Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del libro “Io, sbirro a Palermo” di Maurizio Ortolan pubblicato per Melampo nel 2018 con la prefazione di Alessandra Dino e sarà ristampato per la Zolfo Editore alla fine di gennaio 2023.


Un altro episodio che manca, sempre nei verbali, ma per altri motivi, è quello del furto del quadro della Natività del Caravaggio, commesso nel 1969 da un giovanissimo Mannoia, a Palermo, nell’oratorio di San Lorenzo. Il quadro doveva essere rivenduto a un collezionista, forse svizzero, ma dopo essere stato tolto dalla cornice era stato malamente arrotolato e caricato su un camion, e al momento di presentarlo all’acquirente ampie porzioni della pittura si erano irrimediabilmente staccate.

Il collezionista – raccontò Mannoia – non si dava pace e aveva iniziato a piangere e a inveire contro gli sciagurati ladri, tanto che qualcuno degli uomini d’onore presenti era intenzionato a strangolarlo seduta stante. Quel che restava del quadro era stato portato sul fiume Oreto e bruciato.

All’inizio di ogni interrogatorio Falcone stilava una specie di programma degli argomenti che intendeva affrontare, ma naturalmente durante i racconti le digressioni erano frequenti; Falcone, allora, prendeva nota del fatto nuovo che era emerso, ed esaurito il tema principale lo metteva in coda, per riprenderlo a fine verbale, anche solo come accenno, o dopo qualche giorno.

Nel caso specifico del quadro, disse che sarebbe tornato con il collega, il pubblico ministero che aveva in carico il fascicolo del fatto, per un interrogatorio che doveva essere dedicato a quel solo episodio, ma ciò non accadde, ed io non so perché, ma so che diversi anni dopo, quando in occasione di un altro interrogatorio Mannoia, tornato in Italia, raccontò nuovamente di quel fatto, ci fu qualcuno che gli contestò di non averne parlato prima, vista l’importanza. Ma lui ne aveva parlato, eccome! E poiché Falcone ormai era morto, un carabiniere venne a interrogare me, unico testimone diretto del suo primo racconto di quell’episodio.

Le indagini

I Carabinieri hanno un reparto specializzato nella tutela dei beni culturali, e molti di loro, e non solo loro, sono tuttora convinti che Mannoia sia in errore e abbia fatto riferimento, invece, a un altro quadro simile, rubato sempre a Palermo in quegli anni, ma anche l’ultima volta che l’ho incontrato, quando gli ho riferito delle perplessità che ripetutamente riemergono e vengono riportate dai giornali, lui mi ha ribadito, con assoluta certezza, che si trattava proprio della Natività del Caravaggio e che “se qualcuno non ci credeva, se lo poteva continuare a cercare”.

Anche qualche altra cosa non è presente nei verbali, qualcosa volutamente omessa, omessa nel senso di “messa da parte” da Falcone. Recentemente, negli uffici che furono di Falcone, a Palazzo di Giustizia di Palermo, nel riordinare vecchie carte Giovanni Paparcuri ha ritrovato un biglietto manoscritto da Falcone, nel quale c’è anche il nome di Berlusconi.

Durante gli interrogatori ogni tanto il racconto di un fatto ne evocava un altro, a volte analogo, altre volte richiamato alla memoria da qualche associazione di idee, e fu ciò che accadde un giorno, un giorno in cui si parlava di grosse estorsioni di Cosa nostra e di pagamenti sistematici e ricorrenti.

Fu così che si arrivò a parlare anche dell’imprenditore Silvio Berlusconi, che versava quote regolarmente alla famiglia di Santa Maria di Gesù, e Falcone, mentre ascoltava Mannoia interrompendolo solo di tanto in tanto con qualche domanda, annotava i punti salienti. Alla fine chiese: – Ma di questo è possibile trovare riscontri? Mannoia si strinse nelle spalle, e rispose: – Riscontri… Cosa nostra non è come un’assemblea di condominio, che si fanno verbali. Non so che riscontri si possono trovare.

Falcone si fermò a riflettere, e pesando le parole aggiunse: – Noi, ora, abbiamo la necessità di arrestare, e presto, quelli che sono fuori e che vanno sparando; indagini lunghe per adesso non se ne possono fare e se infiliamo dentro cose non riscontrate rischiamo che ci fanno passare per matti e non arrestiamo nessuno. Mannoia assentì, e Falcone riprese a dettare il verbale.

Altro non so, non voglio e non posso dire, ma so che tutto quanto Mannoia ha riferito e confessato è stato valutato da chi doveva farlo, da chi ne aveva la potestà e la responsabilità per il ruolo rivestito e tanto mi basta, da cittadino e da poliziotto, e sono contento che sia stato ritrovato quell’appunto, tra le carte del giudice, a testimonianza di un momento così particolare.

E a proposito di riscontri, e dell’importanza che veniva loro attribuita da Falcone, mi tornano alla mente altri particolari; Mannoia aveva parlato a lungo del traffico di droga, dell’importazione dalla Turchia di morfina base, della trasformazione in eroina e delle spedizioni verso il mercato nordamericano.

Nel narcotraffico lui aveva un ruolo importantissimo, quello del chimico, il responsabile della trasformazione della morfina, e aveva descritto a un curiosissimo Falcone le diverse fasi della lavorazione di centinaia di chili di morfina. – Se le procurassimo tutto l’occorrente, lei sarebbe in grado di raffinare eroina? Restiamo perplessi, pensiamo a una battuta, non ne comprendiamo il motivo. Io già immagino i milioni di problemi burocratici da affrontare per fare una cosa che non aveva precedenti.

Mannoia accenna a problemi pratici: – Sì, potrei… ma dove, qui? Ma immagina la puzza… dottore Falcone, io già arrestato sono, ma lei ci vuole fare arrestare tutti quanti e lei per primo… Falcone ride, ci pensa, fa una smorfia, poi riprende, con una punta di rammarico: – S’immagina l’importanza e la valenza di un riscontro del genere? Negli Stati Uniti non ci penserebbero due volte a farglielo fare, ma da noi effettivamente ci potrebbero essere difficoltà… E il discorso finì lì, con mio visibile sollievo: già facevo la scorta e scrivevo i verbali, e aggiungerci il ruolo di aiuto chimico raffinatore di eroina francamente mi sarebbe parso troppo! Come dio volle, i sopralluoghi a Palermo finirono e arrivò finalmente l’11 dicembre.

Dalla prima mattina sentimmo gran rumore di macchine che venivano allontanate dalla piazza d’armi della caserma, ove erano solitamente parcheggiate. A piazzale finalmente sgombro, arrivò un elicottero che ci prese a bordo e ci riportò a Boccadifalco, dove ci aspettava l’Observer dell’andata, per un pacifico ritorno a Pratica di Mare.

Arrivai a casa a tarda sera, decisamente stanco, ma con la prospettiva di una settimana di riposo, che francamente pensavo di meritare, per i tre lavori che avevo fatto negli ultimi giorni: quello della scorta, quello dei verbali e quello dell’agente di custodia con i turni di 24 ore.

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