Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


Il grado di pervasività della ‘ndrangheta della Locride in contesti massonici non sembra limitarsi, tuttavia, alle sole logge del Grande Oriente d’Italia. Dalle analisi a campione effettuate sulle logge abbattute in Calabria, emergono profili di criticità anche per la loggia, poi abbattuta, denominata “Mario Placido” di Roccella Jonica (Rc) affiliata alla Serenissima Gran Loggia d’Italia.

Almeno sette dei suoi appartenenti sono, infatti, risultati collegati con esponenti della ‘ndrangheta calabrese ed un altro annovera pregiudizi per corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.

Colpisce, in particolare, il profilo personale di un massone appartenente a tale loggia il quale, benché sostanzialmente incensurato, risulta essere stato, da precedenti di polizia, in rapporto di frequentazione con ben ventuno soggetti con precedenti per mafia e con altri soggetti indiziati di essere coinvolti nel traffico di stupefacenti.

A chiosa degli elementi di rischio emersi per questa loggia, va segnalato che nel relativo piè di lista compare altresì un figlio del citato capo ‘ndrangheta di Locri, fratello di altro massone presente nelle fila della loggia Goi “Rocco Verduci”.

Negli atti acquisiti nell’ambito dell’inchiesta, non è stato rinvenuto il decreto di abbattimento della loggia né le ragioni formali o di fatto che hanno condotto all’adozione di tale provvedimento da parte del gran maestro dell’obbedienza.

Sempre nel reggino è risultata, poi, attiva la loggia “Araba Fenice n. 98” di Reggio Calabria appartenente alla Gran Loggia Regolare d’Italia (Glri) i cui iscritti risultano privi delle complete generalità, sia nell’elenco acquisito dalla Commissioni presso la sede centrale dell’obbedienza sia nel fascicolo cartaceo di loggia.

Tuttavia, si ha più che fondato motivo di ritenere che un iscritto alla loggia, tale “Giovanni Zumbo” (privo del luogo e della data di nascita), sia l’omonimo commercialista calabrese condannato ad 11 anni di reclusione con sentenza definitiva emessa dalla Corte di Cassazione nel 2016 in relazione all’operazione della Dda di Reggio Calabria denominata “Piccolo Carro” per concorso esterno in associazione mafiosa, in cui emerge chiaramente la sua appartenenza alla massoneria, al pari del carabiniere di cui si dirà in seguito.

La figura di Giovanni Zumbo appare emblematica sul ruolo di cerniera che la massoneria può assumere tra la ‘ndrangheta, da un lato, e gli apparati dello Stato, dall’altro.

L’audizione di Prestipino

Nel corso di un’audizione del 2012 presso questa Commissione nell’ambito della XVI Legislatura, l’allora procuratore aggiunto presso il tribunale di Reggio Calabria, Michele Prestipino, in relazione alle vicende della partecipata Multiservizi del capoluogo reggino ebbe modo di illustrare diffusamente ed efficacemente la figura del commercialista. «Il signor Zumbo, che fa da prestanome [alla cosca Tegano, n.d.r.] , è soggetto particolare: se volessimo scrivere un paragrafo sul manuale della zona grigia, il signor Zumbo sarebbe una figura scolastica di componente della zona grigia perché esercita una libera professione, ha uno studio che lo mette in contatto con tutto il mondo dei liberi professionisti, ha rapporti con la magistratura perché fa l’amministratore dei beni sequestrati e confiscati, amministrava patrimoni di mafia importantissimi non solo per la rilevanza economica, ma anche dal punto di vista dei nomi degli ‘ndranghetisti cui questi patrimoni appartenevano».

«Ma soprattutto Zumbo è quel soggetto - non dimentichiamolo - che a marzo 2010 va a casa di Giuseppe Pelle, il figlio di Antonio Pelle Gambazza, e gli rivela tutte le notizie che in quel momento erano segrete e che certamente non circolavano, o non avrebbero dovuto circolare sull’indagine "Crimine". Zumbo riferisce a Pelle di essere in grado di consegnargli, anche qualche giorno prima, la lista di coloro che sarebbero stati arrestati e soprattutto gli dice, a marzo, i nomi dell’operazione, tutte le caratteristiche, le procure che collaborano e soprattutto gli riferisce che entro giugno sarebbero state arrestate 300 persone. Noi ne abbiamo arrestato 300 il 9 luglio. Questo è il personaggio».

