Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del resoconto dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta della X Legislatura che per prima provò a ricostruire l’operazione Gladio. Nelle conclusioni della Commissione resta una frase che pesa più delle altre: «Persistono elementi di ambiguità e reticenza nel rapporto tra struttura e istituzioni democratiche». È il linguaggio della politica per dire che qualcuno mentì


Il ritrovamento del Nasco di Aurisina e le vicende che ad esso fecero seguito indussero il Capo del Sid a ordinare il recupero dei 139 Nasco. Ciò avvenne nel mese di aprile del 1972. Sull’andamento dei recuperi lo stesso Capo del Servizio venne informato con un appunto del maggio seguente. Sino a quel momento, erano stati recuperati sette Nasco, mentre altri sei avrebbero dovuto esserlo entro il 15 giugno successivo.

I materiali recuperati erano stati trasportati al Cag, « in attesa di definire ove dovranno essere sistemati »; una volta conclusasi questa prima fase, sarebbero rimasti «126 Nasco, di cui 102 nel Friuli-Venezia Giulia (zona di competenza del Centro con sede a Udine) e 24 nel resto del territorio nazionale (competenza del Centro con sede a Roma)». Si prevedeva di recuperare prioritariamente i Nascondigli della zona del Carso, dove la particolare natura del terreno aveva a suo tempo ostacolato il collocamento in profondità dei contenitori, riducendo quindi le garanzie di sicurezza nei confronti di ritrovamenti fortuiti.

Le operazioni sarebbero poi proseguite nelle zone « di più difficile controllo, data la lontananza del Centro responsabile dislocato a Roma (Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, ecc.) fino a quelle più agevolmente ispezionabili in loco (Friuli-Venezia Giulia).

Le operazioni di recupero e trasporto avvenivano durante le ore notturne: si prevedeva l’impiego di personale della Sad appartenente all’Arma dei carabinieri, in cui comandi territoriali sarebbero stati attivati al fine della predisposizione di uno « schermo » di sicurezza sia durante l’operazione vera e propria di dissotterramento, sia durante il trasporto dei materiali in luoghi sicuri.

A questo proposito, nell’appunto si ipotizzava, con riferimento al materiale dei 72 Nasco [in quel momento vi era un orientamento, poi rientrato, di non recuperare 30 dei 102 Nasco del Friuli-Venezia Giulia, giudicati assolutamente sicuri per condizioni di interramento e mimetizzazione] del Friuli-Venezia Giulia, l’utilizzazione di 48 caserme della Legione carabinieri di Udine, tutte dislocate nelle vicinanze dei luoghi ove erano posti i Nasco di « prima schiera ». [L’elenco completo delle caserme citate è allegato ad un appunto per il Capo del Servizio, datato 24 maggio 1972, concernente i contatti con l’Arma in relazione al recupero dei Nasco].

Quelle caserme, assieme ad altre quattordici appartenenti ad enti o reparti dell’Esercito, venivano utilizzate dal 1957 per la custodia «in consegna fiduciaria» di materiale di equipaggia mento, armi automatiche italiane e relative munizioni, appartenenti al Servizio. Tali accantonamenti venivano indicati con la denominazione «Ufficio Monografie del V C.M.T. — Scorta Speciale di Copertura».

Tale denominazione avrebbe dovuto essere usata anche per il materiale ex-Nasco [Le «Scorte Speciali di copertura » sono oggetto di due dettagliate cronologie rinvenute negli archivi della «Gladio». I documenti, redatti su carta non intestata, sono datati, rispettivamente, 5 e 17 dicembre 1990.

Dalla loro lettura si apprende quanto segue: a seguito dello scioglimento dell’organizzazione «O», circa la quale si è già riferito, lo Stato maggiore della difesa dispose che i materiali dell’organizzazione, già «in carico» all’VIII Reggimento Alpini sotto la denominazione convenzionale di «Scorte Speciali di copertura», fossero utilizzati per la costituzione di «Battaglioni di Sicurezza destinati, per emergenza, al Comando del V Corpo d’Armata».

Nel 1957 il Sifar chiese che il materiale rimanesse accantonato dov’era ed è probabile – «ma non esiste documentazione in atti» — che la Upi «Stella Alpina», appena costituita, abbia ereditato parte del materiale della «O», che rimase nei magazzini dell’Esercito.

