L’editoriale del direttore Stefano Feltri di domenica, affronta con onestà intellettuale il nodo dell’accesso al Mes sanitario. A differenza di quasi tutti i suoi colleghi, rileva che la disputa non è sul terreno giuridico, finanziario, di finanza pubblica, ma è storico-politica.

Nel merito, anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri riconosce che non esistono ragioni per ricorrere al prestito ad hoc del Mes. Primo, perché sin dall’inizio della pandemia, il ministro della Salute Roberto Speranza ha ottenuto per il Servizio Sanitario Nazionale tutti i finanziamenti richiesti (da ultimo, con il Disegno di Legge di Bilancio appena approvato in Consiglio di Ministri, altri 4 miliardi per il 2021): le file per i tamponi e i numeri delle terapie intensive non derivano da scarsi stanziamenti nei mesi scorsi, ma dai tempi di programmazione e realizzazione di strutture e servizi.

Secondo, perché maggiori risorse sono comunque disponibili, anche senza ricorrere al Mes sanitario: nel Conto di Tesoreria del Mef giacciono decine di miliardi non spesi. Inoltre, ci sono ancora 6 miliardi a disposizione delle Regioni per ristrutturare e ammodernare sul versante edilizio e tecnologico il patrimonio sanitario pubblico e per potenziare le Rsa. Terzo, perché possiamo collocare i Btp a tassi negativi.

Infine, perché è vero che il Mes sanitario non ha condizionalità all’accesso e gode, in quanto credito privilegiato, di tassi di interessi inferiori ai Btp di medesima durata, ma è altrettanto vero che, a statuto e regolamenti Ue vigenti, le condizionalità sono previste dopo l'accesso, in conseguenza di una valutazione di solvibilità del debitore: un “cliente” zavorrato da un debito pubblico al 160 per cento del Pil, è oggettivamente a rischio di un programma di aggiustamento macroeconomico e strutturale.

E’ evidente che, in tale contesto, sarebbe autolesionistico ricorrere al Mes sanitario. Non a caso, nessuno degli Stati che, seppur minori di noi, avrebbe risparmi di spesa per interessi intende ricorrervi, mentre con noi in 16 ricorrono al Sure, il fondo per il sostegno ai redditi, al quale si accede dopo aver versato ingenti somme a garanzia (per noi oltre un miliardo).

Lasciamo stare i posizionamenti degli amministratori locali e dei dirigenti del Pd, strumentali a consolidare i rapporti di forza interni. Lasciamo stare anche il ricorrente tentativo di Italia Viva, Forza Italia e dei giornali mainstream di utilizzare il Mes sanitario per ridefinire la maggioranza e liberarsi del presidente del Consiglio Conte. Andiamo al punto politico vero, ma coperto: la ragione per ricorrere al Mes sanitario è la necessità del “vincolo esterno”.

L’interpretazione passiva del vincolo esterno è la rotta scelta dalla fine degli anni Settanta dalle nostre classi dirigenti, incluse dopo il fatidico ‘89 anche quelle derivate dal Pci: per assicurare democrazia liberale, primato assoluto del mercato, sudditanza del lavoro e governi affidabili e minimamente efficienti all’Italia, è imprescindibile la disciplina imposta dall’Unione europea. Il più illustre ed esplicito interprete di tale visione è stato Guido Carli, negoziatore e firmatario del Trattato di Maastricht.

Nelle sue memorie (Cinquant’anni di vita italiana), Carli scrive: “La nostra scelta del ‘vincolo esterno’ nasce sul ceppo di un pessimismo basato sulla convinzione che gli istinti animali della società italiana, lasciati al loro naturale sviluppo, avrebbero portato altrove questo Paese”. Tradotto per l’oggi: con una classe dirigente inadeguata, in particolare gli improvvisati ministri e parlamentari dei Cinque stelle, meglio legarsi ancor di più le mani con gli obblighi conseguenti al Mes sanitario.

Quindi, tramite il Pd, per ansia di legittimazione sempre tentato da europeismo subalterno, imponiamolo al Cinque stelle, così da normalizzarlo o farlo implodere. Oltre alla congiuntura politica, inchiavardiamo anche la prospettiva, a rischio Salvini-Meloni.

È una lettura che non condivido, nonostante la consapevolezza delle nostre specificità. Anche perché, come spiegava Carli, il vincolo esterno dell’Ue non è neutro: è un meccanismo di svalutazione economica e di indebolimento sociale del lavoro e di contenimento della domanda interna, a favore del profitto e delle imprese esportatrici. Ma è la lettura dominante. È più serio e più utile giocare a carte scoperte.

