In seguito al femminicidio di Giulia Cecchettin, il dibattito sull’esigenza di smantellare la nostra cultura patriarcale ha finalmente preso avvio, soprattutto grazie all’impegno della sorella Elena. Il 22 novembre, il governo Meloni ha presentato le linee guida sull’“Educazione alle relazioni”, prevedendo trenta ore extracurricolari solo durante le superiori. Come può questo programma essere valido ed efficace quando le lezioni scolastiche escludono le voci femminili dal panorama letterario e dalla narrazione storica? La violenza di genere è strutturale e sistemica, pertanto non può e non deve essere un’aggiunta esterna al curriculum.

Durante il liceo, mi è stato insegnato che lo scopo dei miei studi era comprendere la mia storia, ma con il tempo ho realizzato che stavo memorizzando la storia degli uomini, scritta dai vincitori. Dove sono Caterina da Siena, Vittoria Colonna, Neera, Sibilla Aleramo, Goliarda Sapienza, Alba de Céspedes e le altre? Ho dovuto recarmi all’estero per studiare le scrittrici italiane. Il mio non è un caso isolato.

Nonostante il vastissimo corpus di studi che dimostra la costante partecipazione delle donne in ambito letterario dal medioevo a oggi, le autrici italiane sono marginalizzate – se non assenti – all’interno dei libri di testo e dei programmi scolastici. Un’indagine sulle antologie di letteratura italiana per il triennio ha rivelato che la rappresentanza femminile è estremamente bassa, variando da un misero 2,74 per cento all’8,83 per cento.

Durante l’anno accademico 2018/2019, nelle università italiane gli autori hanno costituito in media il 91 per cento dell’offerta formativa, mentre le autrici solo il 9 per cento.

In ogni epoca, le donne si sono ribellate all’oppressione patriarcale, articolando critiche lucide, di cui non vi è traccia nel nostro programma scolastico. Risale al 1600 la pubblicazione delle prime opere letterarie femminili a favore della dignità della donna: Il merito delle donne e La nobiltà et l’eccellenza delle donne, delle veneziane Moderata Fonte (1555-1592) e Lucrezia Marinella (1571-1653). I loro testi riflettono su temi chiave del femminismo, quali il nesso tra dipendenza finanziaria e mancanza di libertà, le pari capacità intellettuali dei sessi, e la convinzione che gli squilibri di potere tra i sessi non siano frutto della biologia ma di opportunità educative differenziate. Queste capostipiti del pensiero femminista occidentale sono sconosciute alla maggior parte degli italiani.

Naturalizzare il patriarcato

Depurata da ogni voce portatrice di dissenso femminista, la nostra educazione naturalizza il patriarcato, presentandolo agli occhi degli studenti come un dato di fatto. Con la stessa schiacciante incontestabilità che un tempo caratterizzava il racconto biblico della disobbedienza di Eva, questa narrazione ostacola l’uguaglianza, generando la convinzione che le ragazze siano intrinsecamente inferiori, meno capaci, meno interessanti e meno brillanti dei ragazzi. Mantiene intatti i rapporti di potere che prevedono la sudditanza femminile al maschio. Alimenta negli uomini l’impressione di essere stati gli unici ad agire, contribuendo all’oggettivazione delle donne che sta alla base della cultura dello stupro.

La rimozione storica della donna rappresenta una forma di violenza epistemica, equivalente a un femminicidio simbolico che ci nega il nostro legittimo ruolo sia nel passato che nella costruzione del presente. Così, le nuove generazioni crescono sole, senza alcuna consapevolezza di quanto abbiano realizzato le loro antenate, e il dibattito sulla donna persiste nel ripetersi costantemente degli stessi luoghi comuni. Questa ciclicità ci lascia vulnerabili perché impedisce la formazione di una genealogia femminile, privandoci della preziosa eredità di pensieri, strategie e pratiche femministe essenziali per affrontare e contrastare la violenza radicata nella nostra società patriarcale.

Per garantire effettivamente la tutela delle donne dalla violenza, è indispensabile una trasformazione della didattica di portata radicale, con una revisione completa del sistema scolastico. Tuttavia, le misure del governo Meloni risultano dannose.

Il caso Amadori

Un intervento di questa portata non può essere affidato a individui che non hanno competenze specifiche in materia, come nel caso di Alessandro Amadori. La scelta di un profilo professionale così inadeguato mette in luce un evidente disinteresse nel migliorare la condizione delle donne italiane. Questa riforma dovrebbe essere guidata da esperti nel settore, come ad esempio esponenti della Società Italiana delle Letterate e la Società Italiana delle Storiche.

Non sono sufficienti alcune ore di educazione affettiva se la prospettiva complessiva rimane androcentrica. È controproducente discutere brevemente di uguaglianza di genere e poi ritornare alle lezioni normali, durante le quali il contributo delle donne viene ignorato. È necessaria un’educazione profondamente differente, che preveda lo studio del femminismo.

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