Mentre tutti gli occhi sono puntati sull’Ucraina e si parla di embargo al petrolio e al gas russo, comincia a preoccupare anche la Libia che in questi giorni sta vivendo profonde agitazioni, al punto che sono stati bloccati alcuni giacimenti petroliferi dove opera anche l’italiana Eni. Il gas inviato all’Italia al momento non sembra risentire dell’instabilità politica, ma il nuovo round di colloqui tra le due fazioni interne alla Libia lascia la situazione nell’incertezza e soprattutto spinge all’insù i prezzi del petrolio.

Petrolio e denaro

Il primo comunicato è arrivato il 16 aprile: il campo di El Feel – detto anche Elephant – è stato sottoposto ad «arbitrari tentativi di chiusura», riporta la compagnia petrolifera nazionale di stato Noc, a causa dell’ingresso di un gruppo di individui armati che hanno impedito ai lavoratori del giacimento di continuare la produzione. Domenica 17 è stata totalmente chiusa, rendendo impossibile per la Noc attuare i propri obblighi contrattuali. Il giacimento è operato per il 30 per cento da Eni che non commenta l’accaduto, ma riferisce che non erano presenti italiani nel campo. La National Oil Corporation è stata obbligata a dichiarare uno stato di blocco per forza maggiore. Dopo è toccato al porto di Zueitina nell’est e ancora al giacimento petrolifero di Al-Sharara.

Questi episodi avvengono sullo sfondo delle tensioni crescenti tra le due fazioni interne alla Libia e riguardano da vicino la disputa per i proventi del petrolio. Dallo scorso 10 febbraio scorso nel paese ci sono due premier. In quella data Fathi Bashagha è stato votato dal parlamento di Tobruk, mentre a Tripoli ha continuato a esserci il primo ministro Abdel Hamid Dbeibah del governo di unità nazionale, che ha dichiarato di essere disposto a lasciare il potere solo dopo le elezioni già rimandate. A un anno di distanza dall’elezione di Dbeibah, in Libia avrebbe dovuto esserci la nuova tornata elettorale il 24 dicembre, così non è stato e il paese si è lacerato ancora una volta tra due governi, uno a est e l’altro a ovest. Bashagha ha chiesto alla Noc di fermare i versamenti al governo di unità nazionale di Tripoli e ha accusato su Twitter la compagnia statale di «sprecare il denaro pubblico e le risorse dello stato libico a favore di un governo illegale». Il riferimento, spiega Ansa, è al recente trasferimento di sei miliardi di dollari da parte del ministero delle Finanze del governo di Dbeibah sul conto della Banca centrale libica, per i profitti petroliferi.

La soluzione potrebbe non arrivare a breve. Dopo i recenti confronti delle due parti al Cairo, l’Onu ha riferito che i funzionari libici rivali non hanno trovato alcun accordo. La consigliera speciale delle Nazioni unite per la Libia, Stephanie Williams, ha riferito che i funzionari hanno deciso di riunirsi di nuovo il mese prossimo. I risvolti sullo scenario internazionale non mancheranno. L’Italia nel 2021 ha importato dalla Libia secondo i dati dell’Unem (Unione energie per la mobilità, ex Unione petrolifera) 9,43 milioni di tonnellate di greggio, il secondo paese per esportazioni dopo l’Azerbaigian. La situazione libica si è già fatta sentire a livello internazionale sui prezzi, che dal 18 aprile sono tornati a salire per poi scendere lievemente per il lockdown in Cina, tuttavia il barile resta sopra i cento dollari. Una questione che potrebbe rendere ancora più delicato il blocco dell’import dalla Russia su cui sta convergendo l’Ue. Stesso discorso per il gas. Nonostante i flussi di metano dalla Libia verso l’Italia non abbiano subito variazioni, la situazione resta incerta e il paese ne sta già risentendo al suo interno per la produzione di energia elettrica.

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