Da una parte c’è la politica, dove si scontrano le opinioni diverse e alla fine chi è più convincente prevale; dall’altra c’è la scienza, dove contano solo i fatti verificati dagli esperimenti. Invece, in molti casi con il Covid la politica si è mescolata alla scienza, e le opinioni si sono confuse con i fatti.

Da mesi è in corso una guerra in cui politica, scienza e cronaca giudiziaria si intrecciano: a combatterla, da una parte ci sono il governatore della regione Veneto Luca Zaia e i suoi alleati, e dall’altra Andrea Crisanti, ex professore di microbiologia dell’Università di Padova e attuale senatore Pd. Capire chi ha ragione, almeno dal punto di vista della scienza, è facile: è quello che ha i fatti dalla sua.

Eccoli, i fatti. Il 14 maggio del 2021, il governatore Luca Zaia parla al telefono con Roberto Toniolo, direttore di Azienda Zero, la centrale pubblica di acquisti del Veneto. «Cioè, è un anno che prendiamo la mira a questo (Crisanti, ndr) … e andate a togliergli le castagne dal fuoco... complimenti!»

 Toniolo cerca di calmarlo, ma Zaia riprende: «Sono qua a rompermi i coglioni da sedici mesi, stiamo per portarlo allo schianto e voi andate a concordare la lettera per togliere le castagne dal fuoco al Senato accademico, per sistemare Crisanti e tutto… bravi!» Una cosa è chiara: a Zaia non sta simpatico Crisanti. Ma perché? Bisogna fare un passo indietro.

L’inizio dello scontro

LaPresse Filippo Ciappi

Agosto 2020. Dopo un periodo di calma durata tutta l’estate, i casi di Covid in Italia cominciano a salire di nuovo, e molti hanno paura che stia per arrivare una nuova ondata epidemica - la seconda dopo quella di inizio pandemia, che s’era verificata tra gennaio e maggio del 2020.

La Regione Veneto teme che occorrerà controllare migliaia di persone al giorno, e per farlo decide di comprare non i tamponi molecolari, che sono lenti, disponibili in quantità limitata e costosi, ma i test antigenici rapidi, che sono più facilmente disponibili, rapidi e economici.

 Così, l’Azienda Zero, allora diretta da Patrizia Simionato, a fine agosto approva l’acquisto diretto di 200mila tamponi rapidi di tipo Panbio prodotti dalla casa farmaceutica Abbott, per un costo di 900mila euro; e il 14 settembre ne ordina altri 280mila, per 1,26 milioni di euro. La cosa non va troppo a genio a Crisanti, che allora era a capo del Coordinamento delle Microbiologie del Veneto, nominato da Zaia.

A quell’epoca, Crisanti era un fedele alleato di Zaia. A inizio pandemia, il 20 febbraio 2020, a Codogno, in provincia di Lodi, era stato scoperto il primo caso italiano di Covid, Mattia Maestri, e subito quella cittadina era stata dichiarata zona rossa.

Il giorno dopo, il 21 febbraio 2020, a Vo’ Euganeo, piccolo paese in provincia di Padova, erano stati segnalati altri due infetti e c’era stata la prima vittima del Covid d’Italia, Adriano Trevisan, 78 anni. A questo punto le versioni divergono.

A sentire Zaia, fu lui ad avere l’idea di istituire una “zona rossa” anche a Vò Euganeo e di sottoporre a tampone tutti gli abitanti del piccolo comune. «Io quella sera, sulla base di quel paziente, poi diventato il primo morto in Italia», dice Zaia «ho deciso, in totale autonomia e contro le linee guida dell’Oms che prevedevano il tampone solo per i sintomatici, di fare il tampone a tutti e 3500 abitanti di Vò e di chiudere il comune con la zona rossa».

A sentire Crisanti, fu lui a presentarsi da Zaia e a proporgli di sottoporre a tampone molecolare tutti i residenti di Vò Euganeo. Fatto sta che Crisanti e i suoi colleghi portarono a termine quel lavoro, che poi, il 23 giugno 2022, è stato pubblicata su Nature, la più prestigiosa rivista scientifica del pianeta, col titolo “Soppressione di un focolaio di SARS-CoV-2 nel comune italiano di Vò”.

Quello studio ha fatto scuola, e gli scienziati del mondo l’hanno preso a modello su come spegnere un focolaio di Covid.

Crisanti e i suoi colleghi hanno sottoposto a tampone molecolare – il cosiddetto test PCR –  quasi tutti i 3.000 abitanti di Vò per due 2 volte, a distanza di 15 giorni, e hanno scoperto 73 positivi, di cui 29 asintomatici, nel primo caso, e 29, di cui 13 positivi, nel secondo.