Chiosa, dunque, l’audito delineando in sintesi il ruolo di tale professionista: «Quindi Zumbo è cerniera perché ha contatti con i mafiosi, fa il prestanome dei mafiosi e detiene un patrimonio" che "comprende una quota considerevole” della società partecipata di Multiservizi e, dall’altro lato, ha contatti anche con apparati dello stato».

L’audizione, si ricorda, risale al 5 dicembre 2012 e a quella data il magistrato calabrese si rammaricava del fatto che “nonostante tutti i nostri sforzi investigativi – e vi assicuro che ne abbiamo fatto tanti – non siamo riusciti a capire, sapere e scoprire chi avesse mandato il signor Zumbo a casa di Pelle a dare quelle notizie e proporre patti scellerati”, ma soprattutto “ chi gliele avesse fornite da offrire” .

A distanza di circa quattro anni dall’audizione, la citata sentenza della Corte ha, però, offerto una risposta al rammarico di un tempo del magistrato, dando contezza degli ambigui rapporti che intercorrevano tra lo Zumbo e alcuni appartenenti alle forze dell’ordine, tra cui un carabiniere, noto anche per aver svolto – scrive la Corte – “un ruolo determinante” nel ritrovamento dell’autovettura, carica di armi e ed esplosivo, a pochi passi dal luogo dove avrebbe dovuto passare il corteo presidenziale al seguito dell’allora Capo dello stato, Giorgio Napolitano, il 21 gennaio 2010.

Secondo le indagini, il ritrovamento era una messa in scena ordita dal boss Giovanni Ficara ai danni del cugino Giuseppe, suo rivale, al fine di far ricadere su di questi le responsabilità giudiziarie di tale azione, trama ordita con la complicità dello Zumbo.

Orbene, non appare dunque una semplice coincidenza il fatto che nel piedilista della loggia “Araba Fenice” della Glri sia stato rinvenuto, accanto al nominativo di “Giovanni Zumbo”, anche quello del carabiniere, beninteso, anche questo privo di luogo e data di nascita, e quindi anche questo “omonimo” del soggetto suindicato.

Quanto alle vicende della loggia “Araba Fenice”, da quel poco che è stato possibile ricostruire dagli scarni atti disponibili, si evince che lo scioglimento è stato disposto dal gran maestro Venzi nel giugno del 2011 per “inadempienze nella gestione della loggia” e per le “dimissioni da parte dei Fratelli a piè di lista”. Motivazioni, dunque, di stretto rito massonico, senza alcun cenno ad ipotesi di infiltrazione mafiosa. Né, d’altronde, vi è traccia, negli atti acquisiti, del fatto che le autorità centrali dell’obbedienza abbiano ritenuto necessario disporre un’ispezione interna alla loggia, iniziativa quanto mai necessaria data quella peculiare situazione ambientale.

L’esplorazione a campione è stata, infine, estesa anche ad alcune logge sciolte con sede in altre aree della regione Calabria.

Nel territorio di Crotone, è stata esaminata la loggia Goi “Lacinia” che si caratterizza, in particolare, per il fatto che nell’ambito dei soggetti che ne hanno fatto parte è stata individuata una dozzina di massoni con evidenze, risalenti al luglio 2007, attinenti al reato di cui all’art. 2 della legge 17/1982 sulle associazioni segrete, taluni dei quali peraltro in posizione di dipendenti pubblici (personale del ministero della giustizia, dell’agenzia delle entrate, dell’INPS, ecc.). Anche per questa loggia non mancano coloro per i quali gli elementi di polizia indicano rapporti di frequentazione con soggetti pregiudicati.

In un caso, un massone della loggia “Lacinia” è stato posto in relazione con tre diversi esponenti ritenuti appartenenti alla ‘ ndrangheta, due dei quali anche con pregiudizi per traffico di droga e l’altro per estorsione.

In un altro, vi è traccia di una frequentazione con un soggetto con precedenti per mafia, estorsione e usura. Per altri due membri della loggia sono emerse evidenze di polizia per il reato di estorsione e per corruzione.

La loggia risulta sciolta il 9 luglio 2010 dal gran maestro Raffi per contrasti all’interno della loggia e per altre violazioni di mero rito massonico.

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