Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


Un covo nelle campagne di Corleone. Una stalla con arredi primitivi e semplicissimi strumenti rustici, dove un uomo, ultrasettantenne, di aspetto dimesso consuma ricotta e cicoria. Sono i dati scarni di un verbale d’arresto stilato dalla polizia il giorno 11 aprile 2006. Un giorno in cui si materializza in carne e ossa Bernardo Provenzano. Siamo al termine di una interminabile invisibilità.

E’ un boss che nei suoi scritti sembra ispirarsi alla figura del patriarca all’antica. E’ un boss che convince gli “uomini d’onore” facendo ricorso all’esperienza e alle citazioni della bibbia. Provenzano fa tutto questo per decenni, lontano da Corleone. Le cosche di Villabate e Bagheria ne gestiscono la latitanza.

Nell’hinterland di Palermo, Binnu non limita a nascondersi. Da quei luoghi opera. E lo fa servendosi di foglietti di carta ripiegati (i “pizzini”); non per refrattarietà verso i moderni sistemi di comunicazione ma, semplicemente, per motivi di sicurezza. Il “pizzino” non lascia tracce a differenza dei mezzi telematici e elettronici e dello stesso telefono.

E’ scrupolosissimo nella “partita a scacchi” giocata per oltre quaranta anni con gli investigatori che lo braccano.

Fatto assolutamente eccezionale, sino alla cattura non si conoscono volto e fattezze fisiche. Nessuno si accorge di nulla, neppure nel 2003 in occasione del suo viaggio a Marsiglia per sottoporsi ad una delicata operazione chirurgica.

Grazie a Nicola Mandalà e a Francesco Campanella, si spaccia per un panettiere di Villabate, padre di un amico di Nicola. Utilizza un documento palesemente falsificato con la fotografia che riproduce le sue fattezze. Non incontra ostacoli né prima né dopo dell’operazione. Poi, per non destare sospetti, induce il Troia a chiedere il rimborso alla Regione Sicilia per il ricovero oltre frontiera.

In una delle lettere dattiloscritte indirizzate ad Antonino Giuffrè, detto manuzza, e sequestrate al momento del suo arresto, Provenzano esprime l’ossessione per l’invisibilità. Bastano poche righe per sollecitare il boss di Caccamo affinché avvertisse i proprietari di una azienda agricola della possibile presenza di telecamere installate dalle forze di polizia:

Carissimo, con gioia, ho ricevuto, tuoi notizie, mi compiaccio tanto, nel sapervi, ha tutti in ottima salute. Lo stesso grazie a Dio, al momento, posso dire di me……

Discorso cr; se lo puoi fare,e ti ubidiscono? facci guardare, se intorno all’azienta, ci avessero potuto mettere una o più telecmere,vicino ho distante, falli impegnare ad’Osservare bene. e con questo, dire che non parlano, né dentro, né vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vici a case, ne buone né diroccate, istriscili, niente per me ribgraziamente Ringrazia a Nostro Signore Gesù Cristo.

Come spiega Giuffrè ai pubblici ministeri, Provenzano parla di un immobile, adibito ad azienda agricola, nella disponibilità della famiglia Umina. Si tratta di un luogo utilizzato dal boss per incontri con altri affiliati e riunioni strategiche.

Ma la cattura di Montagna dei Cavalli non è un “colpo di fortuna” degli investigatori. E’ la logica conseguenza della progressiva erosione di una rete di protezione costruita pazientemente nel corso degli anni.

Il circuito dei messaggi, collaudato e reiterato nel tempo, coinvolgeva tantissimi complici. Era imperniato su un sistema di comunicazioni rapido, efficiente e compartimentato. Solo in quel modo si poteva assecondare la gestione della miriade di interessi riconducibili a Cosa Nostra. E quel sistema viene completamente svelato dagli esiti dei procedimenti denominati “Grande mandamento” e “Ghiaccio”, le cui sentenze indicano tempi, modalità e responsabilità dell’agire del superlatitante Provenzano. La trama è confermata dalle intercettazioni sul “Gotha” di Cosa Nostra.

Fondamentale è la ricostruzione relativa alle “vie dei pizzini”. Mostra l’eterogenea estrazione geografica delle decine di complici del capo e i differenti contesti territoriali in cui si snodano le loro condotte. I passaggi da Ciminna a Baucina, da Ragusa a Vittoria, da Agrigento a Caltanissetta, da Mezzojuso, Prizzi a Monreale ci parlano di una ramificazione mafiosa capillare e di un controllo effettivo su gran parte del territorio della Sicilia.

Tutte le persone inserite nel circuito dei messaggi dovevano essere persone di fiducia, in senso mafioso si intende. All’interno di ogni famiglia si operava la raccolta dei messaggi. Questi venivano, poi, unificati in un unico plico al quale era allegata una lettera di accompagnamento. I plichi delle diverse famiglie venivano concentrati in alcuni luoghi ben definiti, ove, poi, una cerchia ristretta di soggetti si occupava di consegnarli a coloro che erano in diretto contatto con il latitante. Ovviamente identico, anche se procedente in senso opposto, era il percorso delle lettere inviate dal latitante.

Il ruolo di ultimi anelli della catena - i fedelissimi ed i soggetti maggiormente accreditati presso il capo - è stato assunto, nel corso degli anni, da persone sempre diverse. Binnu ha avuto cura di inserire periodicamente sempre nuovi “filtri” tra sé e le persone incaricate del pericoloso ma essenziale compito di raccogliere e recapitargli la corrispondenza, così da vanificare il progredire delle investigazioni.

Il regista del sistema sino al gennaio del 2005 è stato Francesco Pastoia, inteso “Ciccio”, suicidatosi in carcere qualche giorno dopo il suo arresto. In realtà Pastoia, non solo ha gestito il complesso sistema di “comunicazioni riservate” del Provenzano, ma in qualità di suo diretto interlocutore è divenuto nodale punto di riferimento dei vari accoliti. Nel tempo, Pastoia, agendo con la collaborazione di Nicola Mandalà, è stato chiamato a dirimere questioni rilevanti per l’organismo criminale. Ha impartito disposizioni e ha imposto decisioni -sempre per conto del Provenzano- relative sia al mandamento di Misilmeri e di Belmonte Mezzagno, sia ai territori di Bagheria, Villabate e Misilmeri fino ad arrivare a toccare parti significative della stessa città di Palermo.

Dopo il gennaio del 2005, la coppia Pastoia-Mandalà verrà sostituita da un complesso meccanismo di comunicazione nel quale si cimenta anche il latitante Giovanni Nicchi, giovane “braccio destro” di Rotolo Antonino, come conferma la documentazione acquisita a Montagna dei Cavalli.

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