Risulta comunque che 2.000 serie di vestiario e di equipaggiamento vennero accantonate in «magazzini avanzati», corrispondenti, per la maggior parte, a Stazioni dei Carabinieri; 1.000 serie considerate di riserva, vennero sistemate nei magazzini di Forte Procolo, in Verona. Le eccedenze vennero ritirate dai competenti organi dello SME. Il 18 maggio del 1967 il Comandante della Brigata Carabinieri di Padova, generale Palomba, convocò il responsabile di area del Servizio Informazioni per chiedere chiarimenti circa i «materiali di armamento e vestiario dislocati presso varie Stazioni Carabinieri del Friuli-Venezia Giulia».

Il responsabile del Centro Ariete informò il Servizio dell’esito del colloquio (è in atti un appunto dell’Ufficio «R» per il Capo del SID datato 20 maggio 1967, dal quale risulta che « detto Capo centro ha dichiarato, in tale colloquio, di non conoscere l’impiego cui detti materiali sono destinati, essendo soltanto consegnatario di essi per conto del Sid»). Nell’appunto viene altresì chiarito che i materiali « appartengono alla organizzazione “Gladio” e costituiscono dotazione di primo impiego per le formazioni della UPI “Stella Alpina”».

Il generale Palomba, insoddisfatto dell’esito del colloquio, promosse ulteriori contatti e chiarimenti, a seguito dei quali il Servizio chiese formalmente, con lettera al Comandante Generale dell’Arma, che venisse continuata la custodia dei materiali presso le Caserme. Venne così regolarizzata la situazione già esistente. Nell’anno successivo, il Capo del Servizio accolse una proposta dell’Ufficio «R» (formulata con appunto del 12 gennaio 1968, acquisito agli atti del Comitato) intesa a trasferire al CAG di Alghero le 1.000 serie di vestiario e di equipaggiamento custodite a Forte Procolo; il trasferimento avvenne nel corso dello stesso anno.

Infine, nel 1976 «a seguito di una diversa pianificazione operativa, tutti i materiali delle Scorte Speciali di Copertura vennero ritirati dalle Stazioni Carabinieri e Caserme dell’Esercito e, ad iniziare dallo stesso anno, in parte trasferiti e posti in carico al Centro Addestramento Guastatori di Alghero ed in parte restituiti alle competenti Direzioni militari». Come si vedrà più avanti, questa operazione riguardò anche il materiale proveniente dai Nasco, che era stato accantonato sotto la stessa denominazione e con le stesse modalità delle «Scorte Speciali di copertura»].

Quanto ai Nasco di seconda schiera (Padova, Brescia e Bolzano), si ipotizzava una sistemazione presso sette caserme locali dei Carabinieri; per il materiale dei Nascondigli di terza schiera (Milano, Torino, Genova, Napoli, Bari e Bologna), si riteneva di non dover ricorrere al sistema capillare imperniato sulle caserme a livello di stazione dei Carabinieri, adottato per gli altri, e di poter invece utilizzare una caserma dei Carabinieri per ciascuna delle predette città.

Un successivo appunto per il Capo del Servizio rappresentava, al 30 novembre 1972, la seguente situazione:

Nasco di 1a schiera: recuperati 36 su 102,

Nasco di 2a schiera: recuperati 11 su 13,

Nasco di 3a schiera: recuperati 16 su 24.

L’apporto dell’Arma dei carabinieri al recupero dei Nasco e l’utilizzo delle caserme della stessa risultavano svolgersi secondo le previsioni formulate nell’appunto precedente. « L’operazione di recupero totale dei Nasco, disposta dalla Signoria Vostra, è stata portata a termine.

Dei 139 Nasco iniziali ne sono stati recuperati n. 127.

Non è stato possibile recuperare i rimanenti 12 Nasco per i motivi che verranno di seguito esposti».

Con queste affermazioni si apre un appunto per il Capo del Sid, datato 18 giugno 1973, nel quale si specifica poi che ad alcuni ufficiali dei Carabinieri, appartenenti ai Comandi nella cui giurisdizione si trovavano i Nascondigli, erano state impartite «istruzioni circa il comportamento da tenere in caso di ritrova mento fortuito»: gli ufficiali avrebbero dovuto rivolgersi alle sedi periferiche del Servizio. Nel complesso, vennero recuperati 155 pacchi di esplosivi su 158, come si apprende da un appunto sui Nasco non intestato e senza data, acquisito agli atti del Comitato.

