Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado, la numero 514/06 dei magistrati della terza sezione penale del tribunale di Palermo, presidente Raimondo Loforti e giudice estensore Claudia Rosini


In caserma, quando la notizia iniziò a circolare, accorsero, numeRosissimi, magistrati ed ufficiali dei CC; tra gli uni, il nuovo Procuratore della Repubblica dott. Giancarlo Caselli, che si insediava proprio quel giorno, il procuratore aggiunto dott. Aliquò, i dott.ri Lo Voi, Spallitta, il sostituto procuratore di turno dott. Luigi Patronaggio, tra gli altri, il col. Sergio Cagnazzo ed il comandante della Regione Sicilia gen. Cancellieri, il magg. Mauro Obinu, il comandante del Ros gen. Antonio Subranni, il vice comandante operativo col. Mori, dal quale tutti avevano ricevuto la notizia, e poi i comandanti dei gruppi 1 e 2 del Nucleo Operativo ed, ancora, il cap. Giuseppe De Donno ed il mar.llo Rosario Merenda.

La concitazione di quei momenti, il gran numero di individui che affollava il cortile dove tutti si erano informalmente riuniti e ritrovati, spiega – come riferito da tutti i testimoni che vi presero parte – il perché non si svolse alcuna riunione di carattere formale, sostituita, di fatto, da discussioni, che ormai evidentemente si concentravano “sul che fare ora” e come pRoseguire l’azione di contrasto a “cosa nostra”, e che avvenivano proprio in quel medesimo contesto di luogo, di tempo e di persone.

Fu in quel contesto, dunque, che iniziarono ad emergere e profilarsi, come riferito dalle testimonianze acquisite e come si legge nella nota successivamente scritta dal dott. Caselli in data 12.2.93 (all. f produzione documentale P.M., acquisita all’ud. del 9.5.05), due diverse linee d’azione: quella che sosteneva la necessità di irrompere immediatamente nel complesso di via Bernini, individuare la villa da cui era uscito il latitante e procedere alla sua perquisizione, l’altra, sostenuta dal Ros e dal De Caprio in particolare, che invece riteneva si aprisse la possibilità di svolgere ulteriori indagini, sfruttando l’effetto sorpresa, costituito dal fatto che, essendo stato catturato il boss alla rotonda del motel Agip invece che all’uscita dal complesso di via Bernini, gli altri affiliati a “cosa nostra” non avrebbero potuto mettere in collegamento l’arresto con quel sito e dunque non sarebbero stati in grado di risalire a come i carabinieri erano riusciti a localizzare Salvatore Riina.

La conferenza stampa di Cancellieri

Questa seconda linea fu quella adottata in sede di conferenza stampa, nel corso della quale il generale Cancellieri riferì la versione concordata, secondo cui il Riina era stato intercettato, casualmente, a bordo della sua auto guidata da Salvatore Biondino mentre transitava sul piazzale antistante il Motel Agip. Nessun riferimento venne fatto a via Bernini ed a tutta l’attività che ivi era stata espletata.

Tuttavia – come emerge dalle deposizioni rese, che pure non hanno potuto scandire con chiarezza come si succedettero le varie determinazioni – l’idea di procedere alla perquisizione era tuttora “in piedi” al momento della conferenza stampa, ed anzi il dott. Luigi Patronaggio, in quanto pubblico ministero di turno, già nella mattinata aveva, d’accordo con il dott. Giancarlo Caselli, predisposto i relativi e necessari provvedimenti, così come già era stata disposta la costituzione di due squadre, con gli uomini dei gruppi 1 e 2 del Nucleo Operativo guidati dal magg. Balsamo e dal cap. Minicucci, che avrebbero dovuto procedere dapprima agli accertamenti sui luoghi ed in seconda battuta, una volta individuata la villa, alla perquisizione.

Le squadre, che ormai in tarda mattinata erano pronte, rimasero in attesa, nel cortile della caserma, dell’ordine di partire che tuttavia non arrivava.

A quel punto si era fatta ora di pranzo, per cui i magistrati e gli ufficiali dell’Arma, ad eccezione del col. Cagnazzo, che si era allontanato per occuparsi del trasferimento del Riina in un luogo di sicurezza, e del gen. Subranni, cui spettava la redazione delle comunicazioni da inviare agli organi istituzionali, decisero di fermarsi al circolo ufficiali.

Nel frattempo, subito dopo la conferenza stampa – come dichiarato dal cap. De Donno, da Attilio Bolzoni (ud. 11.7.05) e da Saverio Lodato (ud. 26.9.05) – Giuseppe De Donno, che quella mattina era stato a testimoniare nel processo cd. “mafia-appalti”, era intento a conversare con alcuni giornalisti (Felice Cavallaro del Corriere della Sera, il Bolzoni ed il Lodato).

In questo contesto, ebbe a profferire la frase - poi pubblicata sul Corriere della Sera e da lì ripresa su altre testate - secondo cui “qualcuno per la vergogna sarebbe dovuto andare via da Palermo”, frase che gli esponenti della stampa misero all’epoca in diretto collegamento con l’arresto di Riina e che successivamente - quando ormai sarebbe stato noto che il cd. “covo”, invece di essere perquisito dalle forze dell’ordine, era stato svuotato da ogni cosa ad opera di terzi di fatto lasciati liberi di agire indisturbati – sarebbe stata riletta proprio in correlazione con la vicenda della mancata perquisizione.

In dibattimento, il teste De Donno ha chiarito che in realtà quella frase non aveva alcuna attinenza con l’arresto di Salvatore Riina, vicenda alla quale era rimasto completamente estraneo, ma si riferiva alle indagini condotte dalla sua sezione, che erano sfociate nel rapporto cd. “mafia-appalti”.

I giornalisti ignoravano, invece, che egli non avesse preso parte alle indagini relative alla cattura del Riina e, visto il contesto nel quale il capitano aveva rilasciato quella esternazione, la misero in diretta correlazione con la “notizia del giorno” e, successivamente, con le anomalie che la contraddistingueranno.

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