Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


In merito alla vicenda testé rammentata del fallito attentato allo Stadio Olimpico è doveroso riportare ciò che è stato scritto nella sentenza di primo grado per collocare tale episodio nel contesto degli avvenimenti che avrebbero potuto segnare la storia del paese:

Costituisce forte convinzione della Corte, alla stregua del complesso di tutte le acquisizioni probatorie i-accolte, che quell‘episodio dell’attentato allo stadio Olimpico di Roma, passato quasi in secondo piano perché per fortuna fallito, se, invece, fosse riuscito ed avesse, quindi, determinato la morte di un così rilevante numero di Carabinieri, avrebbe con ogni probabilità veramente messo in ginocchio lo stato pressoché definitivamente (il “colpo di grazia “, per fortuna, soltanto vaneggiato da Giuseppe Graviano) dopo la sequenza delle gravissime stragi che si erano già susseguite dal 1992, ciò tanto più che l’ulteriore strage (la più grave per numero di vittime) sarebbe intervenuta in un momento di estrema debolezza delle Istituzioni a fronte di un Governo di fatto già dimissionario e di un parlamento già proiettato verso le imminenti elezioni politiche nel contesto di una campagna elettorale particolarmente aspra per le scorie della c. d. “tangentopoli” che aveva travolto tutti i partiti politici tradizionali.

Allora, pur volendo evitare qualsiasi enfasi, non può non ritenersi che quella strage avrebbe sicuramente cambiato (ovviamente in maniera tragica,) la storia di questo paese, aprendo la porta ad una fase di instabilità e di incontrollabilità del fenomeno mafioso foriera di esiti, sì, imprevedibili, ma certamente tutti gravemente negativi per la sopravvivenza stessa delle Istituzioni democratiche.

Il “caso”, qui rappresentato dall‘occasionale fallimento dell’attentato unitamente all‘arresto dei fratelli Graviano che di li a pochi giorni sarebbe avvenuto a Milano, ha mutato il corso delle cose e forse “salvato” il paese da anni sicuramente bui e tristi”.

Delle considerazioni che, per quanto offrano una lucida lettura degli accadimenti di quel periodo storico e politico, non aiutano a ricostruire la dinamica del fatto delittuoso che viene contestato in questo processo, neppure in riferimento alla posizione ritagliata intorno alla figura di Marcello Dell'Utri.

A volere ritenere che la stagione mafioso/stragista sia cessata dopo il fortuito fallimento (per un difetto del telecomando di innesto) dell’attentato allo Stadio Olimpico e dopo l’arresto, intervenuto in quello stesso periodo, dei fratelli Graviano, da tale ricostruzione non è possibile stabilire in quale misura la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi e la creazione, anche con l’ausilio di Dell'Utri, di Forza Italia siano stati degli eventi capaci di disinnescare, perlomeno in termini di causa-effetto, la stagione di contrapposizione frontale tra Cosa nostra e lo stato.

Non solo, infatti, va tenuto conto di quanto decantato in linea difensiva, circa gli interventi legislativi assunti con il contributo di Forza Italia, con provvedimenti contro i detenuti per l’imputazione ex art. 416 bis c.p. e perfino in tema di stabilizzazione del regime penitenziario di cui all’art 41 bis presi dai Governi Berlusconi successivi alla prima (e breve) esperienza di governo di questo esponente politico, ma va considerato che l’oggetto dell’imputazione che coinvolge in questo giudizio anche l’appellante Dell'Utri, non è quello riferito all’aver favorito una “pacificazione” nei rapporti tra lo stato e “la mafia”, ma di aver semmai minacciato e condizionato, in concorso con i mafiosi, l’operato del premier Berlusconi dopo l’insediamento del Governo nel maggio del 1994: l’ipotesi è che Silvio Berlusconi in quel particolare momento politico istituzionale sia stato minacciato ventilando la ripresa delle stragi. Senza dimenticare che Giuseppe Graviano, che fino a qualche giorno prima del suo arresto decantava, con Spatuzza, di aver trovato degli “interlocutori seri” e di essersi messo praticamente in mano le sorti dell’intero paese, ha proseguito, fino a quando ha potuto (cioè praticamente fino al suo arresto), la linea di attacco frontale allo stato, tanto che, nonostante quelle interlocuzioni al bar Doney, ha progettato l’attentato all’Olimpico di Roma che, se portato a consumazione, avrebbe falcidiato un numero di vittime, tra Carabinieri in servizio d’ordine e tifosi lì convenuti, perfino superiore ai precedenti attentati degli anni 1992-93.

