Il primo giorno della fase finale degli Stati Generali proietta i Cinque stelle verso una fase nuova: gestione collegiale del vertice scelto dai militanti, poi un “primus inter pares” che è l’equivalente del vecchio capo politico ma non può avere incarichi di governo. Non ci sarà mai più una situazione come quella sperimentata tra 2018 e inizio 2020, con Luigi Di Maio alla guida del Movimento e anche nelle posizioni più alte dell’esecutivo (prima vicepremier e ministro dello Sviluppo, poi degli Esteri). Il limite al doppio mandato resta, ma con mille flessibilità: c’è il mandato zero, chi ha fatto un giro negli enti locali può farne due in parlamento, e – novità – viceversa: in nome del principio di “valorizzare le competenze”, finita l’esperienza parlamentare, deputati e senatori possono portare quanto hanno appreso a comuni (e regioni?), magari come sindaci. E poi c’è Davide Casaleggio, fatto fuori o quasi: la piattaforma Rousseau continuerà a essere usata per le iniziative di “democrazia diretta”, cioè per coinvolgere gli iscritti, ma sarà soltanto uno dei tanti servizi digitali sui quali si articolerà il Movimento che in questi giorni sta usando soprattutto le videochat di Zoom senza particolari nostalgie per la Casaleggio Associati. Anche i soldi dei parlamentari andranno altrove, non più soltanto all’associazione Rousseau, cioè a Casaleggio, ma confluiranno verso le nuove iniziative del Movimento, a livello locale. Sono questi i primi risultati di un processo lungo, anche farraginoso, che in queste settimane ha coinvolto migliaia di militanti ed eletti, nel tentativo di portare i Cinque stelle fuori dalla crisi di senso e di leadership che attraversano almeno dalla fine del governo Conte I.

La comunità

«Il nostro primo intento era fare in modo che ciascuno di noi, membri di questa comunità, potesse essere parte attiva di questo processo». Così scriveva venerdì sul Blog delle Stelle Vito Crimi, capo politico reggente del Movimento 5 stelle, che a febbraio ha preso il posto di Luigi Di Maio per guidare la transizione. La cosa strana di questi Stati Generali è che a decidere il futuro del Movimento sono figure di second’ordine, spesso consiglieri comunali e regionali o facilitatori (il ruolo interno di coordinamento che il Movimento ha creato insieme al Team del futuro), in molti casi sconosciuti, mentre i volti noti con incarichi di peso non sono stati particolarmente coinvolti.

I big

I lavori della fase finale sono iniziati ieri con i confronti tra i 305 attivisti e portavoce selezionati per discutere della linea del Movimento che si sono raccolti attorno a tavoli tematici.

Il momento conclusivo invece sarà quello più politico di oggi pomeriggio: dalle 15.30 in poi interverranno i trenta selezionati dal voto degli iscritti sulla piattaforma Rousseau. Era possibile indicare tre profili da far esprimere sul palco nazionale tra oltre mille candidati: come era prevedibile, hanno fatto il pieno di voti quasi tutti i big e i volti più noti. Oltre ai discorsi più istituzionali del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e al capo politico, Vito Crimi, interverranno anche Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Roberto Fico.

Al loro fianco anche esponenti di governo, come la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e il viceministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni, ma anche altri pezzi grossi come Paola Taverna, gli ex ministri del Conte I Danilo Toninelli, Giulia Grillo ed Elisabetta Trenta. Hanno preferito non partecipare alle votazioni Stefano Patuanelli, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, che però aprirà i lavori. Non interverrà Davide Casaleggio, che pure era stato invitato: ha scelto di rifiutare perché, ha scritto ieri sulla sua pagina Facebook, «è già tutto deciso». Gli Stati generali dovrebbero anche risolvere il problema del rapporto, sempre più conflittuale negli ultimi mesi, tra la piattaforma Rousseau e il Movimento. A fare proposte vicine alla sensibilità di Casaleggio in ogni caso penseranno l’”alleato” Alessandro Di Battista e Antonella Laricchia, sconfitta alle ultime elezioni pugliesi e vicina a Dibba.

E gli altri?

