Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana.


Si evidenziavano così recenti episodi di infiltrazione mafiosa nella massoneria e si attualizzavano gravi fatti similari del passato, lasciando supporre sia l’esistenza e la reiterazione nel tempo di infiltrazioni da parte di cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria, sia che, parallelamente alla metamorfosi delle mafie, sempre meno violente e più collusive, la composizione degli interessi illeciti potesse avvenire, talvolta, proprio tramite logge massoniche a cui aderiscono, tra l’altro, esponenti della classe dirigente e dell’imprenditoria del Paese.

La Commissione, pertanto, nell’adempimento dei propri doveri previsti dall’art. 82 della Costituzione e dall’art. 1 della legge istitutiva del 19 giugno 2013, n. 87, avviava un’inchiesta sulla mafia e sui suoi rapporti con la massoneria, finalizzata, soprattutto, ad “accertare la congruità della normativa vigente” al fine di formulare “ le proposte di carattere normativo e amministrativo ritenute opportune per rendere più coordinata e incisiva l'iniziativa dello Stato” (...).

Si procedeva, quindi, allo svolgimento di una serie di attività conoscitive,8 tra le quali assumevano rilievo centrale le audizioni dei gran maestri di quattro obbedienze individuate a campione, tra cui il suddetto GOI, trattandosi di una delle associazioni numericamente più rilevanti e poiché, del resto, era stato proprio il suo gran maestro a chiedere spontaneamente di essere sentito per offrire il suo contributo agli accertamenti della Commissione.

L’accennato esito della prima audizione di Stefano Bisi, però, imponeva, dal punto di vista del metodo, di procedere all’ascolto dei gran maestri nella forma della testimonianza sulla base delle prerogative riconosciute dall’art. 4 della legge istitutiva n. 87 del 19 luglio 2013 [...], così parificando l’audizione a testimonianza all’esame testimoniale reso innanzi al giudice (e non già alle sommarie informazioni rese in fase di indagine al pubblico ministero, sanzionate, per i casi di falsità o reticenza, dalla diversa fattispecie di reato di cui all’art. 371-bis c.p.).

La Commissione procede infatti non solo attraverso le forme parlamentari, libere, ma anche quelle giudiziarie. Queste sono modellate anzitutto su quelle della magistratura giudicante, attraverso le disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale a cui fa rinvio la legge istitutiva, che fa costantemente riferimento ai poteri e alle attività processuali che dinanzi al giudice si svolgono.

Inoltre, la Commissione procede alle indagini anche con i poteri propri della magistratura requirente, attraverso i mezzi di prova e i mezzi di ricerca della prova disciplinati dal codice di procedura penale, in ossequio a quanto previsto dall’articolo 82 della Costituzione.

Nel merito, l’esame era diretto ad acquisire elementi conoscitivi sul comportamento e sulle prassi delle obbedienze al fine di verificare se, ad una parte significativa della massoneria ufficiale o considerata “regolare” risultasse, più da vicino, l’eventuale interesse della mafia nei suoi confronti, e, in caso positivo, quali fossero i rimedi da loro adottati e quelli adottabili in sede legislativa e, comunque, quale fosse il suo eventuale vulnus strutturale che potesse consentire o facilitare l’infiltrazione mafiosa.

Al pari di quanto accaduto con la prima audizione di Bisi, ciò che emergeva da tali audizioni, era, in sostanza e con varie sfumature, una posizione negazionista delle obbedienze nei confronti del fenomeno a cui veniva, al contrario, opposta l’esistenza di regole e prassi massoniche tali da sventare ogni pericolo.

Si ricavava anche, come si dirà meglio, l’unanime rifiuto, più o meno netto, ma sempre apparso pretestuoso, di consegnare alla Commissione gli elenchi degli iscritti alle rispettive obbedienze, invocando, a sostegno della propria posizione, le più disparate ragioni e, comunque, da parte di tutti, la legge sulla privacy che, a loro dire, li avrebbe obbligati a mantenere riservati i nominativi degli accoliti, pena la violazione di norme dello Stato.

