Risulta in atti la documentazione su una esercitazione di «insorgenza e controinsorgenza» denominata «Delfino», svoltasi nella zona di Trieste nel periodo dal 15 al 24 aprile 1966, con la partecipazione dei quadri della UPI «Stella Marina», di un nucleo «propaganda» e di un nucleo «evasione ed esfiltrazione»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del resoconto dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta della X Legislatura che per prima provò a ricostruire l’operazione Gladio. Nelle conclusioni della Commissione resta una frase che pesa più delle altre: «Persistono elementi di ambiguità e reticenza nel rapporto tra struttura e istituzioni democratiche». È il linguaggio della politica per dire che qualcuno mentì
In una seconda e più breve versione dell’appunto, datata 16 novembre 1963 ed indirizzata al Capo del Servizi, si notano alcune differenze: manca la ricognizione dei criteri ispiratori e delle finalità dell’attività addestrativo-operativa e manca, soprattutto, il riferimento all’eccezione avutasi, rispetto agli originari principi organizzativi, per le unità di pronto impiego, delle quali non vengono qui ricordati – a differenza di quanto si è visto esaminando la precedente stesura del documento – i compiti svolti «di fatto».
Manca altresì l’affermazione che il Servizio americano dà il suo benestare «ad una oculata utilizzazione della Base per esigenze non concernenti l’operazione Gladio ». Con riferimento all’attività di elementi « Gladio » in funzione propagandistica, di contro-propaganda e di disturbo, si precisa che quanto « programmaticamente già previsto » per le unità di pronto impiego, e in particolare per la « Stella Alpina », è « in parte, in atto ».
Deve qui essere osservato che i surriferiti elementi di conoscenza sul tipo di attività svolta, in tempo di pace, dalla «Stella Alpina» non trovano alcuna rispondenza nel complesso della documentazione acquisita dal Comitato sulla «operazione Gladio» e rimangono, pertanto, un dato isolato. Ciò è confermato, d’altro canto, da quanto si riferirà nel paragrafo seguente circa le pressioni di parte americana – intese ad ottenere proprio un’attività del tipo di quella sopra descritta – che, ancora nel 1972, venivano inutilmente reiterate e, poi, lasciate cadere, come risulta documentalmente.
In merito al riordinamento del CAG, nella nuova formulazione del documento si fa riferimento alla costituzione, «come emanazione dell’Ufficio “R” – Sez. “SAD”», di un Centro Studi ed Esperienze, al quale affidare la responsabilità di « tutto quanto concerne in sito l’operazione Gladio e suoi addentellati ed avrebbe alle dipendenze (...) il Centro Addestramento Guastatori, con struttura il più possibile vicina a quella di un battaglione di fanteria (...), e che conserverebbe la sua attuale dipendenza disciplinare ed amministrativa dal RUS».
Risulta in atti la documentazione su una esercitazione di «insorgenza e controinsorgenza» denominata «Delfino», svoltasi nella zona di Trieste nel periodo dal 15 al 24 aprile 1966, con la partecipazione dei quadri della UPI «Stella Marina», di un nucleo «propaganda» e di un nucleo «evasione ed esfiltrazione».
Un primo appunto per il Capo del Servizio, datato 6 aprile 1966, preannunzia lo svolgimento dell’esercitazione «che svilupperà, su base sperimentale, temi concernenti le operazioni caratteristiche della guerra non convenzionale in situazioni di insorgenza e di controinsorgenza».
Secondo lo stesso appunto, tra gli scopi dell’esercitazione vi erano l’organizzazione e l’impiego di un sistema di collegamenti radio clandestini a corta e grande distanza, lo svolgi mento di attività notturne (aviolancio di materiali ed esfiltrazione di personale via mare) nonché la «organizzazione ed attivazione di comandi per operazioni di insorgenza e controinsorgenza, operanti di fatto nel corso dell’esercitazione in posizione contrapposta, al fine di suscitare stimoli all’azione e alle conseguenti reazioni con riferimento all’ambiente geografico, etnico e operativo del terreno preso in esame».
Un successivo appunto per il Capo del Servizio, datato 3 maggio 1966, informa dell’avvenuto svolgimento dell’esercitazione in conformità agli scopi previsti (operazioni di guerra non convenzionale in situazioni di insorgenza e controinsorgenza), specificando che, nel corso di essa, sono stati presi in esame aspetti e problemi concreti della zona nella quale si è svolta (il territorio della Venezia Giulia compreso nel perimetro Aquileia-Monfalcone-Sistiano-Trieste) giungendo «allo studio approfondito di realistiche ipotesi configurate nei particolari luoghi, ambienti e gruppi etnici».
