Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.


Conferme del quadro probatorio finora delineato sono emerse anche dalle dichiarazioni di Gioacchino Pennino, uomo d’onore ben “introdotto” nella città anche in quanto medico e uomo politico della D.C. Egli, nella sua doppia qualità di uomo d’onore e massone, ha ampiamente par lato, per conoscenza diretta, del rapporto Cosa Nostra – massoneria, evidenziando altresì il profondo radicamento di quest’ultima all’interno della società e delle istituzioni siciliane e la stabilità delle relazioni fra criminalità siciliana e calabrese proprio per il tramite della massoneria. Ed in tale contesto egli ha ricostruito in numerosi interrogatori la lunga storia degli intensi rapporti fra settori deviati della massoneria e Cosa Nostra, anche in relazione a progetti di tipo golpistico-separatista.

Il Pennino ha in proposito precisato che l'idea autonomista è stata sempre coltivata da Cosa Nostra in periodi congiunturali, caratterizzati da uno stato di crisi del rapporto con i detentori del potere politico, rievocando in particolare la vicenda del “golpe Borghese” nel 1970, del golpe separatista progettato nel 1978/79 da Michele Sindona, del progetto separatista coltivato dalla massoneria di cui gli parlò nel 1980 Stefano Bontate, e di un interessamento manifestato, fin dalla metà degli anni ‘80, dal gruppo di Vito Ciancimino e da ambienti massonici per una nascente “Lega Meridionale”. Pennino ha spiegato che il riaffiorare di siffatte istanze separatiste in seno a Cosa Nostra ed agli ambienti ad essa contigui, in momenti di crisi del rapporto con la politica, è stato spesso determinato dalla necessità di lanciare dei forti “segnali”.

Minacciare la separazione della Sicilia, o comunque il disimpegno rispetto ai referenti politici nazionali, può anche servire, insomma, per ricontrattare i rapporti di forza.

Pennino ha inoltre confermato le dichiarazioni di Tullio Cannella relative alla riunione di Lamezia Terme del 1993, ed all’esperienza di “Sicilia Libera”, nonché al progressivo venir meno nel 1994 dell’interesse per il progetto di tipo indipendentista in favore di altre formazioni politiche più tradizionali.

Di rilievo sono anche le dichiarazioni di Giovanni Brusca, che – come è noto – è stato uno dei protagonisti (ed artefici sotto il profilo operativo-militare) della strategia stragista del ‘92-’93. Una prima conferma del quadro probatorio finora delineato deriva dalle dichiarazioni di Giovanni Brusca sull’omicidio dell’on. Salvo Lima, che venne ucciso – secondo Brusca, così come secondo la convergente ricostruzione dei collaboratori di giustizia – perché principale rappresentante siciliano di quella componente politica che, dopo avere attuato per molti anni un rapporto di pacifica convivenza e di scambio di favori con Cosa Nostra, che riversava su di questa i propri voti, non sembrava più orientata a tutelare gli interessi dell'associazione mafiosa, mostrando - anzi - di voler proseguire in una politica contraria. Brusca nell’interrogatorio dell’11 settembre 1996 ha spiegato:

Non si trattava solamente di eliminare Lima e quindi di chiudere il conto con lui ma anche, in questo modo, di colpire Andreotti e spiego in che termini, specificando che quanto ora dico mi proviene dai discorsi che faceva Riina.

Secondo Riina, Andreotti era sempre stato appoggiato dalla Sicilia nel senso che la mafia aveva alimentato il consenso della DC in Sicilia ed in particolare della DC di Andreotti; ciò non pertanto Andreotti non si era in alcun modo attivato perché il maxi avesse un esito diverso e al contempo coltivava aspirazioni politiche elevatissime e, in primo luogo, la prospettiva di essere designato Presidente della Repubblica. Pertanto l’omicidio di Lima guardava anche verso Andreotti che Riina voleva indebolire.

Al di là, comunque, delle motivazioni dell’omicidio, riferibili ad una lettura del tutto interna all’ottica di Cosa Nostra, non possono esservi dubbi sugli effetti “destabilizzanti” dell’omicidio di un personaggio della caratura dell’on. Lima alla vigilia delle consultazioni elettorali nazionali del ’92. Il colpo inferto al sen. Andreotti fu notevole, specie se si considera che era già avviata la “corsa” alla Presidenza della Repubblica rispetto alla quale Andreotti era ritenuto favorito. Insomma, le dichiarazioni di Brusca costituiscono evidente conferma delle dichiarazioni finora esaminate circa il primo obiettivo della strategia violenta dei primi anni ’90, e cioè l’azzeramento dei vecchi “referenti politici”.

Brusca, uno degli autori della strage di Capaci, ha dichiarato anche in più di un interrogatorio di avere appreso personalmente da Totò Riina, che con quella strage gli obiettivi perseguiti erano molteplici: in primo luogo, eliminare un nemico storico di Cosa Nostra che aveva dimostrato di poter danneggiare l’organizzazione mafiosa, non soltanto da magistrato inquirente, ma anche ricoprendo un incarico ministeriale; in secondo luogo, lanciare un “segnale” al Ministro Martelli, uno dei politici che aveva “voltato le spalle” all’organizzazione mafiosa; in terzo luogo, bloccare la candidatura alla Presidenza della Repubblica di Andreotti, candidatura rimasta forte nonostante l’ostacolo frappostole con l’omicidio Lima.

Quanto, poi, alla natura secessionista del piano destabilizzante, Brusca ne ha dato una, seppur parziale, conferma quando ha riferito di una confidenza fattagli da Totò Riina, il quale gli disse: “Mi vogliono portare questo Bossi per fare la lega del Sud o la lega della Sicilia”, in tendendo con ciò dire che era stato chiesto il suo appoggio per un’iniziativa di questo genere, ma lui aveva rifiutato questo contatto, dicendo “ma come si può avere a che fa re con uno di questi”, riferendosi alle stravaganze del Bossi.

E nell’interrogatorio del 6 luglio 1999 Brusca ha in proposito precisato: “Confermo le dichiarazioni già rese circa lo scarso entusiasmo manifestato da Salvatore Riina verso un possibile “aggancio” con la Lega Nord che gli era stato prospettato da qualcuno che egli non mi precisò. Ciò accadde nel 1992 fra le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Voglio precisare, però, che io l’ho appresi soltanto nel 1992, ma il modo in cui me lo disse Riina presupponeva che Salvatore Riina aveva a lungo valutato tale prospettiva, sottoposta, quindi, a lui già da tempo”.

Brusca ha evidenziato altresì l’ampiezza della strategia stragista che comprendeva, fra l’altro, anche un attentato in danno dell’allora magistrato del pool “mani pulite” di Milano, Antonio Di Pietro, per la realizzazione del quale erano comunemente interessati palermitani e catanesi (cfr., fra gli altri, l’interrogatorio del 10/9/1996), circostanza questa che risulta confermata dalle dichiarazioni di Maurizio Avola sul punto (cfr. cap. II § 3 e 4).

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