Così, hanno dimostrato che il 40 per cento dei portatori di Covid sono asintomatici – una scoperta fondamentale – e che se si vuole contenere l’epidemia di Covid bisogna sopprimerla sul nascere limitando i casi al minimo, testando la popolazione con i tamponi molecolari, tracciando i contatti, isolando i positivi e adottando rigidi lockdown.

I dubbi sui tamponi

LaPresse

Crisanti e i suoi colleghi debellano l’epidemia di Vò, e Zaia comincia a fidarsi di lui. Però qualche mese dopo Crisanti si mette in testa di testare i tamponi antigenici della regione Veneto perché sospettava che fossero molto meno sensibili dei molecolari: si rischiavano molti falsi negativi, cioè di mandare liberamente in giro persone negative al virus ma contagiose, che potevano diffondere l’epidemia.

Un pericolo gravissimo, perché a quell’epoca non c’erano ancora vaccini disponibili e chi si ammalava rischiava seriamente di morire. Così, Crisanti ordina ai suoi collaboratori di eseguire uno studio sull’affidabilità dei test rapidi Abbott. Cosa che a Zaia non piace.

I ricercatori agli ordini di Crisanti, collaborando con il reparto malattie infettive e il pronto soccorso dell’ospedale di Padova, raccolgono i campioni di 1441 pazienti coi sintomi del Covid, ed eseguono su ognuno di loro sia il test molecolare sia il test antigenico rapido, per paragonarne la sensibilità. I risultati sono preoccupanti: al tampone rapido sfuggono 18 infetti su 61, rilevati invece dal tampone molecolare. Quindi, Crisanti e il suo gruppo deducono che con il test rapido 3 positivi su 10 possono risultare negativi, e dunque il test di Abbott ha «una sensibilità di circa il 70 per cento, inferiore a quella dichiarata» dall’azienda americana: 3 falsi negativi su 10 che andranno in giro ad infettare altri.

Il 21 ottobre 2020 Crisanti presenta alla Regione Veneto i risultati del suo studio, in cui sostiene che bisogna utilizzare solo tamponi molecolari per tracciare gli infetti e decretare zone rosse là dove sorgono contagi, ma nessuno gli dà ascolto. Anzi, parte la contraerea.

Proprio quel giorno, Giorgio Palù, professore emerito di Microbiolgia e Virologia dell’Università di Padova e attuale direttore dell’Aifa, considerato molto vicino a Zaia, in un’intervista critica duramente Crisanti. «Non è un virologo. Non ha mai pubblicato un lavoro di virologia. Si tratta di un esperto di zanzare, un zanzarologo», dice sprezzante. «Fa anche lui il suo decreto sancendo un lockdown? Un secondo lockdown questo paese non può permetterselo».

Vero, Crisanti è un esperto di malaria, malattia trasmessa dalle zanzare, ma le leggi che regolano le epidemie di malaria sono identiche a quelle della pandemia da Covid, ed è stato pure un professore di microbiologia dell’Imperial College di Londra, una delle università più prestigiose al mondo.

L’epsosto di Crisanti

A inizio novembre 2020, quando ormai la seconda ondata epidemica sta esplodendo e i casi si contano a migliaia, Crisanti decide di presentare un esposto alla procura di Padova: due pagine e diversi allegati in cui sostiene che i test rapidi della Abbott da lui analizzati non sono sicuri, come dichiara la stessa casa produttrice che ne sconsiglia l’uso per screening di massa.

La procura di Padova avvia in silenzio un’indagine a carico del direttore generale di Azienda Zero Patrizia Simionato e del microbiologo Roberto Rigoli, che nel frattempo Zaia ha messo a capo delle Microbiologie del Veneto al posto di Crisanti. Il pm Benedetto Roberti li accuserà poi di falso ideologico e del reato di turbata libertà di scelta del contraente: avrebbero pilotato l’acquisto delle due grosse partite di tamponi da parte della pubblica amministrazione.

Su Rigoli, che si difende dicendo che il test «ci beccava otto volte su dieci, che è molto meglio di zero su zero», pende anche l’accusa di depistaggio, perché sostiene di avere testato l’efficacia dei tamponi, cosa che non risulta vera.

L’11 maggio 2021, Azienda Zero minaccia di querelare per diffamazione Crisanti a causa delle sue critiche sui tamponi rapidi, ma il Senato accademico dell'Università di Padova presenta una mozione «per la difesa della libertà e dell'indipendenza della ricerca» a sostegno del suo professore.

Il professor Stefano Merigliano, che all'epoca è presidente della Scuola di Medicina, cerca una mediazione per evitare che esploda il conflitto tra l'Università e la Regione. Vuole avere garanzie che Azienda Zero non abbia presentato alcuna denuncia contro Crisanti «perché sennò anche la gente si rende conto che sta per far scatenare una guerra contro il nulla».

