Qualcuno l’ha chiamata l’inizio della strategia della tensione. Qualcun altro l’ha descritta come la fine dell’innocenza di una democrazia appena nata. La bomba che il 12 dicembre 1969 sventra la Banca dell’Agricoltura a Milano è anche molto altro
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci dell'ordinanza del 18 marzo 1995, “Azzi+25” di Guido Salvini, il giudice che a Milano provò, a più di vent'anni di distanza dai fatti avvenuti, a far condannare responsabili e complici di una stagione di sangue
Qualcuno l’ha chiamata l’inizio della strategia della tensione. Qualcun altro l’ha descritta come la fine dell’innocenza di una democrazia appena nata. La bomba che il 12 dicembre 1969 sventra la Banca dell’Agricoltura a Milano è anche molto altro.
Una mano invisibile che lascia un messaggio preciso. Non è solo un ordigno che esplode nel cuore economico della giovane Repubblica. È un segnale contro quell’Italia che ansimava per il progresso, il domani, il futuro.
A più di vent'anni dalla fine della guerra e del regime fascista, a Milano, quel filo torna a tendersi. Un filo nero annodato molto, molto prima, tra le colline di Portella della Ginestra, quando lo Stato scelse di non far piena luce su sé stesso.
La bomba di Piazza Fontana segna il leitmotiv della storia recente delle altre bombe e delle altre stragi italiane, dove si alternano i soggetti criminali ma quello che ruota attorno rimane sempre inalterato: depistaggi, protezioni, doppie fedeltà. E un'Italia che è sempre la stessa: un Paese dove qualcuno uccide, qualcuno cerca di indagare e qualcun altro, più in alto, copre e insabbia.
Tutto comincia nei minuti successivi all’esplosione. Il sangue non si è ancora asciugato e già si costruisce una storia che non regge: la pista anarchica. Mentre un'altra bomba, ritrovata inesplosa sempre a Milano, viene fatta brillare per motivi di sicurezza. Un depistaggio immediato, chirurgico. Lo ritenteranno a Brescia, lavando Piazza della Loggia subito dopo l'esplosione, il 28 maggio 1974. Lo faranno anche con la strage del treno Italicus, il 4 agosto 1974, con l'intromissione della P2 nelle indagini e la copertura dei responsabili. Lo tenteranno anche a Bologna, undici anni dopo, il 2 agosto 1980, parlando di una caldaia difettosa. Lo faranno ancora con le stragi, avvenute o tentate, di mafia.
Da Milano a Roma, dal Veneto alla Toscana, le “impronte” di quella lontana strategia della tensione sono sempre le stesse: uomini dei servizi, generali e ufficiali dell'esercito e dei carabinieri, capi della polizia. E poi i fascisti terroristi, camerati e fratelli di sangue con le loro coperture. Tracce che vengono cancellate, inchieste che portano altrove, a piste farlocche, a processi che si concludono con assoluzioni a volte grottesche, a volte già “risapute”. E sullo sfondo rimangono loro, quelle mani invisibili, quei poteri sporchi, quelle convergenze di interessi.
Da oggi sul nostro Blog Mafie, pubblichiamo l'ordinanza del 18 marzo 1995, “Azzi+25” di Guido Salvini, il giudice che a Milano provò, a più di vent'anni di distanza dai fatti avvenuti, a far condannare responsabili e complici di una stagione di sangue. Nel documento compaiono nomi noti, come Gianadelio Maletti, capo del Reparto D del SID; Stefano Dalle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale; Licio Gelli, capo della loggia P2; Guido Giannettini, agente dei servizi segreti. E tanti altri personaggi, tutti rigorosamente sempre assolti.
Così a più di cinquant'anni di distanza dalla strage di Piazza Fontana manca una sentenza di condanna dei responsabili. Anche se si è arrivati ormai ad una verità storica, ottenuta non grazie allo Stato, ma nonostante lo Stato.
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