L’appunto del 18 giugno 1973 reca poi un elenco dettagliato dei Nasco non rinvenuti, indicando la localizzazione, la data di posa, il contenuto e i motivi del mancato recupero [l’elenco è riprodotto, pressoché integralmente, nella «Relazione sulla vicenda Gladio », presentata dal Presidente del Consiglio ai due rami del Parlamento il 26 febbraio 1991].

Questi ultimi possono così essere sintetizzati: otto Nasco, contenenti armi leggere e materiale vario, si trovavano certamente nelle giaciture originarie, tutte interessate da successivi interventi edilizi (ampliamenti o rifacimenti delle varie costruzioni che occultavano i Nascondigli). Ciò faceva sì che i Nasco stessi risultassero, allo stesso tempo, « non rinvenibili fortuitamente» e «raggiungibili solo con demolizioni che non si ritengono opportune date le difficoltà di riattamento ». Altri due Nascondigli (quello collocato nel cimitero di Brusuglio – Milano – e quello interrato a Crescentino – Vercelli) si riteneva che fossero «probabilmente interrati » ma non rinvenibili; contenevano: uno armi leggere, l’altro armi leggere ed esplosivi.

La situazione di questi dieci Nasco non recuperati era ritenuta «sufficientemente sicura». Gli ultimi due, infine, risultavano «certamente asportati da ignoti, probabilmente all’epoca delle operazioni di posa (31 ottobre 1964)». Entrambi erano stati posati presso la chiesetta della Madonna del Sasso, nel comune di Villa Santina (Udine) e contenevano armi leggere, delle quali l’appunto specifica che «non hanno numero di matricola e pertanto non è possibile risalire alle origini».

L’affermazione appare tuttavia gratuita, in quanto, essendo le armi giunte in Italia già chiuse in confezioni per la lunga conservazione, nessuno poteva essere sicuro di un simile dettaglio.

La relazione al Capo del Servizio sulla conclusione del recupero dei Nasco si chiude con la seguente considerazione: «È estremamente opportuno che non venga fatto alcun cenno all’operazione presso il Servizio Collegato RIC che, interessato all’accantonamento dei nostri materiali con il sistema “Nasco”, studiato e fatto applicare dal RIC stesso all’epoca in cui erano validi gli accordi bilaterali “Gladio”, potrebbe dare luogo a rimostranze trattandosi di materiale da esso fornito e di modifica all’organizzazione apportata da noi unilateralmente ed a sua insaputa».

Le località di posa dei Nasco non recuperati sono state «periodicamente ispezionate» da personale del Servizio [così si legge nell’appunto (datato 5 maggio 1990) che introduce la documentazione sulla « operazione Gladio » trasmessa al Comitato dal Presidente del Consiglio dei ministri in data 15 novembre 1990.

Da un documento, non intestato e senza data, rinvenuto nell’archivio di «Gladio», risulta che «da ricognizioni di controllo effettuate e terminate nel novembre 1988 la situazione dei 12 magazzini non è cambiata, tranne che per il n. 502 (VC) in cui è stato reperito il “pacco pugnali”». Il documento precisa che «è stato disposto che i controlli vengono effettuati con cadenza annuale e seguiti da relazioni». Un’ulteriore ispezione risulta, infine, essere stata effettuata nel maggio 1990 (altro appunto senza data, non intestato)].

Al recupero dei Nascondigli in questione si è, infine, proceduto da parte dei Comandi dei carabinieri competenti per territorio, a seguito di ordinanze adottate – tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1990 – dal giudice istruttore di Venezia, nell’ambito dell’inchiesta penale sulla caduta dell’aereo «Argo 16».

Le operazioni di recupero hanno consentito di riportare alla luce tutti i materiali occultati nei dieci Nasco ritenuti sufficientemente sicuri nella relazione del 1973 prima citata. Non sono invece stati recuperati i due Nasco di Villa Santina che, come si è prima visto, già risultavano scomparsi, e quello interrato nel cimitero di Brusuglio. Un recupero parziale si è invece avuto per il Nasco di Crescentino.

Avendo il magistrato veneziano chiesto di acquisire i numeri di matricola delle armi leggere occultate in Villa Santina, il Governo ha interpellato il Servizio Informazioni americano, che ha risposto di non possedere, nei propri archivi, alcuna documentazione relativa alla matricola delle armi fornite a suo tempo al Servizio italiano.

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