Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.


Il presente procedimento trae origine dalla complessa e approfondita attività investigativa svolta in questi anni su Cosa Nostra da questo Ufficio in stretto coordinamento e collegamento con le investigazioni delle Procure Distrettuali Antimafia di Caltanissetta e Firenze sulla “strategia della tensione” sviluppatasi in Sicilia ed in Italia fra il 1992 ed il 1993.

Ed infatti in quel biennio, mentre era in corso una delicata fase di transizione politico-istituzionale dalla prima alla seconda Repubblica, l’Italia veniva scossa da una serrata sequenza di c.d. “omicidi eccellenti”, di stragi, di attentati e di altri inquietanti eventi, che sembrava rievocare lo stesso clima dello stragismo terroristico degli anni settanta.

Questa l’escalation degli eventi criminosi di quegli anni:

• Il 12 marzo 1992, alla vigilia delle elezioni politiche, viene assassinato a Palermo l’onorevole Salvo Lima, eurodeputato democristiano e capo della corrente andreottiana in Sicilia.

• Il 23 maggio a Palermo viene portata ad esecuzione la strage di Capaci nella quale perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.

• Il 19 luglio viene eseguita la strage di via D’Amelio nella quale vengono uccisi il Procuratore Aggiunto presso la Procura di Palermo, Paolo Borsellino, e gli agenti della sua scorta.

• Il 17 settembre viene assassinato da un commando di killer Ignazio Salvo, tradizionale interfaccia di Cosa Nostra con il mondo della politica, in particolare con l’on. Salvo Lima, già ucciso sei prima.

• Il 14 maggio 1993 si apre una nuova stagione di attentati. A Roma, in via Fauro, ai Parioli, esplode un’autobomba destinata a colpire il conduttore televisivo Maurizio Costanzo.

• Il 27 dello stesso mese, a Firenze, un furgoncino imbottito di esplosivo salta in aria in via dei Georgofili: cinque morti, 29 feriti e danni alla celebre Galleria degli Uffizi.

• A due mesi esatti di distanza, a Milano, un’altra autobomba, in via Palestro, miete cinque vittime e pochi minuti dopo, in una giornata di fuoco, a mezzanotte, altre due autobombe esplodono a Roma, in Piazza San Giovanni in Laterano, sede del Vicariato cattolico, e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro: dieci feriti.

Per avere un quadro globale della gravità della situazione che si era venuta a determinare per l’ordine pubblico e democratico, occorre prendere in considerazione anche alcuni eventi criminosi - dei quali si è avuta cognizione solo successivamente in esito alle indagini - che erano stati progettati e che poi non furono portati ad esecuzione solo per fortuite circostanze o per fatti sopravvenuti:

• Nel settembre 1992, dopo la strage di via D’Amelio, Cosa Nostra aveva progettato di uccidere il magistrato Piero Grasso, già giudice a latere della Corte d’assise che emise la sentenza di condanna di primo grado del maxiprocesso.

• Nel medesimo periodo, Cosa Nostra aveva deciso di uccidere anche Claudio Martelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia, così come altri uomini politici (fra cui l’on. Calogero Mannino, l’on. Carlo Vizzini, l’on. Claudio Fava) e funzionari di polizia (fra i quali il dr. Arnaldo La Barbera e il dr. Calogero Germanà, il quale soltanto grazie alla sua pronta reazione sfuggì all’agguato mafioso effettivamente tesogli il 14 settembre 1992 a Mazara del Vallo).

• Al culmine della strategia stragista del ’93, intorno al mese di settembre, e quindi in epoca immediatamente successiva agli altri attentati posti in essere nel continente (Roma, Firenze e Milano), era stata organizzata una strage di proporzioni immani facendo saltare in aria alcuni pullman dei carabinieri in servizio a Roma allo stadio Olimpico in una delle tante domeniche “calcistiche” particolarmente affollate, attentato fallito soltanto per un guasto tecnico al telecomando che avrebbe dovuto innescare l’ordigno.

Tutto ciò avveniva mentre, per effetto di eventi macropolitici di carattere internazionale (crollo del muro di Berlino e fine del c.d. bipolarismo internazionale) e di altri fattori, quali le numerose inchieste concernenti la c.d. “tangentopoli”, il quadro politico preesistente si dissolveva e si veniva a creare un vuoto di potere che segnava la transizione verso un nuovo, allora difficilmente prevedibile, assetto generale.

È in questo contesto che il presente procedimento penale veniva aperto sulla base di una informativa della D.I.A del 4 marzo 1994 concernente “un’ipotesi investigativa in ordine ad una connessione tra le stragi mafiose di Capaci e via d'Amelio, con gli attentati di Firenze, Roma e Milano per la realizzazione di un unico disegno criminoso che ha visto interagire la criminalità organizzata di tipo mafioso, in particolare ‘cosa nostra’ siciliana, con altri gruppi criminali in corso di identificazione”, che venne poi seguita poi da altre informative di approfondimento.

In quella prima informativa veniva formulata la seguente inedita ipotesi investigativa che qui si riassume in estrema sintesi:

• La responsabilità delle stragi del 1992 e del 1993 andava attribuita a Cosa Nostra.

