Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà parte del libro Sulle ginocchia, edito da Melampo, riguardo la storia di Pio La Torre scritta dal figlio Franco


In quegli anni, i comunisti erano impegnati per l’effettiva applicazione dei decreti Gullo, provvedimenti legislativi emanati dall’allora ministro dell’Agricoltura del governo Badoglio, che garantivano ai contadini maggiori diritti e più terre da coltivare.

Lo svuotamento delle norme, operato dal successivo ministro, e l’opposizione dei proprietari terrieri alla loro applicazione scatenarono, soprattutto nel Mezzogiorno, la richiesta di una effettiva riforma agraria e un’ondata di proteste popolari, che ebbero la loro concretizzazione nelle occupazioni delle terre incolte da parte dei braccianti agricoli esasperati, che dovettero fare i conti con la reazione, altrettanto esasperata, da parte del governo e con quella, dura e intransigente, dei proprietari terrieri, che non esitarono a fare ricorso al braccio armato della mafia.

Tra il marzo e l’aprile del 1948, alla vigilia delle elezioni politiche, erano stati uccisi vari segretari di Camere del Lavoro del palermitano, Placido Rizzotto a Corleone, Calogero Cangelosi a Camporeale, Epifanio Leonardo Li Puma a Petralia.

Pio La Torre, nel luglio del 1949, era membro del Consiglio Federale del Pci, che diede l’inizio ufficiale all’occupazione delle terre, lanciando lo slogan: “la terra a tutti”.

La protesta prevedeva il censimento delle terre giudicate incolte o mal coltivate e l’assegnazione, in parti uguali, a tutti i braccianti che ne avessero bisogno. Parallelamente partì anche la campagna per la raccolta del grano, che sarebbe servito per seminare le terre occupate. Il 23 ottobre 1949 fu organizzato il primo Festival provinciale dell’Unità a Palermo, al Giardino Inglese, per sensibilizzare l’opinione pubblica.

Il clima di festa fu però presto interrotto dalle notizie, che giunsero pochi giorni dopo, il 29 ottobre, dalla Calabria, da Melissa per la precisione, dove le proteste dei contadini erano sfociate in tragedia con l’uccisione da parte delle forze dell’ordine di tre persone, tra cui un bambino e una donna, e

il ferimento di altre quindici, oltre a numerosi arresti. Quella strage convinse i dirigenti del Pci palermitano ad anticipare la data dell’occupazione delle terre, fissandola al 13 novembre successivo.

Giuseppina Zacco, mia madre, lo aveva conosciuto proprio in quegli anni, la fine dei Quaranta. Il 29 ottobre 1949, giorno della strage di Melissa, annota mio padre, lo aveva sposato e con lui aveva condiviso le lotte contadine: il loro autentico viaggio di nozze, durato una stagione, durante la quale, ma potrei sbagliarmi, concepirono mio fratello, e non quei pochi giorni trascorsi a Capri, dopo il matrimonio, interrotti proprio dalla necessità di rientrare a Palermo per preparare l’imminente mobilitazione, che avrebbe coinvolto migliaia di braccianti poveri della Sicilia nord-occidentale.

Mia madre sapeva chi era quell’uomo che, arrestato durante una delle manifestazioni, dove i contadini occupavano e seminavano simbolicamente le terre incolte, aveva scontato ingiustamente 17 mesi all’hotel Ucciardone, il carcere di Palermo, accusato di tentato omicidio e poi prosciolto per non aver commesso il fatto.

Mio padre e mia madre erano orgogliosi di quel periodo della loro vita; si capiva, da come ne parlavano, che non era stato facile e aveva richiesto capacità di misurarsi con prove impegnative, grandi sforzi e sacrifici per due giovani, poco più che ventenni, che stavano mettendo su famiglia proprio mentre partecipavano attivamente al movimento di liberazione dall’oppressione semifeudale e per l’affrancamento dalle condizioni di sottosviluppo delle masse povere siciliane.

Raccontavano della dignità della gente che li accoglieva, anche per settimane, nelle loro misere abitazioni, che non si potevano definire case. Non era raro che dormissimo sulla paglia nelle stalle, insieme agli animali – ricordava mia madre.

Ma la stalla era, comunque, un lusso che non tutti si potevano permettere – aggiungeva mio padre – E capitava che dormissimo nell’unica stanza, insieme alla famiglia che ci ospitava e alla loro capra – concludeva mia madre – Il partito non aveva a disposizione tutti i mezzi necessari.

Si partiva da Palermo, sapendo che si sarebbe stati fuori per giorni. Venivamo lasciati nei paesi, dove avremmo incontrato i contadini e organizzato con loro le manifestazioni, spostandoci a piedi o con i mezzi disponibili in loco, carretti, muli, biciclette e qualche rara motocicletta.

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