Tuttavia, per la proficua prosecuzione dell’inchiesta parlamentare, la Commissione riteneva indispensabile acquisire quegli elenchi per procedere all’analisi sia circa l’incidenza tra gli iscritti di soggetti con precedenti penali per il delitto di cui all’art. 416-bis del c.p. o per i delitti aggravati dall’art. 7 del decreto-legge n. 152 del 1991; sia circa la particolare ricorrenza di determinate categorie professionali tra gli iscritti che potesse rivelarsi sintomatica di strumentalizzazioni mafiose; sia, di conseguenza, con riguardo all’adeguatezza della legislazione vigente ad evitare la creazione di zone grigie, facilitate dalla riservatezza e dai vincoli di obbedienza che caratterizzano

talune associazioni massoniche, in cui sia agevole la penetrazione delle mafie e, soprattutto, l’interferenza di queste ultime, attraverso i fratelli, nello svolgimento di pubbliche funzioni o nel controllo delle attività economiche.

Pertanto, oltre alle sollecitazioni di consegna rivolte in forma collaborativa ai quattro gran maestri nel corso delle rispettive audizioni, rivelatesi ben presto vane, si procedeva anche a reiterare la richiesta per iscritto attraverso formali missive, fermo restando che la Commissione aveva già deliberato di assoggettare i documenti richiesti al regime di segretezza che ne avrebbe impedito la divulgazione, [...].

L’ennesimo rifiuto opposto con motivazioni manifestamente infondate - rapportato, peraltro, a quelle audizioni insoddisfacenti e ad una serie di altri elementi di allarme desunte da indagini penali in corso e dalle altre audizioni nel frattempo svolte (comprese quelle di ex appartenenti a logge massoniche, i quali avevano assolutamente segnalato la situazione di pericolo) – costituiva motivo ulteriore che, ancor di più, faceva ritenere necessaria l'acquisizione di quegli elenchi, tanto più alla luce del tempo trascorso.

La Commissione parlamentare antimafia, dunque, in data 1° marzo 2017 deliberava, all’unanimità, di acquisire gli atti di interesse presso le sedi centrali delle quattro obbedienze, attraverso gli strumenti della perquisizione e del sequestro disciplinati dagli articoli 247 e seguenti del codice di procedura penale.

Sebbene non mancassero spunti per svolgere l'inchiesta sulle infiltrazioni delle mafie nella massonerie in tutte le regioni italiane, in quanto le articolazioni delle mafie su tutto il territorio nazionale sono ben evidenti, la Commissione riteneva opportuno circoscrivere l’ambito immediato di azione, almeno prioritariamente, agli elenchi degli iscritti a logge della Sicilia e della Calabria.

Ciò in ragione di un interesse ancor più concreto e attuale, trattandosi di regioni ad alta densità mafiosa, teatro delle indagini penali in corso svolte dalle Procure di Palermo, di Trapani e di Reggio Calabria, e in cui si registrava un elevato numero di appartenenti alla massoneria, a partire dall’anno 1990 (periodo questo in cui erano iniziate le più pregnanti segnalazioni, anche da parte di taluni massoni, circa infiltrazioni mafiose nella massoneria) fino ad oggi, nonché, essendo emerso l’abbattimento di logge calabresi e siciliane, talvolta, anche “per possibile inquinamento malavitoso”, alla documentazione relativa alle articolazioni territoriali calabresi e siciliane che erano state oggetto di decreti massonici di scioglimento.

Le perquisizioni venivano eseguite nella medesima data del 1° marzo 2017 e consentivano di ottenere un cospicuo materiale documentale e informatico, di cui si tratterà più avanti, che, insieme al già importante compendio probatorio, permetteva, pur in assenza della collaborazione dei gran maestri, di osservare dall’interno dei sistemi massonici taluni meccanismi di facilitazione dell’ingresso delle mafie.

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