazione delle operazioni di recupero decise nel 1972, avrebbero dovuto essere accantonati, «previo adeguato condizionamento», presso le caserme dei Carabinieri che, per la loro dislocazione, offrivano garanzie per un successivo, eventuale, tempestivo preleva mento.
Si trattava, in pratica, di utilizzare, anche per i materiali provenienti dai Nasco, il sistema della «consegna fiduciaria» sotto l'etichetta «Ufficio Monografie V CMT — Scorta Speciale di Copertura» che, come si è già visto, era stato adottato sin dal 1957 per altri materiali del Servizio accantonati presso caserme dei Carabinieri.
In conformità a questo orientamento, il Capo del Servizio aveva formalmente chiesto al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, con lettera del 14 giugno 1972, di procedere all'accantonamento dei materiali in questione, indicando, nel contempo, le modalità per un eventuale recupero.
Il Capo di Stato maggiore dell'Arma, in data 5 luglio 1972, aveva risposto favorevolmente ed aveva indicato i nominativi degli ufficiali delle legioni interessate, ai quali il Servizio avrebbe dovuto rivolgersi per organizzare le operazioni.
Queste avevano effettivamente avuto inizio, per poi interrompersi, dal novembre 1973 all'agosto 1974, in seguito alla perdita dell'aereo «Argo 16». Nelle caserme dei Carabinieri non venne tuttavia depositato il materiale esplosivo proveniente dai Nasco (esplosivo «C4», bombe alla termite, bombe al fosforo, detonatori, ecc.); tale sistemazione non rispondeva ai requisiti di sicurezza imposti dalle norme sulla conservazione dei materiali esplosivi.
Il Capo del Servizio accolse quindi la proposta, formulata nel primo degli appunti di cui qui si riferisce, che era di «accentrare i materiali esplosivi "Stay-behind" presso: il deposito "esclusivo del Cag", per quanto riguarda il "C4", già abilitato alla conservazione dell'esplosivo stesso; il Deposito di Munizioni di Campomela (dipendente dalla Sezione Autonoma di Artiglieria di Nuoro), previa richiesta formale al Comando Artiglieria dell'VllI CMT per i rimanenti materiali scoppiami».
Sia le confezioni di «C4», da conservare al Cag, sia quelle del deposito di Campomela potevano essere predisposte per l'aviolancio, sistema ritenuto preferibile, in quanto le operazioni di caricamento e aviolancio venivano giudicate «più sicure e più rapide del preleva mento degli stessi materiali da parte degli elementi esterni, presso i vari Depositi territoriali»
[Il secondo dei due appunti tratta, in particolare, alcuni problemi connessi al sistema da usare per ritirare i materiali delle caserme dei Carabinieri all'atto dell'emergenza; tale sistema consisteva, in sostanza, nella presentazione ai consegna tari dei materiali, da parte dell'incaricato del ritiro, della metà di una banconota che doveva esattamente corrispondere con quella conservata dal consegnatario stesso.
Questo sistema, si legge nell'appunto, aveva fatto sorgere, in seno all'Arma, alcune perplessità «dovute alla mancata informazione — peraltro voluta dal Comando Generale stesso — dei Comandi intermedi circa natura e scopi dell'accantonamento di materiali». Il sistema alternativo prevedeva:
a) un'informativa data ai comandanti di legione interessati, o ai Capi Uffici OAIO delle legioni interessate, che avrebbero poi provveduto a divulgarlo, pure oralmente, ai comandi in sottordine;
b) sostituzione delle due metà di una stessa banconota con due parti di una stessa lettera, che era quella di consegna dei materiali, metà della lettera sarebbe rimasta al Comandante della stazione, l'altra, restituita al Servizio, avrebbe dovuto essere consegnata dall'incaricato del ritiro dei materiali].