V’è dunque da ritenere che l’esaurirsi della fase stragista, per quanto condizionata dal fallimento dell’attentato allo Stadio Olimpico, vada attribuita ad una molteplicità di fattori legati anche ai progressivi arresti dei soggetti più sanguinari che avevano seguito la primogenita strategia di Salvatore Riina e dell’ala stragista più intransigente. Una linea non coltivata, perlomeno non con nuove iniziative eclatanti, neppure da Bagarella e Brusca prima dei loro rispettivi arresti (24.06.1995 data dell’arresto di Bagarella; 21.05.1996 data dell’arresto di Brusca) verosimilmente per il mutamento delle condizioni e nell’attesa (o nella speranza) di ottenere le riforme nei termini promessi da Marcello Dell'Utri.

Un esito rispetto al quale non può ritenersi estraneo neppure un certo senso di sfiducia che aleggiava, sempre più forte, tra le fila di Cosa nostra anche per la progressiva presa d’atto che la linea di contrapposizione dura contro lo stato non aveva pagato producendo, semmai, degli effetti perfino opposti in termini di irrigidimento dell’azione repressiva ed antimafia.

Una condizione che ha finito per favorire l’ala mafiosa più moderata che tradizionalmente si rifaceva a Bernardo Provenzano. Quale possa essere stato, poi, il ruolo di Forza Italia cosi come delle altre formazioni politiche dell’epoca in questa opera che può essere letta di “normalizzazione” è compito che spetta agli analisti e non certamente a questa Corte in assenza di un’imputazione che vada oltre i confini (in verità già ampi) individuati nella sentenza di primo grado. Al riguardo va sottolineato che l’imputazione di cui al capo A) contiene una contestazione aperta in Palermo e Roma dal 1992, quasi a voler prospettare un’azione delittuosa perdurante ed appunto priva di margini temporali.

Rispetto a questa eventualità va dato atto della puntuale operazione attuata dalla Corte di Assise di Palermo che ha individuato i limiti anche temporali della condotta di reato ancorandola, come termine ultimo, ai fatti che coinvolgono il primo governo presieduto da Berlusconi e, dunque, fino al dicembre del 1994. Una ricostruzione coerente con gli elementi disponibili e neppure fatta oggetto di impugnazione da alcuno e che ha anche l’indubbio pregio di restituire concretezza ad un’accusa che, diversamente, rischierebbe di risultare imprecisa perfino con prospettive di indefinite ed impalpabili dilatazioni cronologiche.

Il Giuseppe Graviano pensiero

Tornando alla questione riferita ad un’ipotetica interlocuzione Berlusconi/Graviano con riferimento agli accordi preelettorali del 1994, è opportuno ribadire che questo capitolo probatorio, a prescindere dai suoi limitatissimi esiti, sarebbe comunque destinato a rimanere distinto dalla problematica degli sviluppi in senso ricattatorio/stragista, gli unici davvero capaci di integrare il delitto di cui all’art. 338 c.p.; un’iniziativa di minaccia, quest’ultima, che, secondo la sentenza di primo grado, non è stata neppure coltivata direttamente dal Graviano, per di più a quel punto già in stato di detenzione, ma dalla coppia Bagarella e Brusca con l’ausilio anche di Salvatore Cucuzza, secondo la veicolazione dell’intimidazione affidata a Vittorio Mangano e quindi a Dell'Utri perché la inoltrasse infine al neo Prernier Berlusconi.

Ma se le intercettazioni carcerarie che hanno interessato Giuseppe Graviano consegnano, nei termini detti, strettissimi spunti di riflessione per l’imputazione predetta (con commenti nei quali aleggiava un senso di sfiducia verso l’operato del Governo), non si può ignorare che in una di queste intercettazioni, esattamente quella del 10.04.2016, è riportato un passaggio che, per quanto dal contenuto criptico e controverso, offre conferma di una richiesta che Berlusconi avrebbe formulato a Graviano. Considerato che la questione attiene, come è noto, anche a sviluppi probatori su ipotesi delittuose diverse ed ancora aperte, sebbene in fase di indagini, in questa sede ci si limita ad un breve cenno sempre funzionale alle ricadute di stretto interesse probatorio per la fattispecie contestata al capo A).

Poiché l’argomento è stato meticolosamente trattato con la decisione di primo grado è opportuno muovere dalla motivazione ditale sentenza, nella quale è dato leggere: “Intercettazione del 10 aprile 2016 (passeggio)

E’ l‘unica intercettazione per la quale, come anticipato sopra, v‘è stato un significativo contrasto tra la trascrizione effettuata dal Perito incaricato dalla Corte, condivisa anche dal consulente nominato dal P.M, e quella, invece, effettuata dal consulente della difesa dell‘imputato Dell‘Utri. Il contrasto, in particolare, riguarda due passi un cui si fa il nome di Berlusconi (in uno in modo per lo più completo o comunque intellegibile e nell‘altro con la sola iniziale “B”). Questi i due passi trascritti dal Perito incaricato dalla Corte e condivisi dal consulente del P.M.:

1° “Berlusca... mi ha chiesto ‘sta cortesia... per questo è stata... l’urgenza di riri... comu mai chissu... p ‘a... p‘acchianari? Poi chi successi? (inc. a ore 13:02:30 Graviano sussurra all‘orecchio di Adinolfi) siccomu iddru... l‘elezioni.. Berlusca... (inc.)rnari la Sicilia... Berlu...”;

2° “.. “ma chissu chi.. chi intenzioni avi?” perchè lui non sa... uh... a difficoltà, mi voli fari parlari di tutti cosi di “b “... o voli u suli e a luna ‘mucca”?