• L'organizzazione siciliana, in base alle risultanze di numerose indagini, andava ormai considerata l'asse portante di un autentico "sistema criminale" in cui venivano a convergere le altre più pericolose consorterie di stampo mafioso e non. Si ipotizzava, cioè, che numerose organizzazioni criminali di diversa origine, legate reciprocamente a causa della sempre più frequente comunanza di interessi, si fossero raccolte - sul piano tattico - in una sorta di "sistema criminale" in grado di agire in tutte le direzioni e all'interno di tutti gli ambienti, che poteva anche essersi espresso sul piano strategico.

• La “tempistica” degli attentati, il tipo e la localizzazione degli obiettivi aveva rafforzato negli investigatori la convinzione che il nuovo indirizzo stragistico perseguisse in realtà obiettivi che andavano al di là degli interessi esclusivi di Cosa Nostra o, per lo meno, tendesse al conseguimento di obiettivi comuni o convergenti con altri gruppi criminali di diversa estrazione legati alla mafia.

Si osservava, insomma, che la “atipicità” degli attentati (soprattutto quelli del ’93) rispetto a quelli tradizionali di Cosa Nostra, specialmente sotto taluni aspetti, primo fra tutti la scelta degli obiettivi, potesse risultare funzionale non solo alle finalità "terroristiche" della mafia, ma anche agli scopi di entità criminali diverse, che avessero operato in sintonia con quest'ultima nel perseguimento di obiettivi comuni o convergenti, gruppi criminali in grado di elaborare i sofisticati progetti necessari al conseguimento di finalità di più ampia portata.

• La storia criminale di alcuni mafiosi coinvolti nelle stragi confermavano la plausibilità di questa ipotesi investigativa. Per esemplificare, si segnalava che Rampulla Pietro, esponente della famiglia catanese Santapaola, l'artificiere della strage di Capaci, aveva fatto parte di Ordine Nuovo ed era risultato essere stato in contatto con l'ordinovista Cattafi Rosario, indagato dall'A.G. di Messina per traffico internazionale di armi e tratto in arresto per i suoi legami con Cosa Nostra nell'ambito dell’indagine della DDA di Firenze sull'autoparco milanese Salesi.

• Si evidenziava, inoltre, la concomitanza di un singolare fermento politico manifestato negli ultimi tempi da Licio Gelli - in costante contatto con elementi di raccordo tra imprenditoria commerciale e cosche mafiose riconducibili a Cosa Nostra - e da noti esponenti della destra eversiva (in particolare Stefano Delle Chiaie), attorno a progetti di tipo leghista, specie nell'Italia centro meridionale: progetti che sembravano “poter coniugare perfettamente le molteplici aspirazioni provenienti da quel composito mondo nel quale gruppi criminali con finalità politico-eversive si affiancano a lobbies affaristiche e mafiose”. E si passavano in rassegna le risultanze processuali, emerse in passato, circa la presenza di Licio Gelli accanto a forze eversive di estrema destra e, contemporaneamente, a gruppi di matrice mafiosa.

• Si concludeva rassegnando alle Procure competenti il quadro globale delle risultanze convergenti verso tale ipotesi ricostruttiva del contesto in cui poteva essere maturata la strategia stragista

Sulla base di questa ipotesi investigativa, fondata su precise e concrete risultanze, mentre le Procure distrettuali antimafia di Caltanissetta e Firenze (e, per un certo periodo, anche quelle di Roma e Milano) svolgevano le indagini di rispettiva competenza nei confronti degli eventuali “ispiratori esterni” a Cosa Nostra della strategia stragista, questo Ufficio, valutata la rilevanza di dette condotte anche ai fini della configurabilità di ulteriori reati di partecipazione ad associazione mafiosa, apriva un nuovo procedimento penale nei confronti di ignoti per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. recante il numero 5664/93 Reg. N.R.I. Stante la molteplicità degli eventi criminosi rientranti nella competenza dei vari Uffici interessati ed il possibile, conseguente, intersecarsi delle indagini, la Procura Nazionale Antimafia assumeva il compito di assicurare il coordinamento delle indagini, che si concretava, oltre che nel costante scambio di atti e di informazioni, anche nel comune conferimento di deleghe di indagini alle Forze di Polizia e in numerose riunioni finalizzate a ricostruire via via il quadro globale di riferimento, nei quali i singoli fatti criminosi di rispettiva competenza potevano iscriversi.

Alla luce degli ulteriori elementi acquisiti nel corso delle investigazioni svolte, l’Ufficio, in data 11 maggio 1996, procedeva ad iscrivere il procedimento - sempre nei confronti di ignoti - anche per il reato di cui all’art.270 bis c.p. aggravato ex art. 7 D.L.152/91, e in data 13 maggio 1998, sulla base anche delle obiettive risultanze contenute nell’imponente informativa D.I.A. n.3815/98 del 31/1/1998 (di cui si dirà oltre), si procedeva all’iscrizione degli odierni indagati, taluni per concorso esterno in associazione mafiosa e tutti anche per l’ipotesi di reato di cui all’art.270 bis c.p., sicché il procedimento prendeva l’odierno numero 2566/98 R.G.N.R.

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