A fianco del suo beniamino e di Laricchia cercherà di ritagliarsi uno spazio anche Matteo Brambilla, candidato sconfitto alle comunali di Napoli del 2016 che però sulla sua pagina Facebook mantiene ancora questa qualifica. Ingegnere, nato e cresciuto Monza, si è trasferito a Napoli al seguito della moglie era diventato candidato del Movimento vincendo le Comunarie contro due concorrenti: con il 48 per cento delle preferenze, pari a 276 voti, arrivò a sfidare Luigi De Magistris. Il bottino fu decisamente magro, con un quarto posto raggiunto con il 9,6 per cento dei voti e poco meno di 39mila preferenze. Valeria Valente del Pd, che non è nemmeno arrivata al ballottaggio, ne aveva prese il doppio.

Milita in Campania anche Alessandro Caramiello, nel novero dei trenta superdelegati, e fa il consigliere comunale a Portici, dove è anche a capo del gruppo che rappresenta il Movimento in consiglio, formato da due persone. A luglio scorso è intervenuto insieme al collega a un evento intitolato “Storie guerriere”, organizzato dalle due facilitatrici della regione Campania, Alessandra Petrosino e Annalucia Grimaldi, in cui i due vengono definiti «eroi» per il loro impegno in tempo di pandemia: dal Blog delle stelle si apprende che sono stati gli animatori di un’iniziativa dalla titolazione situazionista: «Resta a casa, ti regaliamo un libro ma se proprio devi uscire per un comprovato motivo porta con te una mascherina».

A parlare sarà anche Crescenzo Muto. Non è ben chiaro a che titolo intervenga (e quanti voti abbia preso) perché milita come consigliere d’opposizione nel Comune di Liveri, 1.500 persone, sempre in Campania, un ruolo che però ha conquistato facendosi eleggere nel 2014 con una lista civica. Non si sa se ricopra ancora quel ruolo, considerato che alle elezioni del 2019 era in corsa una sola lista (non quella di Muto), ma così riporta il sito del comune.

È consigliere comunale anche Roberto Ferrara, che ha raccolto ad Alghero 3.300 preferenze per il Movimento, arrivando a capeggiare anche lui un gruppo composto da due consiglieri, sé stesso e il collega Graziano Porcu.

Scorrendo l’elenco colpisce nome di Paolo Bernini: l’ex deputato della scorsa legislatura aveva guadagnato la notorietà con le sue opinioni sulla sorveglianza («Negli Usa hanno già cominciato a impiantare i chip dentro alle persone», spiegava a Giovanni Floris negli studi di Ballarò). Bernini aveva anche sollevato dubbi a proposito della morte di Osama Bin Laden e ipotizzato che negli attacchi al giornale francese Charlie Hebdo del 2015 fossero coinvolti gli Stati Uniti. Resta agli atti anche una sua gestione tutt’altro che limpida dell’allontanamento del suo collaboratore, Lorenzo Andraghetti, licenziato senza causa, che però non ricevette le somme dovute visto che il conto dell’allora parlamentare era sempre in rosso (mentre le restituzioni obbligate dal Movimento continuavano, anche se da un conto diverso).

Dopo la fine della legislatura non è chiaro che fine abbia fatto: la cifra del suo impegno politico è ora l’animalismo. La sua foto profilo Facebook lo ritrae in compagnia di una maialina vietnamita e tutti i post recenti riguardano i diritti degli animali.

Interverranno poi Alessandra Gianotti, facilitatrice della Lombardia, ed Elena Mazzoni, con lo stesso ruolo nell’Emilia-Romagna, non proprio tra i volti più noti del Movimento. A rappresentare invece Roma e il Lazio sarà Paolo Ferrara, consigliere capitolino da poco delegato alla polizia locale dalla sindaca Virginia Raggi. Sul suo sito, le sezioni intitolate «cosa ho fatto» e «cosa farò» sono vuote, ma c’è il riferimento al suo profilo TikTok, dove lo si vede sfrecciare su monopattini e skate.

«I capi non perderanno occasione di mostrare come far intervenire attivisti e consiglieri meno in vista li differenzi da un partito tradizionale», spiega un deputato dei Cinque stelle. Resta il dubbio della rappresentatività: «Chi sono queste persone? Con quanti voti sono stati scelti per intervenire? Non lo so neanche io che sono nel Movimento», aggiunge. Ed è vero: non è noto il numero di voti espressi, né quanti ne abbia raccolti ciascun oratore.

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