Toniolo, direttore di Azienda Zero succeduto alla Simionato, concorda e dice che «non ne vale la pena», e fa pervenire una lettera in cui afferma che non c’è nessuna querela.

La furia di Zaia

Quando Zaia lo scopre si infuria e chiama Toniolo, e così arriviamo alla telefonata del 14 maggio 2021: «Sono sedici mesi che prendiamo le misure a questo... abbiamo materiale e tutto… e noialtri facciamo una lettera così. Cioè questo qua fa il salvatore della Patria ... tra un po’ ci diamo un bacio in bocca e vedrai che lui adesso farà un’intervista dicendo “no, ma vogliamoci bene”. E io faccio la parte del mona cattivo».

Zaia è convinto di avere «il materiale», per stroncare la carriera di Crisanti. «Ho in mano una relazione autorevolissima», dice Zaia, che è firmata da Massimo Clementi, professore emerito di Virologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Nella quale Clementi, che è un buon amico di Palù, sostiene che «lo studio di Crisanti è imbarazzante».

Sarà stato imbarazzante, ma lo studio di Crisanti e dei suoi colleghi il 15 settembre 2022 viene pubblicato su Nature Communications, una prestigiosa rivista scientifica che fa parte del gruppo Nature. Si intitola: “Impatto del fallimento di un test antigenico e delle strategie di monitoraggio sulla trasmissione delle varianti del Sars-CoV-2”.

Scrivono gli autori: «Noi dimostriamo che l’uso di un test antigenico su larga scala nella regione italiana del Veneto ha favorito la diffusione non rilevata di una variante capace di sfuggire al test antigenico maggiore rispetto al resto dell’Italia».

In pratica, Crisanti i suoi colleghi hanno scoperto che in quel periodo in Italia e soprattutto nel Veneto si stava diffondendo una variante del coronavirus che possedeva una mutazione a livello della sua proteina N che la rendeva capace di sfuggire ai test antigenici rapidi, ma non a quelli molecolari.

Inutili morti

L’articolo era corredato anche da un ampio studio matematico condotto da Ilaria Dorigatti dell’Imperial College di Londra in base al quale si dimostrava che l’uso indiscriminato di test antigenici da parte della regione Veneto poteva aver favorito un maggior numero di infezioni. E quindi anche di morti, come sosteneva Crisanti in una precedente versione del lavoro, pubblicata come preprint su MedRxiv il 26 marzo 2021: «Durante la progressiva e massiccia introduzione dei test antigenici a partire da ottobre 2020, il Veneto ha subito uno dei più alti tassi di infezione giornaliera con oltre 7.000 decessi nel periodo da ottobre 2020 a febbraio 2021, un terzo dei quali tra gli anziani ospitati in case di cura».
Difatti, durante la seconda ondata dell’epidemia da Covid, dal 1 settembre 2020 al 15 gennaio 2021, la Regione Veneto è stata prima tra le regioni italiane per indice di mortalità, con 117 vittime ogni 100mila abitanti.

Solo la Valle d’Aosta ha fatto peggio, con 196 vittime ogni 100mila abitanti, ma su una popolazione nettamente inferiore. Seguono, ben distanziate, le altre regioni del nord, cioè Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, tutte con meno di 100 decessi per 100mila abitanti.

Invece, durante la prima ondata della pandemia, da gennaio a giugno 2020, la Regione Veneto era tra quelle che aveva avuto meno vittime. Forse proprio perché aveva adottato la strategia di contenimento del virus, a base di test molecolari e lockdown, messa a punto dal professor Crisanti a Vò Euganeo.

Dopo, cosa era cambiato? Perché bisognava portare allo schianto Crisanti? Forse la politica non voleva più “chiudere tutto”, come sosteneva Crisanti, perché non si poteva uccidere l’economia? Eppure le chiusure mirate, lo dice la scienza, hanno evitato molte morti.

O forse c’entra qualcosa il fatto che Crisanti è uno dei consulenti incaricato dalla procura di Bergamo nell'inchiesta per epidemia colposa sulla mancata zona rossa nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro?

Se poi vogliamo parlare di fatti, il professor Giorgio Palú e il professor Massimo Clementi, assieme ad altri otto prestigiosi virologi amanti delle “aperture”- tra cui Alberto Zangrilli, Matteo Bassetti ed altri- a giugno 2020 hanno scritto una lettera aperta in cui affermavano: «L’emergenza è finita. Il SARS-CoV-2 ha una carica virale più debole e dunque è meno contagioso».

Il professor Crisanti e molti altri sostenevano l’esatto opposto. Da quel giorno in Italia ci sono stati altri 100.000 morti per Covid. Allora: chi sbagliava? Cosa ci dicono i fatti?

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