Amiamo il cibo, questo è fuori discussione: è la nostra “droga naturale” in una quotidianità così complessa dove abbiamo bisogno di essere continuamente coccolati. Ma amiamo anche il nostro corpo e siamo sempre stimolati dal raggiungimento dei modelli di perfezione che i media ci propongono. E allora ci troviamo sempre più sospesi in un eterno limbo ad interrogarci su cosa è bene e cosa è male, cosa è buono e cosa è cattivo, a fare continue speculazioni e strategie d’attacco dove il cibo ne esce sempre sconfitto.

Ecco dunque che spuntano nuove confessioni, mode e trend dove ciascuno diventa guru di un miracoloso regime alimentare che promette risultati strabilianti, e uno di questi è il digiuno intermittente. Questo nuovo approccio è una strategia alimentare che, con orologio e calendario alla mano, risponde all’imperativo categorico: oggi mangio, domani no.

C’è da dire che, per limitazione delle risorse e per scarsità di cibo, il digiuno è stato praticato dai nostri antenati nel corso dei secoli passati, tanto è vero che l’organismo umano ha sviluppato meccanismi adattativi che hanno permesso la sopravvivenza durante i periodi di carestia. Nelle tradizioni religiose, poi, è diventata una scelta, come il digiuno quaresimale cristiano o il mese di Ramadan per i musulmani. Tuttavia, il termine digiuno intermittente è stato coniato solo negli anni 2000. Uno dei primi sostenitori è stato il dottor Fung che ha iniziato a prescrivere il digiuno ai pazienti con diabete di tipo 2.

Con il digiuno intermittente non c’è bisogno di pesare gli alimenti, di contare le calorie, basta dire no al cibo e seguire dei protocolli che differiscono per la durata del digiuno e della finestra di alimentazione. Non si tratta di modificare quello che si mangia ma quando si mangia. C’è chi digiuna a giorni alterni, chi invece segue uno schema 5:2, che prevede cinque giorni in cui si mangia e due giorni, non consecutivi, in cui si digiuna. La formula più comune è quella 16:8, ovvero 16 ore di digiuno e otto in cui ci si alimenta, in questi casi di solito si salta la colazione con annessi spuntini mattutini o la cena. Poi c’è lo schema 12:12 dove si digiuna per 12 ore e si mangia per altre 12.

A livello biochimico

Gli zuccheri (glucosio) e i grassi sono le due fonti principali con cui le cellule del nostro corpo si riforniscono di energia. Dopo un pasto, viene utilizzato principalmente il glucosio mentre i grassi sono depositati nel tessuto adiposo. Nei primi 2-3 giorni di digiuno il cervello continua a bruciare grandi quantità di glucosio, come è programmato fare.

Nell’arco di poche ore il glucosio circolante inizia a calare e se non viene rimpiazzato attraverso il cibo, l’organismo attinge energia dai depositi di glucosio immagazzinati nei muscoli e nel fegato sotto forma di glicogeno. Ora, se si consumano tutte le riserve di glucosio, glicogeno compreso, l’organismo entra in uno stato di emergenza energetica: il grasso viene rilasciato dai depositi e convertito in acidi grassi e corpi chetonici, si passa alla cosiddetta “modalità bruciagrassi”. Avviene quello che in gergo chiamiamo switch metabolico: l’organismo gira cioè l’interruttore metabolico un po’ come fa un’auto ibrida che, quando le batterie iniziano ad esaurirsi, passa dall’elettrico alla benzina.

I corpi chetonici liberati dai depositi adiposi possono sostituire, in via provvisoria, il glucosio e a questo punto tutti gli organi, cervello in primis, saranno ben lieti di utilizzarli come carburante. I primi due giorni di digiuno possono essere molto difficoltosi, soprattutto la prima volta. Infatti il nostro organismo deve imparare a gestire lo switch metabolico, cioè deve ritrovare un nuovo equilibrio nel passaggio dall’uso del glucosio (il carburante tradizionale) a quello dei chetoni (il carburante di emergenza). La maggior parte delle persone non è abituata e può lamentare condizione di disagio, spossatezza, mal di testa e disturbi del sonno.

