Non si è acquisita, d’altro canto, la prova certa che i principali protagonisti di tale operazione politica – in particolare, Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie – siano stati anche gli ispiratori del piano “politico-eversivo-criminale” che fece breccia all’interno di Cosa Nostra
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.
Ciò premesso, va osservato che anche da questa rassegna sintetica delle emergenze processuali si evidenziano i due punti “critici” della ricostruzione investigativa delle vicende oggetto del procedimento:
• la prova certa di un nesso di tipo causale fra la strategia deliberata all’interno di Cosa Nostra ed il sorgere dei movimenti politici meridionalisti;
• la prova, strettamente connessa alla prima, della costituzione di una vera e propria “associazione” finalizzata alla realizzazione di un programma eversivo secessionista mediante la commissione di atti violenti.
Invero, è sufficientemente accertato che nel 1991-1992 il vertice di Cosa Nostra, preso atto della “crisi” definitiva dei rapporti con i referenti politici tradizionali, decise di sancire definitivamente la frattura anche con la commissione di atti violenti: l’omicidio dell’onorevole Salvo Lima, nel marzo 1992, fu la prima esecuzione di tale scelta strategica definitiva.
Ed è provato che in Cosa Nostra venne presa in seria considerazione l’opzione “secessionista”, per la realizzazione della quale si realizzò un coinvolgimento delle altre “mafie nazionali” (in particolare della ‘ndrangheta).
È parimenti accertato che, prima ancora della definitiva decisione di attuare tali atti violenti finalizzati all’azzeramento dei rapporti con gli antichi referenti politici, vi fu un’azione coordinata proveniente da ambienti della massoneria deviata (già legati soprattutto alla P2 e a Licio Gelli), della destra eversiva (facente riferimento soprattutto a Stefano Delle Chiaie) e della criminalità organizzata, tendente a creare i presupposti per la nascita e l’affermazione di un nuovo soggetto politico di riferimento (la “Lega delle Leghe meridionali”), cercando di inserirsi nel fenomeno in ascesa del leghismo settentrionale in coordinamento con le componenti, di analoga natura, presenti anche in quest’ultimo.
Non si è acquisita, d’altro canto, la prova certa che i principali protagonisti di tale operazione politica – in particolare, Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie - siano stati anche gli ispiratori del piano “politico-eversivo-criminale” che fece breccia all’interno di Cosa Nostra, essendo plausibile anche la spiegazione alternativa che essi abbiano tentato di sfruttare a proprio vantaggio la situazione di “sofferenza” attraversato dai rapporti della criminalità organizzata con la politica.
Altro dato non sufficientemente chiarito è il nesso fra la strategia della tensione adottata da Cosa Nostra nel biennio ’92-’93 e il piano politico-eversivo in questione. Se, infatti, non può esservi dubbio alcuno sull’immediato legame dell’omicidio Lima e dell’omicidio di Ignazio Salvo con la irrevocabile decisione di Cosa Nostra di azzerare i rapporti con i vecchi referenti politici, l’indubbia finalità destabilizzante, perseguita con le stragi palermitane del ’92 e con gli attentati posti in essere a Roma, Firenze e Milano nel ’93, non è sufficiente a stabilire un collegamento assolutamente certo col piano eversivo elaborato fra il ’91 e il ’92.
Anzi, come si desume anche dal le sentenze finora emesse dalle Corti d’Assise di Caltanissetta e di Firenze su quei fatti stragisti, si verificarono nel corso del tempo degli ulteriori fatti, certamente imprevedibili nel 1991, che hanno verosimilmente influito in modo determinante e in corso d’opera sulle scelte strategiche dei vertici dell’organizzazione criminale.
In primo luogo, è accertato che nel 1992, nel pieno della strategia stragista, Riina ebbe vari contatti con soggetti estranei all’organizzazione mediante i quali nacque una “trattativa” dai contorni ancora non sufficientemente chiariti, all’interno della quale Cosa Nostra “offriva” l’interruzione della strategia stragista per ottenere vantaggi per l’organizzazione (in merito, ed in particolare sul c.d. “papello” di Riina, hanno reso dichiarazioni Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca).
E dalle dichiarazioni di vari collaboratori, soprattutto di Giovanni Brusca, è emerso che - paradossalmente - un motore ed un acceleratore della strategia stragista fu proprio la convinzione dei capi di Cosa Nostra (ed in particolare di Totò Riina) di poter ottenere il soddisfacimento delle richieste contenute nel c.d. “papello” recapitato agli interlocutori della “trattativa”, soltanto “alzando” il prezzo della “tregua”, innalzando il livello del lo scontro.
In questo contesto, pertanto, non può essere trascurata l’ipotesi che il fatto nuovo, costituito dal sorgere di nuovi interlocutori della “trattativa”, possa avere in dotto i capi di Cosa Nostra a vedere l’opzione secessionista non tanto come obiettivo finale da perseguire, quanto come ulteriore mezzo per la migliore conclusione della “trattativa”.
La minaccia di un’opzione così radicale poteva ben essere ritenuta un ulteriore argomento per “convincere” l’interlocutore a trattare, a stabilire un rapporto di duratura interlocuzione.
Vanno rammentate, in proposito, le dichiarazioni di Pennino, secondo il quale il riaffiorare di istanze separatiste in seno a Cosa Nostra è stato spesso ispirato dal fine di lanciare dei “segnali”: minacciare la separazione della Sicilia per ricontrattare i rapporti di forza con vecchi e nuovi referenti politici.
E’ chiaro che il pericolo per certi assetti di potere costituiti, ed interessati a “risolvere” il problema della strategia della tensione messa in atto da Cosa Nostra, si incrementava in presenza della “minaccia aggiunta” che tale strategia stragista, portata fino alle sue estreme conseguenze, avrebbe potuto condurre ad un vero e proprio golpe secessionista con conseguenze difficilmente prevedibili.