Il consulente della difesa dell‘imputato Dell‘Utri ha, invece, così trascritto i due passi che precedono:

1° “Bravissimo... mi ha chiesto ‘sta cortesia... per questo è stata... l’urgenza di di diri comu mai e gli sviluppi.... p‘acchianari. Poi chi successi? (ore 13:02:30 abbassa il tono della voce). (inc.) a ragazza ci vinni (inc)”;

2° ‘‘.. “ma chissu chi... chi intenzioni avi? “perché lui non sa... uh... a difficoltà. Mi voli fari parlari di tutti cosi di mi (fonetico)... o voli u suli e a luna ‘mucca?”.

La Corte ha ascoltato in camera di consiglio la registrazione messa a disposizione dal Perito, la cui scarsa qualità rende effettivamente difficoltoso il riconoscimento delle parole, tanto più quando, come nel caso del secondo passo sopra riportato, la differenza riguarda una sola consonante “B” o “M” pronunziata informa puntata. Ma l’ascolto diretto (effettuato con le sole attrezzature a disposizione della Corte, costituite da un personal computer portatile, dotato di ordinaria scheda audio, ed una cuffia, certamente meno sofisticate e performanti di quelle utilizzate per le attività di perizia) sembra avallare la trascrizione del Perito tenuto conto che è stato possibile percepire con sufficiente chiarezza, per la prima parte della registrazione del primo passo, la parola “Berlusca” e per la seconda parte, invece, pur non essendo riuscita la Corte a percepire le parole “Berlusca” e “Berlu” che risultano incomprensibili, è stata percepita con suffìciente chiarezza la parola “Sicilia” che, conferma, appunto la corrispondente trascrizione del Perito e conduce a disattendere quella diversa del Consulente di parte che riporta parole (“..a ragazza ci vinni.”) che già l’ascolto effettuato come sopra indicato consente di escludere.

Anzi, v’è da dire, che le tracce più “ripulite” messe a disposizione dalla difesa dell‘imputato Dell‘Utri ed acquisite all‘udienza del 11 dicembre 2017 […] ha tolto, poi, alla Corte, più nella sua valutazione inevitabilmente soggettiva, qualsiasi dubbio sulla effettiva pronunzia della parola “Berlusca” laddove sono chiaramente percepibili le vocali “e” ed “u” invece inesistenti nella parola

“bravissimo” ([...]). […] D’altra parte, appare veramente singolare che, su oltre ventuno ore di registrazioni trascritte dal Perito incaricato dalla corte, il consulente della difesa dell‘imputato Dell'Utri non abbia concordato sulle due uniche brevi frasi nelle quali viene espressamente nominato, dal Graviano, Berlusconi in un contesto diverso dai riferimenti al suo Governo o alprocesso Dell‘Utri.

Ciò tenuto conto, peraltro, che vi sono nelle conversazioni del Graviano molti altri riferimenti riconducibili a Berlusconi ed estranei alla stia attività di Governo nei quali il nome del predetto non viene pronunziato e che, pertanto, non è stato possibile per il medesimo consulente della difesa alcuna contestazione.

Ci si intende riferire a quei passi nei quali è possibile, comunque, identificare il soggetto di cui parla Graviano in Berlusconi per l‘indicazione delle visite pubbliche fatte da quest‘ultimo sull‘Etna (notoriamente il 29 ottobre 2002) e in Bielorussia (notoriamente il 30 novembre 2009 negli stessi giorni in cui Graviano era stato chiamato a testimoniare nel processo Dell ‘Utri).

Poca chiarezza e molte ipotesi

Ciò premesso, deve, d ‘altra parte, osservarsi che ben poco è possibile trarre dalla intercettazione qui in esame, perché caratterizzata, forse ancor più di altre, da una particolare attenzione del Graviano per evitare che le eventuali intercettazioni, che egli sospettava con elevatissima probabilità esservi, potessero consentire l’ascolto da parte di terzi del suo colloquio con Adinolfi.

