Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


La legge 25 gennaio 1982, n.17, recante “Norme di attuazione dell’art.18 Costituzionale e scioglimento dell’associazione denominata Loggia P2” (cd. legge Spadolini) rappresenta la prima riprova, seppur involontaria, del fatto che il necessario dibattito giuridico e politico sulle associazioni segrete è stato da sempre eluso.

Infatti, soltanto a distanza di ben quasi quarant’anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, e soltanto in seguito al grave scandalo dovuto alla scoperta della Loggia Propaganda 2, si trovò l’occasione per iniziare a pensare all’attuazione dell’art. 18, comma 2, Cost. Inoltre, la normativa, rivolta a colpire, in quel particolare momento storico, i fenomeni di deviazione, ha finito, in realtà, per non disciplinare le associazioni segrete.

Va in primo luogo sottolineato che la legge è rimasta sostanzialmente disapplicata, essendosi risolta, di fatto, in una legge ad societatem condannata all’ineffettività sia per il principio dell’irretroattività (non potendo estrinsecarsi sulla vicende della loggia P2 per le quali era stata emanata); sia perché, comunque, non è stata in grado di rispecchiare le dinamiche associative che si sviluppano occultamente in ambito socio-politico tant’è che le relative indagini, negli anni, non hanno di solito prodotto alcun esito o, più spesso, si sono avvalse del diverso strumento dell’art. 416- bis del c.p.; sia perché l’irrisoria pena edittale prevista dall’art. 2 della legge per il delitto di partecipazione ad associazioni segrete incide, comunque, sulla concreta perseguibilità delle stesse.

L’inoperatività della suddetta legge si evidenzia anche con riferimento al suo art. 4 che, anche per la macchinosità di alcune previsioni, ha fatto da sponda ad una volontà generalizzata di disapplicazione. Così, la commissione competente a giudicare i rilievi disciplinari per i dipendenti iscritti ad associazioni segrete, dopo essere stata nominata per un primo triennio, non è stata più costituita. Allo stesso modo, le Regioni chiamate ad emanare per i dipendenti regionali, secondo lo stesso art. 4, «leggi nell'osservanza dei principi dell'ordinamento espressi nel presente articolo», nella gran parte dei casi non hanno dato attuazione all'obbligo legislativo.

Di converso, la legge 17/1982, rivelatasi improduttiva degli effetti che si proponeva, ne ha determinati altri.

Innanzitutto, ha dato luogo ad una nozione di società segreta, diversa da quella concepita in sede costituzionale, che ha consentito finora l’attività di compagini sociali che andavano diversamente regolate.

In particolare, l’art. 1, definendo le associazioni segrete, le qualifica in quelle che, sebbene operanti all’interno di associazioni palesi, presentino talune caratteristiche (analiticamente indicate e alternative tra loro) consistenti: nell’occultamento dell’esistenza dell’associazione, ovvero nel tenere segrete congiuntamente le finalità e le attività sociali, ovvero ancora nel rendere sconosciuta, in tutto o in parte, all’esterno o all’interno del sodalizio, l’identità degli associati.

Tuttavia, accanto a tale condivisibile nozione sostanziale di segretezza, conforme alla volontà dei Costituenti, il medesimo art. 1 ha inteso subordinare la rilevanza giuridica dell’associazione segreta, così come definita, all’integrazione di un ulteriore requisito: deve cioè svolgere attività diretta a interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche. In sostanza, mentre l’art. 18 Cost. proibisce, nel secondo comma, le associazioni segrete in quanto tali, al contrario la legge 17/1982 somma tale requisito a quello stabilito, in maniera del tutto indipendente, nel primo comma del medesimo art.18 (che vieta le associazioni che perseguano fini vietati ai singoli dalla legge penale).

Inoltre, il previsto legame tra la segretezza sostanziale e l’interferenza sull’esercizio delle funzioni pubbliche, oltre ad essere affetto da evidenti profili di incostituzionalità, rende comunque privo di significato il divieto di segretezza.

Infatti, se, da un lato, la suddetta interferenza spesso può tradursi nella programmazione di reati contro l'organizzazione dei pubblici poteri, sicché già tali condotte trovano sanzione penale indipendentemente dalla segretezza delle associazioni da cui provengano, di converso, tutte le associazioni per delinquere, sono segrete, con la conseguenza che il divieto di segretezza sancito in via autonoma dall'ultimo comma dell'art. 18 Cost. si rileverebbe superfluo.

Vi è altresì da osservare che, anzi, la legge 17 del 1982, accorpando i due diversi elementi, cioè il modo di essere dell’associazione e suo il fine illecito, ha di fatto aumentato il coefficiente di segretezza delle logge ufficiali che, proprio perché perseguono finalità lecite e, dunque, esulano dal divieto legislativo, hanno potuto mantenere, in concreto, le barriere invalicabili alla conoscenza esterna ed interna.

Probabilmente la formulazione dell’art. 1 della legge Spadolini risente sia dell’esigenza di determinatezza e di selettività ai fini della costruzione della fattispecie penale di cui all’art. 2 della medesima legge sia di quella, cogente, di rispondere all’emergenza costituita dalla scoperta della Loggia P2 e sulla quale le norme si sono dovute permeare.

Secondo tale impostazione, è quindi il programma di influenza, ulteriore rispetto alla segretezza ed in grado di esprimere un maggiore disvalore, che può legittimare il ricorso alla sanzione penale.

Come correttamente osservato, però, «il divieto di segretezza costituzionalmente rilevante non implica, in linea generale, la necessità che l’ordinamento debba reagire comunque, con una risposta di carattere penale. Il fatto che il programma dell’associazione sia intrinsecamente lecito, non può considerarsi irrilevante allorquando si tratti di individuare le conseguenze sanzionatorie, applicabili in caso d’inosservanza del limite di cui all’art.18/2 Cost. L’interesse alla base del divieto costituzionale potrebbe, infatti, risultare adeguatamente soddisfatto anche attraverso il mero scioglimento dell’associazione, sufficiente in quanto tale ad eliminare il disvalore insito nell’esercizio in forma occulta della libertà associativa. (..) (Mentre) la giustificazione della previsione di sanzioni penali presuppone l’incidenza su interessi ulteriori e meritevoli di più intensa proiezione rispetto a quello del metodo democratico della trasparenza che, come si è visto, deve ritenersi sotteso al divieto costituzionale».

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