L'accantonamento dei materiali operativi della organizzazione costituisce oggetto di una proposta formulata al Capo del Servizio con un appunto del 7 gennaio 1975. Il documento fornisce, innanzi tutto, un quadro completo della situazione in cui si trovavano i materiali stessi in quel momento. Tale quadro può così sintetizzarsi: per il Friuli-Venezia Giulia: armi e munizioni destinate alle UPI «Stella Alpina» e «Stella Marina» si trovavano accantonate sia presso Caserme dell'Esercito, sia presso Caserme dei Carabinieri, tutte indicate con la denominazione di «magazzini avanzati». Vi erano inoltre materiali ex-Nasco, destinati alle stesse UPI nonché a nuclei, accantonati presso altre Caserme dell'Esercito e dei Carabinieri. Vi era anche del vestiario per la UPI «Stella Alpina», sistemato presso Caserme dell'Esercito definite «magazzini arretrati».
Infine, munizioni di vario tipo risultavano custodite presso riservette e depositi direzionali dell'Esercito; per il Trentino-Alto Adige, Veneto e Lombardia: i materiali ex Nasco erano accantonati presso Caserme dei Carabinieri. In sintesi, può dirsi che il materiale ex-Gladio veniva custodito, come già detto, assieme alle «Scorte Speciali di copertura». Il sistema era giudicato «relativamente sicuro anche sotto il profilo della tutela del segreto per quanto concerne la custodi» ma anche «scarsamente operativo», tenendo conto delle due più probabili situazioni di emergenza, vale a dire l'invasione improvvisa del territorio nazionale o la previsione di invasione a breve scadenza. Nella prima ipotesi, infatti, sarebbe andata perduta la maggior parte del materiale ed in ogni caso «la presentazione di un elemento dell'organizzazione incaricato del prelievo del materiale» veniva conSiderata «molto difficile» ed anche rischiosa per elementi destinati alla clandestinità. Di impossibilità del ritiro non poteva invece parlarsi, evidentemente, nel caso di una «previsione dell'invasione».
Nel periodo di attesa, infatti, ben avrebbero potuto gli appartenenti all'organizzazione procedere al prelievo dei materiali, stante la non immediatezza del pericolo. Anche questa seconda ipotesi appariva, tuttavia, controindicata, in quanto sia nel caso di cessazione dell'allarme, sia nel caso di effettivo verificarsi dell'invasione, gli appartenenti all'organizzazione che si fossero esposti, presentandosi nelle varie Caserme per ritirare il materiale, avrebbero corso seri rischi di essere individuati dalle «reti informative nemiche», particolarmente presenti, secondo le valutazioni espresse nell'appunto, nella zona del Friuli-Venezia Giulia, abitata e frequentata da elementi filoslavi. Tali reti, in una situazione di preallarme, si sarebbero infatti attivate o potenziate.
L'appunto si concludeva prospettando una serie di possibili soluzioni alternative, la prima delle quali prevedeva il ritiro dei materiali in deposito presso le Caserme dell'Esercito e dei Carabinieri e il tra sporto dei medesimi al Cag nonché, limitatamente a quelli destinati al Friuli-Venezia Giulia, presso l'armeria della SAD in Roma.
I materiali avrebbero dovuto essere preparati «per aviolancio o trasporto a mezzo aerei leggeri, elicotteri o vettori navali, ricalcando cioè tecniche clandestine ampiamente sperimentate nell'ultimo conflitto dai francesi». Questa soluzione venne poi effettivamente realizzata, sebbene sull'appunto in questione risulti un'annotazione manoscritta che in dica come prescelta un'ipotesi in parte diversa: parziale mantenimento dei materiali presso le Caserme e presso il Centro Ariete di Udine, nuovo ricorso al sistema Nasco per i materiali dislocati nella fascia lungo le zone di confine.
In realtà, «nel 1976 a seguito di una nuova concezione operativa tutto il materiale venne ritirato ed accentrato nel Cag. Nel luglio dello stesso anno l'esplosivo venne trasferito nel deposito munizioni di Campomela e, nel 1985, riportato al Cag ove è, a tutt'oggi, custodito in apposite gallerie».
A seguito della soppressione dell'organizzazione Stay-behind, il Sismi ha avviato la procedura necessaria per il riversamento al l'Amministrazione militare dei materiali ex «Gladio».
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