Chi pratica il digiuno?

Chi pratica questo tipo di digiuno lo fa, per lo più, perché vuole dimagrire. Ma quando si vuole dimagrire, vale la pena interrogarsi prima di tutto sul perché si ingrassa e si ingrassa, di norma, perché si mangia troppo e non si pratica abbastanza esercizio fisico.

Teniamo presente che con il digiuno intermittente la perdita di peso è sempre associata a un deficit calorico, e si può raggiungere un risultato analogo con un’alimentazione ipocalorica ma rispettando il normale timing dei pasti. Pensiamo alla forma di digiuno più diffusa, quella 16:8, se nelle otto ore in cui si mangia si crea un deficit calorico, allora sì che si dimagrisce, ma se si eccede con le calorie i risultati non arriveranno nonostante le 16 ore di digiuno. Di fatto l’altra faccia del digiuno intermittente è proprio una ipernutrizione programmata, dal momento che nelle 8 ore successive al digiuno si mangia ad libitum…e il rischio è quello di vanificare comunque il risultato.

Digiuno sì, digiuno no

Per una questione di tempistiche lavorative il digiuno intermittente può tuttavia essere una strategia utile da adottare: pensiamo per esempio a chi lavora su turni e si trova a dover a saltare la cena, o a chi lavora di notte e la mattina va a dormire saltando la colazione. Lì dove per esigenze lavorative potrebbe risultare difficile seguire un piano alimentare “tradizionale”, un protocollo di questo tipo potrebbe avere senso, ma a livello di benefici non ci sono sostanziali variazioni rispetto ad una normale dieta ipocalorica.

Inoltre, l’idea di essere bloccati e di non poter mangiare può generare ansia e può spingere a mangiare in maniera eccessiva. Dopo un digiuno prolungato infatti una persona potrebbe avere molta fame e cadere nel meccanismo delle abbuffate. Questo potrebbe poi portare a un digiuno compensatorio nella convinzione che possa aiutare a recuperare dopo aver mangiato eccessivamente.

Ci sono poi dei casi in cui il digiuno intermittente è sicuramente sconsigliato: come per i bambini, le donne in gravidanza o in allattamento, e nelle persone con patologie (diabete e disordini metabolici, malattie cardiovascolari e cancro). Soprattutto, non è affatto consigliato a chi è affetto di disturbi del comportamento alimentare, perché il rigore eccessivo dello schema da seguire può ulteriormente aggravare il rapporto con il cibo.

Altro dettaglio da non sottovalutare è il risvolto negativo che si ripercuote sulla vita familiare, sociale e lavorativa. Pensiamo solo che oggi è a cena che la famiglia si ritrova per condividere tutti i momenti della giornata trascorsa. Ma non solo, il digiuno intermittente può condizionare la convivialità anche in termini di feste ed eventi: mangiare, soprattutto nel nostro bel Paese, è un gesto di conciliazione e di relax. Inoltre il cibo facilita la comunicazione e l’integrazione fra colleghi: è anche grazie alle cene di lavoro che ci si conosce tra vicini di ufficio, si prendono decisioni aziendali, si parla di promozioni e di aumento di stipendi: e dunque, che si fa se proprio quella sera in cui c’è la cena di lavoro il protocollo ci impone digiuno? Tutti i colleghi mangeranno, e noi? O rinunciamo o ci uniamo a loro sorseggiando un buon calice di acqua! Una soluzione senza troppi sacrifici potrebbe essere il digiuno 12:12. Ma non è già quello che normalmente fanno tutti coloro che non cenano tardi ed evitano di mangiare appena svegli? Di fatto, a ben guardare, se si prolunga di qualche ora il digiuno notturno, con ultimo pasto che termina alle 21, colazione alle 9 del giorno successivo, contiamo un digiuno di 12 ore e salvaguardiamo la socialità che è alla base del benessere fisico, mentale e anche lavorativo.

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