Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà parte del libro Sulle ginocchia, edito da Melampo, riguardo la storia di Pio La Torre scritta dal figlio Franco


Vuoto di memoria.

Mi ritrovo davanti alla porta di casa, mi apre Gianni, il caro amico di sempre, che mi abbraccia. Nel soggiorno siede Walter Veltroni, con cui sono cresciuto politicamente e non solo nella Federazione Giovanile Comunista. Walter era il giovane responsabile del settore televisivo del Dipartimento Stampa e Propaganda nazionale del partito. Era stato il primo dirigente del partito ad accorrere e si sarebbe fermato a casa, non ricordo per quanto tempo e non ricordo, nemmeno, se e di cosa abbiamo parlato. Sullo stesso divano stava mia madre, muta, cerea, lo sguardo fisso, interrotto soltanto da un singhiozzo, col volto segnato da una smorfia di dolore e d’incredulità, solcato dalle lacrime. Vuoto di memoria.

Si fa sera e squilla il citofono: gli inventori ed ex proprietari di RadioBlu vorrebbero abbracciarmi e mi chiedono se mi vada di scendere e fare due chiacchiere. Accetto e li raggiungo in strada. Sono in macchina, una R4 rossa, dove prendo posto nel sedile posteriore. Accanto a me, un giovane giornalista del Manifesto, che mi rivolge alcune domande per un’intervista, che uscirà il giorno dopo, che avrò pur letto ma di cui non ricordo nulla.

Chissà come ho passato quella notte.

L’indomani mattina ci trasferiamo in aereo a Palermo. Prima tappa, la sede del Pci, un gran palazzo nobiliare in Corso Calatafimi, dove si trovava l’ufficio di mio padre, che visito per la prima volta, in compagnia di mio fratello, tornato dalla Svezia dove stava completando un corso di specializzazione in chirurgia, insieme a mio zio, che ci segue, senza farsi notare. Sono scoppiato a piangere e ho abbracciato mio fratello. Quello è stato il mio primo pianto, almeno questo è il mio ricordo. Non ho mai pianto in pubblico. Mi sono commosso, la voce mi si è spezzata, ho dovuto interrompere una frase per l’emozione, gli occhi sono diventati lucidi ma mai una lacrima davanti ad altri, che non fossero le persone più care.

La sera, di nuovo a Corso Calatafimi, dove è stata allestita la camera ardente e dove ho visto, per l’ultima volta, il volto di mio padre. Non è un bel ricordo quella faccia. Nonostante le cure, non è stato possibile cancellare i segni della violenza.

Mi ricordo che abbiamo trascorso la notte a casa di zio Angelo ma niente di più.

Se mi chiedete come abbia raggiunto, l’indomani, piazza Politeama, dove si sono tenuti i funerali, non saprei cosa rispondervi. So solo che mi sono ritrovato lì, dove si andava radunando tanta gente, mentre si aspettava il corteo vero e proprio. In mezzo a quella folla è emersa zia Ninetta, la moglie di zio Luigi, l’unico dei fratelli maschi rimasto a Palermo.

Nessuna traccia nella memoria. Ancora abbracci, parole sussurrate, volti rigati dalle lacrime. Le autorità sul palco, le bare di Rosario e mio padre davanti, e i discorsi che si susseguono e la folla che applaude, tranne quando fischia quell’autorità, che non ha sentito la vergogna e ha scelto di non tacere.

Vuoto di memoria.

Mi ritrovai a Roma dove, piano piano, ripresi la vita di tutti i giorni. Decisi di lasciare RadioBlu. Per me si era conclusa una fase.

Era l’estate dei Mondiali dell’82, quelli vinti dall’Italia, che trascorsi a casa di Walter, da poco sposato con Flavia Prisco, coronando l’amore della sua gioventù. Da lì a pochi mesi, avrei sostituito Gregorio Paolini, che sarebbe diventato un affermato autore televisivo, al Dipartimento Stampa e Propaganda della Direzione del Pci, diretto da Massimo D’Alema. Sei anni di lavoro intenso, di elezioni perse e di premi vinti per le migliori campagne di comunicazione, che mi hanno permesso di apprendere tanto, grazie all’esperienza di persone di talento, come Fabio Mussi, Marcella Ferrara, Vincenzo Vita, Gino Galli, Bruno Magno ed Enrico Menduni, ai quali devo molto.

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