Stefano Fassina, deputato di Sinistra italiana


Onorevole Fassina,

lei aggira il punto cruciale del mio editoriale. Io partivo da un dato di fatto: dopo otto mesi di pandemia abbiamo ancora gli stessi problemi e per tutta l’estate ci siamo cullati nell’illusione di un ritorno alla normalità che non c’è stato. Chiedere il Mes quando è stata attivata la linea precauzionale, a maggio, avrebbe costretto il governo a fare piani dettagliati che non ha fatto: gli investimenti sulla sanità sono inseriti nel grande calderone di quelli da finanziare con il piano Next generation Eu e saranno pronti, se tutto va bene, in primavera inoltrata. In questo caso – e lo dico con il facile senno del poi ma in questo confortato dalla realtà – sarebbe stato meglio avere un vincolo esterno che ci costringesse a fare in fretta, visto che siamo arrivati alla seconda ondata del virus poco preparati.

Ha ragione che sul conto di tesoreria ci sono parecchi miliardi, addirittura 20 a quanto mi risulta: molte misure anti-crisi non hanno avuto il “tiraggio” previsto, le hanno cioè richieste meno persone o aziende del previsto. Forse perché la situazione è migliore di quanto si temeva, forse perché i requisiti di accesso sono troppo stringenti o burocratici. Ma il Mes sanitario serve, appunto, per finanziare spese in sanità. Non per affrontare crisi di liquidità dovute a improvvise perdite di fiducia dei mercati che rendono difficile accedere al credito (per quello c’è il Mes normale, con tutte le sue condizioni stringenti). Se il problema fosse che la Repubblica italiana è a corto di liquidità, avremmo ben altri dibattiti. Per fortuna non è così, ma il Mes è uno tra i tanti strumenti disponibili: ieri il Mes ha collocato titoli con scadenza 2024 con un tasso di interesse negativo dello 0,58 per cento, quindi quasi un punto percentuale sotto i Btp decennali (e comunque più economici di quelli triennali, arrivati per la prima volta a -0.24 per cento). Se accedessimo alla linea del Mes, risparmieremmo fino a 350 milioni all’anno in dieci anni. Cifra comunque significativa. Non solo: il vincolo a usare quelle somme per investimenti sanitari in un orizzonte temporale ristretto, due anni, farebbe risultare il nostro debito più sostenibile già da subito, perché i mercati sconterebbero l’effetto positivo sul Pil di quella spesa in un orizzonte predefinito. Cosa che non succede con i normali aumenti del debito, che sono non vincolati, visto che un’emissione di titoli finanzia tipi diversi di spesa, sia quella che sostiene la crescita sia quella che alimenta sprechi e rendite.

Va riconosciuto però che una decisione da parte del governo di accedere al Mes ora potrebbe creare fibrillazioni nella maggioranza, vista la contrarietà del Movimento Cinque stelle, e l’instabilità potrebbe far salire il costo del debito rendendo l’operazione meno conveniente. I Cinque stelle, come Fassina, motivano però il loro scetticismo su una base assai più ideologica di quella che attribuiscono ai sostenitori del Mes. L’idea, esplicitata anche da Fassina, è che qualcuno potrebbe aver interesse, a un certo punto, a dire: “L’Italia non è sostenibile, il suo debito è eccessivo e quindi dobbiamo imporle una austerità terribile”. Ora, come ovvio un semplice annuncio di questo genere da chi avrebbe il potere di imporre le eventuali condizionalità (la Germania, i vertici del Mes, la Commissione Ue) genererebbe la crisi di sfiducia sul mercato che renderebbe il timore realtà: sarebbe cioè la richiesta stessa di condizionalità a impedire all’Italia di trovare finanziamenti sul mercato, costringendola così a chiedere di nuovo aiuto al Mes in cambio di ulteriori liquidità vincolate a condizioni severe. Chi avrebbe interesse a farlo e perché? E quali sarebbero i benefici? I teorici del grande complotto anti-italiano non lo spiegano mai.

Questa minaccia, in ogni caso, è implicita in ogni richiesta di finanziamento europeo, anche quelli del piano Next Generation Eu e Sure, i fondi per gli ammortizzatori sociali. Se qualcuno abbastanza ascoltato dai mercati chiedesse di bloccare il sostegno all’Italia perché spendiamo male i fondi e alimentiamo sprechi, la crisi di fiducia sarebbe analoga.

Credo che molti italiani, nel pieno della pandemia, non facciano tutti i calcoli tattici cui allude Fassina, non si chiedono se il Mes farebbe esplodere i Cinque stelle o andare Salvini al governo. Si chiedono soprattutto se è stato fatto tutto il possibile per metterli al riparo dal virus. La risposta sembra chiaramente no. Se il vincolo esterno del Mes ci avesse costretto a passare l’estate a discutere di ospedali e terapie intensive, invece che di banchi con le rotelle, forse oggi saremmo tutti un po’ più sicuri. 

Stefano Feltri, direttore Domani

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