A conferma di quanto esposto nel primo appunto citato, si indicano gli «eventi di rilievo» dell’esercitazione: l’organizzazione di un sistema di collegamenti radio clandestini a grande distanza, un’operazione notturna di esfiltrazione clandestina di personale via mare, l’organizzazione e l’attiva zione di comandi per operazioni di insorgenza e controinsorgenza.
A questo riguardo, si chiarisce che i comandi hanno operato «in posizione contrapposta» e che la «Direzione-manovra, frazionata in due aliquote, una per le operazioni di insorgenza e l’altra per le operazioni di controinsorgenza, ha proceduto a suscitare una serie di eventi, iniziative e controiniziative, misure e contromisure, che hanno contrapposto l’una all’altra le due parti, in termini concreti aderenti ai luoghi e inquadrati nel supposto dell’esercitazione».
L’appunto che si illustra è corredato da un quadro sinottico delle attività svolte giorno per giorno nel corso dell’esercitazione (alla quale presero parte 22 «elementi locali» e 9 appartenenti alla sezione «SAD»), da una scheda sul «supposto d’impianto» dell’esercitazione e da una relazione conclusiva, contenente i documenti di lavoro prodotti dai due gruppi contrapposti, quello chiamato a pianificare la «insorgenza» e quello impegnato a rispondere al primo con azioni di «controinsorgenza».
Il «supposto d’impianto», vale a dire lo scenario ipotetico nel quale si inquadra l’esercitazione, fa riferimento ad un arco di tempo di circa dieci mesi, dal gennaio all’ottobre 1966, suddiviso in tre fasi successive: nella prima, si suppone che in alcune zone dell’Italia settentrionale «gruppi di estremisti, guidati e sostenuti dall’esterno (Aggressoria), stanno promuovendo una situazione che, all’attenzione degli elementi più sensibili, appare contenere tutti i germi di una possibile più vasta azione di insorgenza»; l’azione è «camuffata» facendo ricorso a « diverse forme di organizzazioni, iniziative, rivendicazioni sociali, economiche e sindacali » ed appare particolarmente grave nella Venezia Giulia, dove l’azione di sovvertimento è facili tata dalla vicinanza del confine con «Aggressoria», che ha consentito una «penetrazione capillare di elementi sovversivi (stranieri o indigeni rientrati in zona dopo essere espatriati)».
Nella seconda fase, si accendono focolai di insorgenza più a ponente, che impegnano forze maggiori, la situazione diventa più pesante e gli insorti appaiono in grado di assumere il controllo di alcune zone.
Nella terza fase, l’ulteriore aggravarsi della situazione « costringe le autorità civili e militari ad una scelta tra «l’impiego della forza con conseguente rischio di aprire un “conflitto limitato”» e il «ricorso al compromesso politico, accettando di fatto, per la zona, un particolare temporaneo ordinamento».
Il «supposto d’impianto» dell’esercitazione si chiude ipotizzando che le autorità, ritenendo un conflitto troppo gravoso per le popolazioni della zona, optino per la seconda soluzione e che, al fine di non lasciare «cristallizzare» la situazione in tal modo determinatasi e «per suscitare fermenti di resistenza e confermare il buon diritto dell’italianità della zona, si attivano le formazioni di guerriglia precostituite».
Sulla base di questo schema, otto elementi della UPI «Stella Marina» e quattro della «Centrale» svolsero l’esercitazione di insorgenza e controinsorgenza, prendendo le mosse da una preventiva valutazione della situazione politica internazionale, nazionale e locale (Trieste), quest’ultima esaminata in dettaglio (rapporti tra i partiti con particolare attenzione al Pci, situazione sindacale, questione slovena ecc.).
Il gruppo «I», che doveva programmare le azioni di insorgenza, mise a punto una dettagliata pianificazione di eventi: distribuzione di volantini, scioperi, costituzione di comitati contro la guerra nel Vietnam, cortei e comizi di protesta in relazione alla situazione socio-economica della zona, occupazioni di fabbriche e cantieri, azioni di disturbo di manifestazioni avverse al movimento di insorgenza, occupazione del consiglio comunale di Aurisina, propaganda politica intesa a propugnare una maggiore collaborazione fra sloveni e italiani (particolare rilievo si dava, a questo proposito, al comizio del 1° maggio, organizzato dal Pci), azioni di proselitismo tra i militari e le forze dell’ordine, blocchi stradali, dichiarazione di autonomia del comune di Duino-Aurisina (che istituisce controlli strada li), estensione di tale zona autonoma ad altri comuni, estromissione dalla zona di Muggia delle forze di polizia, sostituite nelle loro funzioni dal locale distaccamento dei vigili del fuoco posto alle dipendenze del corpo di polizia municipale, ulteriore creazione di «zone libere», incitamento alla rivolta nel corso di un comizio degli operai del cantiere San Marco, ormai quasi completamente inattivo.
