Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana.


Tra le numerose dichiarazioni raccolte nel corso dell’inchiesta parlamentare, anche nelle forme dell'audizione a testimonianza di cui all'articolo 4 della legge 89 del 2013, appare significativo soffermarsi, in primo luogo, su quella resa da Giuliano Di Bernardo e poi, specularmente, su quella del collaboratore di giustizia Francesco Campanella.

È interessante, infatti, cogliere i diversi aspetti della stessa medaglia, ponendo a confronto il punto di vista e l’esperienza di due diversi appartenenti alla stessa obbedienza massonica: l’apice e la base.

Giuliano Di Bernardo - iniziato alla massoneria nel 1961, maestro venerabile nel 1972 della loggia bolognese “Zamboni de Rolandis” ove era “coperto” , eletto poi gran maestro del Goi l’11 marzo 1990 - in seguito alla cosiddetta “inchiesta Cordova” il 16 aprile 1993 si dimise dalla carica per fondare una propria autonoma obbedienza, la Gran Loggia Regolare d’Italia (Glri), di cui fu gran maestro dal 1993 al 2001, fino a quando nel 2002 non decise di lasciare anche l’obbedienza da lui fondata abbandonando del tutto la massoneria.

Al di là dei possibili livori maturabili in tutti gli ambiti associativi (e di cui vi è traccia anche nelle dichiarazioni di Bisi allorché parla di Di Bernardo), si ritiene, in questa sede, di dovere attribuire un particolare interesse alle dichiarazioni dell’ex gran maestro del Goi in merito alle sue conoscenze circa il funzionamento della massoneria e agli episodi da lui constatati (per i quali, appunto, lasciò il Grande Oriente d’Italia), posto che, anche in base all’ordinamento di tale obbedienza, il gran maestro è “garante della Tradizione Muratoria”, al quale tutto viene rapportato e riferito e, come spiegato, è anche colui che può conoscere l’esistenza di eventuali “ fratelli all’orecchio” all’interno dell’intera associazione.

In particolare, nell’audizione a testimonianza resa dinanzi alla Commissione il 31 gennaio 2017, Di Bernardo ha riferito che, nel corso di un incontro avvenuto nel 1993 tra i vertici del GOI, gli era stato riferito “ con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta” e che ciò nonostante nessun provvedimento era stato adottato in merito, né sarebbe stato preso per paura di “rappresaglie”.

Furono proprio queste argomentazioni ad indurlo a prendere immediatamente contatti con il Duca di Kent – referente di prestigio della massoneria ufficiale a livello internazionale – al fine di esporre la situazione in cui versava l’obbedienza, ricevendo in risposta di averne già avuto notizia da ambienti dell’Ambasciata in Italia e dei servizi di sicurezza britannici.

Di Bernardo aggiunge che, in realtà, già in precedenza - intorno agli anni ’90 - aveva avuto modo di apprendere notizie inquietanti sull’infiltrazione delle organizzazioni mafiose nelle logge del GOI e, in particolare, della Sicilia dove la situazione appariva gravemente compromessa. Nel corso di una riunione a Palermo, l’allora vertice Goi delle logge siciliane gli aveva persino consigliato di non accettare l’invito del presidente del consiglio regionale, proveniente da Campobello di Mazara, in quanto mafioso o collegato con la mafia. Tutti elementi, questi, che lo avevano indotto a chiedersi se gli ispettori del Goi facessero realmente i controlli previsti.

Proprio a causa di tali “presenze”, Di Bernardo aveva abbandonato il Goi, decidendo di fondare una nuova obbedienza (Glri) dove, per evitare il rischio delle infiltrazioni mafiose, ha dichiarato di aver assunto regole più stringenti, quali la consegna annuale al ministro dell’interno dell’elenco completo degli iscritti, l’abolizione dei cappucci e delle spade in quanto ritenuti ormai anacronistici e, infine, la certificazione dei bilanci.

Tuttavia, nonostante l’adozione di tali misure, nemmeno questa volta era riuscito nel suo intento di garantire trasparenza ad una obbedienza e, pertanto, aveva preso la grave decisione di abbandonarla nel 2002 e di lasciare definitivamente il mondo composito della massoneria.

Dava poi contezza della giustizia massonica come indipendente ed autonoma da quella “profana”: “Un massone viene condannato per un reato che ha compiuto nella società, però per la massoneria questo non è sufficiente per convalidare quel giudizio. La massoneria dà a se stessa l’autorità di fare la sua verifica per emanare il suo verdetto, che a volte può concordare con quello profano, altre volte no”.

Pertanto non vi è l’obbligo di denunciare neanche se si viene a conoscenza dell’appartenenza di un “fratello” ad una associazione mafiosa; dall’audizione emergeva, altresì, che il rifiuto della giustizia “profana” è nel modo di essere di un’associazione massonica.

Anche se Di Bernardo ha potuto riferire di fatti risalenti agli anni ’90 (peraltro corrispondenti alla stagione delle stragi politico-mafiose che insanguinarono l’Italia in quel terribile periodo), la portata e la gravità delle sue dichiarazioni è di tutta evidenza, emergendo uno spaccato di un’associazione che, contrariamente ai valori che professa, non si prefigge il rispetto della legalità e tollera pratiche di segretezza.

Ancor più grave la mancata reazione a fronte di una espressa denuncia di presenza mafiosa nelle sue logge. Alcune di esse verranno poi “abbattute”, ma mai è stata palesata la presenza o solo il rischio di presenze devianti, nelle motivazioni degli scioglimenti.

Il quadro riferito è inquietante, ancor più perché proveniente da colui che è stato al vertice dell’obbedienza e che, nonostante il suo grado, non è riuscito a dar vita ad un dibattito all’interno dell’associazione per estirpare il pericolo di infiltrazione e condizionamento mafioso.

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