L’indagine sulla “trattativa”, che esula dal rigoroso perimetro degli accerta menti relativi alla fattispecie penali oggetto del presente procedimento, non ha peraltro consentito – fino ad oggi – di chiarirne fino in fondo i contorni e soprattutto gli effetti sugli accadimenti successivi. Ma, come si spiegherà oltre, l’approfondimento investigativo della vicenda della c.d. “trattativa” costituisce oggetto di separato procedimento penale, già stralciato dal presente fascicolo, sicché non è il caso - in questa sede - di indugiare ulteriormente sull’argomento.
E’ indubbio, ad ogni modo, che proprio l’arresto di Riina ed il conseguente cambio di guardia al vertice di Cosa Nostra ha costituito un fatto certamente di gran de rilievo che – come si dice in motivazione della sentenza della Corte d’Assise di Firenze richiamando le dichiarazioni di Giovanni Brusca – “scombussolò i programmi e rimescolò le carte sul tavolo”.
Appare plausibile che taluno degli esponenti di vertice di Cosa Nostra, in particolare Leoluca Bagarella, abbia tentato di “proseguire” in parte la strategia di Riina (è accertato che Bagarella più volte manifestò esplicitamente questa sua intenzione in riferimento alla strategia stragista) anche riproponendo la tecnica dei “due tavoli”, da una parte cercando di ripristinare canali per “trattare” una tregua e, dall’altra, coltivando prospettive secessioniste con l’esperienza di “Sicilia Libera”.
È altresì accertato che la strategia stragista improvvisamente cessò anche per scelta di Cosa Nostra e che ciò avvenne quasi contestualmente al definitivo disimpegno rispetto all’esperienza dei movimenti meridionalisti, cui seguì il massiccio investimento di uomini e risorse verso altre formazioni politiche.
Se ciò sia avvenuto anche per effetto della prosecuzione e dell’esito della “trattativa” è ipotesi logicamente plausibile, ma non sufficientemente provata e, in ogni caso, esulante dallo specifico oggetto del presente procedimento, così come ne è esulante l’incidenza che possa avervi avuto l’evoluzione dei rapporti di Cosa Nostra con altri soggetti, i quali si sono impegnati all’interno di nuove formazioni politiche dopo il tramonto della prospettiva secessionista (è il caso – ad esempio – dell’on. Marcello Dell’Utri, risultato prima in contatto con vari personaggi impegnati nel progetto meridionalista, e poi protagonista della nascita di Forza Italia).
Peraltro, è noto che non si è ancora fatta piena luce su molti dei fatti presi in considerazione, anche incidentalmente, nell’ambito del presente procedimento.
Seppure le investigazioni delle varie autorità giudiziarie competenti abbiano consentito di fare breccia su alcuni dei misteri più fitti della recente storia nazionale, aprendo importanti squarci di verità, permangono delle inquietanti zone d’ombra su talune vicende chiave di quegli anni, che hanno segnato la transizione da quella che si definisce la “Prima” alla c.d. “Seconda” Repubblica. In particolare, incompleto si è finora rivelato l’accertamento della verità su:
• l’esistenza o meno di “mandanti esterni” dei fatti omicidiari e stragisti del ’92 e del ’93;
• le varie “trattative” che Cosa Nostra intavolò anche attraverso esponenti delle istituzioni, l’esatto contenuto di tali trattative, l’esatta identità degli interlocutori delle stesse, l’esito di tali trattative;
• il livello di compenetrazione e convergenza, stabilitosi in quegli anni, fra gli interessi mafiosi e quelli di ambienti ad essi contigui, per lo più di derivazione massonica, e l’incidenza di tale “contiguità” sulle scelte strategiche della criminalità organizzata;
• l’eventuale interferenza fra accadimenti apparentemente lontani fra loro: la strategia destabilizzante posta in essere dalla criminalità organizzata ed altre vicende con effetti obiettivamente destabilizzanti (dai tentativi di strumentalizzare la vicenda giudiziaria dei c.d. “fondi neri del Sisde” alla storia del c.d. “dossier Achille” e delle altre forme di dossieraggio nei confronti della magistratura inquirente, specialmente milanese).
E non ci si può esimere dall’evidenziare che il permanere di tali zone d’ombra si è in parte determinato anche per effetto dell’arrestarsi di un processo di progressivo disvelamento della verità, all’interno del quale un contributo importante è stato certamente fornito dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia.
Sicché, al compiuto accertamento della verità su tali fatti ha nuociuto non poco la battuta d’arresto determinatasi negli ultimi anni nel fenomeno della collaborazione con la giustizia (anche per effetto di certe polemiche spesso strumentali contro i collaboranti).
In particolare, su certi “vuoti di conoscenza” in ordine a rilevanti aspetti dei fatti oggetto del presente procedimento non poco ha inciso la riluttanza ad affrontare tali tematiche da parte di capi mafia di sicuro spessore, che hanno intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia, come Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca.
Peraltro, va segnalato che su alcuni di tali fatti non pienamente chiariti questo Ufficio ha tuttora in corso indagini preliminari nell’ambito di separati procedimenti penali: in particolare, sull’omicidio dell’on. Salvo Lima, al fine di verificare eventuali ulteriori responsabilità di soggetti “esterni” a Cosa Nostra, e sulla vicenda del c.d. “papello” di Totò Riina, entrambi già stralciati dal presente procedimento.
Ciò nonostante, sulla base di tutte le superiori considerazioni, il pubblico ministero ritiene di poter pervenire ad una valutazione conclusiva del materiale probatorio acquisito, propedeutica all’assunzione delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale.
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