L’esito finale di questo piano di crescente destabilizzazione era quello sintetizzato nell’analisi della situazione che chiude la programmazione dell’insorgenza. Secondo tale analisi, all’inizio di settembre del 1966 «vi è un tentativo di insorgenza in atto. Tutto l’altipiano è in mano agli slavo-comunisti che hanno occupato anche gli uffici pubblici. Le esigue forze di polizia si sono ritirate nei loro alloggiamenti e così pure le forze armate dislocate in zona mantengono un atteggiamento di prudente attesa, avendo l’ordine di evitare incidenti.
Nella città i rioni periferici sono ugualmente in mano comunista e le autorità non intervengono per evitare conflitti armati e danni agli impianti... Non vi è stata alcuna violazione di frontiere da parte di forze armate jugoslave.
La direttiva propagandistica delle forze dell’insorgenza è, per adesso, di lottare per un territorio libero e per la difesa degli interessi della popolazione locale, che l’Italia ha sempre ignorati. La popolazione è fortemente intimorita e non può reagire di fronte a uomini armati. Qualora però delle forze di controinsorgenza intervenissero in appoggio alle forze di polizia e dell’esercito per ripristinare la situazione, certamente tutta la popolazione favorirebbe entusiasticamente tale intervento».
Alla pianificazione dell’insorgenza elaborata dal gruppo «I» si contrappose, nello svolgimento dell’esercitazione, il «programma d’azione» redatto dal gruppo «C-I», sigla che sta per «Contro-insorgenza». Questo programma era articolato sulle previste tre fasi di crescente intensità e si snodava lungo lo stesso arco temporale preso in considerazione dalla pianificazione dell’insorgenza.
In sintesi, si prevedevano le seguenti iniziative: campagna di stampa e, più in generale, di contropropaganda, intesa ad esaltare il sentimento patriottico di appartenenza all’Italia ed a «smascherare i fini occulti delle azioni dell’insorgenza»; disturbo di eventuali comizi o manifestazioni; organizzazione di contromanifestazioni; eventuali azioni intimidatorie, mobilitazione di associazioni ed organizzazioni, in parti colare di quelle studentesche; ulteriore azione, «con tutti i mezzi a disposizione», tesa a dimostrare l’inconsistenza e l’infondatezza delle pretese jugoslave sul territorio di Trieste; richiesta di un plebiscito prima di giungere alla costituzione di un territorio autonomo della repubblica « slava »; organizzazione di nuclei di protezione degli elementi non aderenti all’insorgenza; disturbo del comizio del 1° maggio.
Per la terza parte, quella in cui «l’insorgenza è praticamente in atto e gli insorti dominano la situazione in quanto occupano tutti i passi dell’altipiano come pure i rioni periferici della città» (l’analisi coincide con quella, già vista, che conclude la pianificazione dell’attività di insorgenza) la programmazione della controinsorgenza muove dall’ipotesi dell’avvenuto completamento dell’attività di schedatura, iniziata nel periodo precedente, di tutti gli « enti » e le «attività» dell’insorgenza.
Su questa base si prevedono, in terza fase, le seguenti azioni: intensificazione delle azioni intimidatorie (lancio di manifestini, distruzione di eventuali archi di trionfo, cancellatura di scritte murali), scritte murali di contrasto, diffusione di slogans, azioni di disturbo e di sabotaggio mascherato, individuazione di centri di eventuale rifornimento di armi e munizioni, potenziamento massimo delle azioni di propaganda, eventuali atti di terrorismo da addebitare all’insorgenza, predisposizione di eventuali posti di blocco per interdire l’insorgenza o per controllare eventuali infiltrazioni.
La seconda parte dell’esercitazione, alla quale presero parte un nucleo propaganda ed un nucleo esfiltrazione, si svolse sulla falsa riga della prima per quel che riguardava l’articolazione e la graduazione delle attività in tre fasi successive, ma «con criteri e procedure propri del modo di agire dei “nuclei”, orientati non già all’impiego diretto, bensì preposti alla funzione di guida di gruppi cooperanti ed al collegamento radio clandestino con la Centrale» (l’annotazione è tratta dalla tabella sinottica che sintetizza le fasi ed i momenti dell’esercitazione). Non si hanno tracce documentali di altre esercitazioni di questo genere.
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