Se, in questo caso come negli altri, è stato possibile percepire alcuni passi ditale colloquio è, verosimilmente, soltanto perché Graviano ed Adinolfi avevano erroneamente individuato la fonte delle possibili intercettazioni in videocamere collocate ad altri fini e, comunque, diverse dalle attrezzature utilizzate, invece, per le intercettazioni e si tenevano, dunque, più a distanza dalle prime anziché dalle seconde.

[…] Nel prosieguo, quindi, Graviano, per quel che è possibile comprendere, fa riferimento all‘intendimento di Berlusconi di “scendere” in Sicilia, al fatto che in questa regione ancora dominavano i “vecchi” politici, ed alla richiesta che gli aveva fatto Berlusconi per una “bella cosa” […]. Vi sono, poi, alcuni confusi passi della conversazione nei quali Graviano sembra fare cenno da un lato alle discussioni sulla prosecuzione della strategia stragista o in alternativa della ricerca di un accordo ([...]) e, dall‘altro forse alla vicenda della richiesta di scarcerazione di alcuni detenuti tra i quali Bernardo Brusca, padre del “pentito” Giovanni ([…]). Poi, v‘è ancora un riferimento del Graviano alla citazione sua e del fratello Filippo nel processo Dell‘Utri (“[...]”) ed alle conseguenti preoccupazioni suscitate (“...t‘avissi a ricordari... picchì si preoccupava, dice “si chistu pa.. a mia ma... m‘arrestano subito!”. Umbè, ha fatto tutte cose così sottolineando, però, che egli si era avvalso della facoltà di non rispondere [...] e che il fratello Filippo, tenendo testa a coloro che lo interrogavano, aveva difeso “a spada tratta” Dell‘Utri in virtù delle pregresse frequentazioni ancorché da quest‘ultimo dimenticate [...]”).

Da tali riflessioni della Corte di Assise, da assumere con cautela per le difficoltà di comprensione delle parole di Graviano ed anche per la possibilità dello stesso di voler perfino veicolare messaggi all’esterno (nella sostanziale consapevolezza delle intercettazioni carcerarie), si ottiene comunque la conferma di un’istanza (“... mi ha chiesto ‘sta cortesia ) rievocata da Graviano e che aveva coinvolto il “Berlusca” così da lasciare adito alla possibilità di un’interlocuzione con Silvio Berlusconi per di più in riferimento alta vicenda delle elezioni politiche ([...]), sia pure in termini non perfettamente chiari ed intellegibili, perlomeno a giudizio di questa Corte ed in base ai dati disponibili in questo processo.

Orbene, pur in presenza di un inquietante scenario di tal fatta, che ben inteso ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Silvio Berlusconi per gravissime ipotesi di reato, esattamente nelle indagine sui c.d. mandanti occulti delle stragi in continente (da qui la ragione processuale che ha portato, vedi infra, a citare il predetto Berlusconi in qualità di “testimone assistito”, perché indagato in un procedimento connesso sul piano probatorio), va dato atto del fatto che neppure la sentenza di primo grado ha ritenuto che Berlusconi abbia incontrato Graviano Giuseppe, perlomeno non con ricadute che possano assumere una qualche valenza significativa per l’ipotesi di reato di cui all’art. 338, nemmeno in termini di premessa per una sorta di scelta condivisa rispetto alle iniziative assunte in seguito da Bagarella e Brusca in danno del Governo Berlusconi.

In effetti i pochi e frammentari elementi a disposizione, su un capitolo di indagine così estremamente complesso, scivoloso e multiforme, non restituiscono dei dati certi per avvalorare, neppure da questa via, l’ipotesi accusatoria riferita— è il caso di doverlo ricordare ancora una volta — non tanto alla “trattativa” o agli accordi pre elettorali ed agli altri elementi che possano essere stati di contorno all’antecedente causale, bensì alla fattispecie delittuosa di minaccia al Corpo politico dello stato nei termini e nei limiti dell’imputazione riferita in particolare al governo Berlusconi insediatosi nel maggio del 1994.

Senza dire che qualora si ritenesse confermata - per mera ipotesi - la tesi per cui Silvio Berlusconi abbia assunto un qualche ruolo come ideatore oppure sollecitatore delle stragi ed allora la situazione probatoria per il presente processo finirebbe per complicarsi ulteriormente secondo una sorta di eterogenesi dei fini per cui Berlusconi sarebbe al contempo compartecipe del progetto delle stragi ed a sua volta vittima delle stesse, perlomeno nel momento in cui ha assunto l’incarico di governo ricevendo la minaccia di ulteriori atti terroristico/mafiosi.

Causa ed effetto al pari delle complessive azioni, in virtù di questa prospettiva, sarebbero destinate a confondersi irrimediabilmente secondo una logica difficilmente decifrabile che lascia adito ad ipotesi, se non a sospetti, ma non certamente a prove nemmeno in termini di contributi significativamente rilevanti.

© Riproduzione riservata